Linda Leodari

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Consulente finanziario indipendente

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22 dicembre 2021
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Profilo professionale

Mi presento:

Sono un consulente finanziario autonomo con studio a Malo (VI) e opero in tutta Italia. Mi occupo di gestione degli investimenti secondo la logica della pianificazione per obiettivi di vita, ovvero un approccio che mette al centro i bisogni e i traguardi del mio cliente e della sua famiglia.

Sono stata tra i primi consulenti in Italia ad ottenere la certificazione di consulente CFP® (Certified Financial Planner).Questa certificazione internazionale attesta le mie competenze in materia di pianificazione finanziaria, garantendo un servizio professionale e indipendente. La CFP® è riconosciuta globalmente come uno standard d'eccellenza per la consulenza finanziaria.

 

Quali sono i punti fondamentali della mia consulenza?

La mia indipendenza e l'assenza di conflitti di interesse garantiscono ai miei clienti una consulenza libera da qualsiasi condizionamento e totalmente orientata al loro benessere finanziario, permettendo loro di prendere decisioni con maggiore consapevolezza e in totale autonomia.

 

Veniamo ora al mio approccio. In cosa consiste in pratica?

Per investire le risorse finanziarie del mio cliente in modo coerente con i suoi bisogni e obiettivi, inizio mappando la sua intera situazione patrimoniale. Identifico eventuali criticità negli ambiti previdenziale, assicurativo o successorio. Questo mi permette di valutare la sostenibilità dei suoi obiettivi e, con una gestione attenta e mirata degli investimenti, aiutarlo a raggiungerli nei tempi desiderati.

 

Utilizzando le informazioni raccolte, creo un piano finanziario personalizzato che simula l'andamento del patrimonio nel tempo, testando la sostenibilità delle scelte finanziarie e considerando l'apporto degli investimenti e l'impatto di eventi avversi. Questo passaggio è cruciale per offrire un quadro chiaro della situazione finanziaria e verificare se gli obiettivi desiderati siano realmente raggiungibili.

 

Una volta definito un piano d'azione condiviso, preparo una proposta di investimento calibrata sugli obiettivi e compatibile con il grado di rischio approvato dal cliente, utilizzando strumenti efficienti in termini di costo/rendimento e fiscalità. Monitoro regolarmente il portafoglio, proponendo aggiustamenti quando necessario e fornendo un report annuale sull'andamento degli investimenti e il progresso verso gli obiettivi concordati.

 

Dal 2024 sono inoltre educatore finanziario, iscritto al Registro degli Educatori Finanziari. Questo mi permette di organizzare e tenere corsi di educazione finanziaria per la comunità, promossi da enti pubblici o aziende.

 

CONSULENZA SPOT

Disponibile anche per singole consulenze in:

  • Previdenza complementare
  • Tutele assicurative personali
  • Analisi di efficienza dei portafogli di investimento esistenti

 

SERVIZI DEDICATI ALLE AZIENDE

Offro servizi alle aziende, tra cui:

  • Analisi finanziaria delle condizioni economiche nei rapporti bancari e assistenza nella rinegoziazione
  • Gestione efficiente del T.F.R. e della liquidità aziendale
  • Corsi di formazione per dipendenti su previdenza complementare e gestione del risparmio

PRIMO INCONTRO GRATUITO

Il primo incontro conoscitivo è sempre gratuito. Durante questo incontro illustrerò la mia attività, ascolterò le richieste del cliente e fornirò un preventivo per il servizio richiesto.

 

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Le mie principali competenze

Analisi strumenti finanziari, trading
Consulenza agli imprenditori
Consulenza patrimoniale
Gestione del rischio finanziario
Ottimizzazione di portafoglio
Pianificazione assicurativa
Pianificazione del patrimonio immob.
Pianificazione pensionistica
Pianificazione successoria
Valutazione Mutui e leasing

I miei credit

  • Dal 2024 ottenuta la certificazione CFP® di pianificatore finanziario
  • Dal 2024 iscritta al Registro degli Educatori Finanziari
  • Iscritta all’albo unico dei consulenti finanziari nella sezione dei consulenti finanziari autonomi con delibera OCF n. 1612 del 04/03/2021
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Le mie ultime attività

ETF TEMATICI - Puntare sul futuro….dominando facili entusiasmi 

06.03.2025 / 57 / 1

Hai presente quando apri un social network, leggi un giornale finanziario o ascolti un podcast e tutti sembrano ossessionati dagli ETF tematici sul futuro dell’Intelligenza artificiale, sui viaggi spaziali, sull’idrogeno verde, sul metaverso, ecc…? Benvenuto nel mondo degli ETF tematici, strumenti finanziari che promettono di trasformare le grandi tendenze globali in opportunità di investimento. Ma cosa sono esattamente? E soprattutto, in cosa differiscono dai più noti ETF classici che probabilmente già conosci?   Ti riporto di seguito un sintetico confronto delle principali caratteristiche e differenze, per poi arrivare ad alcune riflessioni in merito. ETF classici vs. ETF tematici: Le Differenze Chiave  1. Obiettivo dell’investimento ETF classici (es. S&P 500, MSCI World a titolo di esempio): replicano un indice ampio e diversificato, come l’economia di un Paese o un settore consolidato (es. tecnologia, energia). L’obiettivo è “avere un pezzo di tutto”, riducendo il rischio.   Un esempio è un ETF sull’S&P 500, che include le 500 maggiori aziende USA, da Apple a Walmart.   ETF tematici: puntano su trend specifici o nicchie emergenti, spesso trasversali a più settori. L’obiettivo è “cavalcare la prossima rivoluzione”.   L’esempio oggi più rappresentativo può essere un ETF sull’intelligenza artificiale che include aziende sviluppatrici di chip, software AI e robotica, anche se operano in settori diversi.   2. Diversificazione: ETF classici:  contengono centinaia (a volte migliaia) di aziende. Se una fallisce, l’impatto sul portafoglio è minimo.   ETF tematici:  concentrano mediamente il loro investimento in 20-50 aziende, con le prime 10 che possono pesare per il 40-60% del fondo. Se una di queste dovesse andare male, l’ETF tematico ne subirebbe le conseguenze più pesantemente.    A puro titolo di esempio: L’ETF Global X Robotics & AI (BOTZ) ha oggi solo 46 aziende, con NVIDIA e Intuitive Surgical che da sole valgono oggi oltre il 20%.   3. Rischi e costi: ETF classici:   Bassi costi (spese annue spesso sotto lo 0,20%).   Rischio moderato da un’ampia diversificazione che ammortizza i crolli.   ETF tematici:   Costi più alti degli ETF classici (spese annue fino all’0,75%), ma in genere minori rispetto ai fondi comuni a gestione attiva.   Rischio hype: Molti replicano settori “di moda” con valutazioni che possono arrivare a livelli talvolta esagerati.   Rischio composizione: Possono includere aziende solo marginalmente legate al tema (per rispettare una diversificazione minima imposta dalle regole UCITS europee). Perché gli strumenti tematici sono così promossi? Sostanzialmente perché sono prodotti facili da vendere: Temi come l’AI, la robotica o i viaggi nello spazio catturano l’immaginario collettivo e affascinano. Spesso poi sono spinti da un marketing aggressivo, in cui gli emittenti li presentano come “il futuro dell’investimento”, in molti casi omettendo i rischi.   Nelle fasi di euforia poi possono raggiungere performance esplosive (a volte…), crescendo più dei mercati generali (ci ricordiamo dell’ETF sul clean energy nel 2020?), attirando l’attenzione di molti investitori. Cosa dovresti valutare prima di investirvi? Ti consiglio prima di investire in un tema che ritieni vincente di porti alcuni interrogativi in merito e approfondire la conoscenza dello strumento che hai scelto per investirvi. Identificato l’ambito che più ti interessa, fai alcune ricerche in merito per valutare quali sono i suoi punti deboli e di forza e se allo stato delle conoscenze attuali esso sia un settore con concrete possibilità di dare dei ritorni o se sia oggi semplicemente ancora prematuro per entrarvi. Sappiamo che quando investiamo in megatrend del futuro non possiamo aspettarci dei ritorni nell’arco di poco tempo (salvo che non vi si entri in una fase speculativa spinta da facili entusiasmi del mercato, ma in questo caso sappiamo che si tratterebbe solo di sfruttare il breve periodo di crescita esplosiva per poi uscire in fretta dallo strumento prima che crolli). Se la tua intenzione è di approcciare uno o più di questi trend nel lungo periodo, è importante cercare di capire in quale fase di sviluppo si trovi il settore e quali possibilità possa avere per fiorire concretamente. Come si suol dire…Non tutte le ciambelle escono col buco… Chiediti quindi “Cosa c’è dentro”?   Considera che gli ETF tematici dovrebbero raggruppare aziende legate a un tema (es. nucleare, robotica, viaggi spaziali, ecc…), ma le regole europee (UCITS) li costringono a un gioco di compromessi. Per diversificare – ovvero, non mettere tutte le uova in un paniere – potrebbero dover includere anche società che con il tema rappresentato c’entrano molto poco.   Controlla quindi qual è l’attività principale almeno delle prime 10 aziende dell’ETF. È importante che esse siano effettivamente operanti nel settore rappresentato dall’ETF. Giusto per fare un esempio, è accaduto di trovare società petrolifere in un ETF sull’idrogeno verde. Finché si tratta di una sola realtà che, in un panel di 40-50 aziende, opera marginalmente nell’ambito, potremmo anche accettarlo, ma se nell’ETF ve ne fossero diverse, diciamo che lo strumento potrebbe non essere propriamente rappresentativo del settore in cui hai scelto di investire.   Quesito cruciale da porti: il settore è già una bolla? Un punto da non sottovalutare sono le quotazioni a cui compri lo strumento. Come già detto, se si sta vivendo una fase di euforia dei mercati o per un tema specifico (come siamo oggi), c’è il forte rischio che le sue valutazioni siano fuori controllo e molto lontane dal suo potenziale futuro valore. Indubbiamente, come già detto,  devi tenere conto che tematiche di lungo termine e megatrend in genere presentano delle quotazioni più elevate rispetto ad ambiti con business solidi e avviati da tempo. Le quotazioni di un’azienda  generalmente incorporano le aspettative sulla sua crescita e potenzialità di rendimento futuri.  Ambiti con prospettive di crescita elevate in tempi lunghi presentano quindi quotazioni più elevate rispetto ad altri. Non è facile però capire quando ci si trovi in una bolla speculativa. Prendiamo ad esempio la rivoluzione portata dall’intelligenza artificiale. Le quotazioni di molte aziende dei settori coinvolti (direttamente e non) hanno visto fino ad oggi forti incrementi di valore, proprio in scia all’entusiasmo legato al tema e in diversi casi anche senza concrete motivazioni. Approcciare il settore prescelto in una fase come quella che stiamo attraversando è concreto il rischio di acquistare a prezzi molto elevati, che potrebbero poi vedersi fortemente ridimensionati in seguito. Vi sono dei parametri che si possono osservare per fare delle valutazioni, ma non sempre sono sufficienti. Abitualmente si cerca il rapporto prezzo/utili (P/E) dell’ETF, ovvero il rapporto tra il suo prezzo attuale e gli utili delle aziende sottostanti. Se è molto più alto della media di mercato (es. 50 vs. 20), potrebbe essere indicatore di un prezzo troppo alto per le aspettative future. Va tenuto conto comunque che, nel caso di settori con grandi aspettative di crescita lontane nel tempo, tuttavia, questa valutazione non è del tutto adeguata. È normale infatti, come già detto, che questi settori presentino quotazioni più elevate della media di mercato. La vera difficoltà è capire se esse siano comunque adeguate o solo frutto di speculazione temporanea. Il mio consiglio è nuovamente di documentarti. Verifica quali siano le aziende che compongono lo strumento che hai scelto (quanto meno quelle che in esso hanno i maggiori pesi percentuali) e raccogli informazioni in merito al loro business, al loro stato economico e finanziario. Non sottovalutare realtà che oggi sono in perdita. Informati se possano avere progetti innovativi e rivoluzionari in grado di mutare in positivo le loro sorti. Se ritieni che siano aziende promettenti, ma in una fase di sopravvalutazione euforica, entra nello strumento solo con una piccola cifra, giusto per tenerlo d’occhio, proponendoti di integrarlo qualora arrivasse una fase di elevata volatilità nei mercati, in cui con probabilità l’ETF potrebbe subire un calo di valore anche elevato. Il rischio di entrare nel settore a quotazioni troppo elevate è di vedere poi per lunghissimo tempo l’investimento in perdita. In quali percentuali dovrebbero essere in portafoglio? Gli ETF tematici sono strumenti specializzati che richiedono cautela per i diversi motivi che ti ho elencato. Il mio consiglio è mantenerli in una quota massima del 10-15% del tuo portafoglio di lungo termine, che dovrebbe essere comunque adeguatamente diversificato geograficamente che settorialmente, sia nel comparto azionario che obbligazionario. Ricorda poi che essi sono dedicati a trend strutturali di lungo periodo e hanno bisogno di tempo per poter maturare.

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OBBLIGAZIONI: chiavi per una diversificazione consapevole del rischio

19.02.2025 / 335 / 2

Quando pensiamo al rischio nei mercati finanziari, la mente spesso va subito al comparto azionario. Si tende a considerare le obbligazioni come la parte più sicura del portafoglio, immaginandola come un blocco con un unico livello di rischio. Tuttavia, nel mondo delle obbligazioni coesistono diverse categorie, con livelli di rischio e rendimento molto differenti tra loro. Conoscere quali sono le principali categorie di obbligazioni e quali siano i rischi e le potenzialità di rendimento di ciascuna è molto importante se si desidera comporre un portafoglio ben diversificato. La diversificazione nei propri investimenti è una regola chiave. Metterla in pratica non significa detenere un numero elevato di  strumenti finanziari, ma scegliere strumenti rappresentanti aree geografiche e settoriali diverse, durate diverse, valute diverse, tipologia di tassi di interesse differenti…in sostanza strumenti che nel tempo tendano a muoversi in modo poco correlato tra loro, ovvero in modo quanto più diverso uno dall’altro, sia nel comparto azionario che obbligazionario. Anche se questo approccio può sembrare un freno alle potenzialità del portafoglio, in realtà contribuisce a conferirgli maggiore stabilità e a renderlo più resiliente alle inevitabili oscillazioni dei mercati finanziari. Ecco, quindi, che comprendere quanti e quali tipi di obbligazioni vi siano, come essi si rapportino tra loro e con il comparto azionario e delle commodities diventa fondamentale. Cosa sono le obbligazioni? Prima di analizzare i principali rischi connessi alle obbligazioni, ricordo brevemente cosa esse siano. Un’obbligazione altro non è che un titolo rappresentativo di un prestito concesso a un’azienda o a uno Stato, che presuppone il rimborso alla scadenza di quanto prestato e il pagamento di un interesse dal momento dell’acquisto fino a tale scadenza (tramite cedole periodiche o in unica soluzione al rimborso. Questo interesse può essere predeterminato (tasso fisso) o parametrato a un indice (ad esempio l’Euribor a 6 mesi, o all’inflazione). Vi sono anche obbligazioni create con strutture più complesse. In questa sede ci concentriamo solo su quelle più semplici, comunemente definite “plain vanilla”. Un esempio di obbligazioni a tasso variabile sono i titoli indicizzati all’inflazione, come i BTP Italia, indicizzati all’indice nazionale dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati (FOI), escludendo i tabacchi. In essi vi è un meccanismo che tiene conto di un coefficiente di indicizzazione (CI) calcolato mensilmente dall’Istat sulla base dei valori dell’indice FOI tabacchi esclusi e utilizzato per rivalutare sia le cedole che il capitale ogni sei mesi.  Vi sono diverse tipologie di titoli indicizzati all’inflazione, con modalità di funzionamento differente a seconda dell’emittente, che quasi sempre è una nazione. In questo scritto  non è mia intenzione entrare in approfondimenti particolarmente tecnici; li affronterò in futuro. Correlazione con l’azionario, un esempio Un esempio di obbligazioni molto correlate con l’azionario sono le obbligazioni High Yield, ovvero le obbligazioni emesse da società o nazioni fragili, che per attrarre capitali devono offrire rendimenti più elevati rispetto alle aziende e agli stati in buona salute economico finanziaria. Generalmente questa tipologia risente delle oscillazioni negative dei mercati in modo molto simile all’azionario e per questo motivo sono con esso molto correlate. Ma cosa significa correlazione in questo contesto? Significa che, quando il mercato azionario cala, anche il valore di queste obbligazioni tende a seguire la stessa direzione. Investire in questa tipologia di titoli quindi, da un certo punto di vista, contribuisce ad incrementare l’esposizione ai rischi azionari. Quali sono dunque i principali rischi a cui le obbligazioni possono essere esposte? Rischio di credito: Indica la probabilità che l’emittente dell’obbligazione non sia in grado di ripagare il capitale o gli interessi dovuti. Quale rappresentazione della affidabilità dell’emittente vi sono i rating creditizi, assegnati da agenzie di rating come Moody’s, S&P e Fitch. Essi sono valutazioni della capacità dell’emittente di ripagare il proprio debito. Un rating più elevato (ad esempio, AAA) indica una bassa probabilità di fallimento, mentre un rating più basso (ad esempio, BB o inferiore) indica un maggiore rischio di default. Più è alto questo rischio, maggiore è la possibilità di perdita per l’investitore e quindi maggiore è il premio in termini di rendimento che questi titoli devono offrire per compensarlo adeguatamente. Obbligazioni senior e subordinate: Le obbligazioni possono inoltre essere emesse con priorità di rimborso differenti. Ecco quindi che troviamo sul mercato: Obbligazioni senior: Le obbligazioni senior hanno una priorità più alta in caso di liquidazione dell’emittente. Questo significa che, in caso di fallimento o insolvenza dell’emittente, gli obbligazionisti senior vengono rimborsati prima degli altri creditori non privilegiati, inclusi gli obbligazionisti subordinati. Di conseguenza, le obbligazioni senior sono considerate meno rischiose rispetto alle obbligazioni subordinate (dette anche junior). Obbligazioni subordinate (junior): Le obbligazioni subordinate, come suggerisce il nome, hanno una priorità di rimborso inferiore rispetto alle obbligazioni senior. In caso di default dell’emittente, gli obbligazionisti subordinati vengono rimborsati solo dopo che sono stati soddisfatti i creditori privilegiati (esempio il fisco e i dipendenti) e quelli senior. Questo rende le obbligazioni subordinate più rischiose rispetto alle senior. All’interno delle subordinate, ci sono poi ulteriori suddivisioni con livelli di rischio crescenti. Tipi di Obbligazioni Subordinate Tier 2 Capital: Queste obbligazioni hanno una scadenza (di solito a lungo termine) e possono essere utilizzate per assorbire perdite in caso di difficoltà finanziarie, ma con un livello di subordinazione inferiore rispetto alle AT1. Le cedole di queste obbligazioni possono essere sospese solo in casi di estrema necessità e con specifiche condizioni. Additional Tier 1 (AT1) Capital: Queste obbligazioni sono senza scadenza (perpetue) e possono essere convertite in azioni o avere il loro valore azzerato in caso di difficoltà finanziarie della banca. Il pagamento delle cedole può essere sospeso a discrezione dell’emittente. Normalmente vengono rimborsate alla prima data di possibilità (queste emissioni prevedono sempre tale facoltà per l’emittente) perché non rimborsarle, visti i loro alti rendimenti, significherebbe rendere esplicita la difficoltà finanziaria della società. Quindi teoricamente sono perpetue ma nella pratica hanno una durata relativamente breve Rischio valutario: Si verifica quando un’obbligazione è emessa in una valuta diversa da quella dell’investitore. Le fluttuazioni del tasso di cambio possono influire sul valore dell’investimento anche in modo molto significativo. In questo periodo, ad esempio, i rendimenti dei titoli di Stato americani (o anche quelli inglesi) sono decisamente più elevati di quelli europei, ma non si può dire che siano in assoluto più convenienti, dipenderà da come si muoverà il rapporto di cambio tra le valute Rischio tassi di interesse e durata: Questi due rischi sono strettamente collegati. Il rischio tassi di interesse si riferisce all’impatto che le variazioni dei tassi di interesse di mercato hanno sul valore delle obbligazioni a tasso fisso. Quando i tassi di interesse aumentano, il prezzo delle obbligazioni esistenti a tasso fisso tende a diminuire perché nuove obbligazioni vengono emesse con rendimenti più elevati, rendendo meno appetibili quelle vecchie. Più lunga è la durata dell’obbligazione, maggiore è la sua sensibilità alle variazioni dei tassi di interesse. Questo è il rischio durata. Le obbligazioni a lunga durata (cioè, con molti anni alla scadenza) sono più esposte a questo rischio perché le variazioni dei tassi di interesse avranno un impatto maggiore sul loro valore complessivo. Le obbligazioni a breve durata, invece, sono meno sensibili a queste variazioni. Sembrerà strano, ma anche i titoli a tasso variabili subiscono (anche se in maniera molto inferiore rispetto a quelli a rendimento fisso) questi due rischi! Rischio di liquidità: Il rischio che l’investitore non riesca a vendere l’obbligazione facilmente senza incorrere in una perdita significativa, a causa della mancanza di acquirenti interessati. Questo rischio di solito si verifica quando l’emissione obbligazionaria è di piccole dimensioni o l’emittente è poco conosciuto. Rischio di tasso di interesse reale: Il rischio che il rendimento reale dell’obbligazione (se a tasso fisso), dopo l’aggiustamento per l’inflazione, sia inferiore al previsto o addirittura negativo. Rischio di reinvestimento: si riferisce alla possibilità che i proventi di un investimento, come le cedole periodiche di un’obbligazione o il capitale rimborsato alla scadenza, non possano essere reinvestiti a un tasso di interesse uguale o superiore a quello dell’investimento originale. Questo rischio è particolarmente rilevante per le obbligazioni e altre forme di debito a reddito fisso. Le principali tipologie di obbligazioni Dopo aver accennato ai rischi più frequenti in cui possono incorrere le diverse tipologie di obbligazioni vi riporto un elenco delle classiche tipologie di obbligazioni che si possono trovare sui mercati, con indicata per ognuna i gradi di rischio e di correlazione con il comparto azionario. Ho riassunto queste informazioni in forma tabellare così da renderle di più immediata fruizione. Contattami per una call conoscitiva: il primo colloquio è sempre gratuito. Ti spiegherò come lavoro, quali sono i vantaggi che la mia consulenza ti può offrire e ti darò già un preventivo di costo. Scrivimi a info@lindaleodari.it.

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GREEN DEAL - La grande fuga

04.02.2025 / 160 / 2

Negli ultimi mesi, diverse istituzioni finanziarie – banche, fondi d’investimento e asset manager – hanno annunciato il ritiro dalla Net Zero Banking Alliance (NZBA) e da altre iniziative simili, come la Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ). Queste piattaforme, nate per coordinare gli sforzi del settore finanziario verso l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050, sembrano oggi aver perso appeal. Le motivazioni ufficiali variano: timori di rischi legali, pressioni politiche (specie negli USA con la presidenza Trump) e la complessità nel conciliare obiettivi climatici con le logiche di profitto. Ma dietro queste scelte si celano dinamiche più profonde, che rivelano le contraddizioni di un sistema finanziario ancora in bilico tra marketing ESG (Environmental, Social, Governance) e azioni concrete.   Quali sono le ragioni di questo cambiamento?   Alcuni istituti, come JPMorgan Chase e Morgan Stanley, hanno giustificato il loro ritiro con il rischio di possibili cause legali, legate a impegni percepiti come troppo vincolanti. Altri, come Vanguard (uscita già nel 2022), hanno citato il desiderio di “preservare l’indipendenza” ed evitare conflitti con clienti conservatori, in un contesto politico polarizzato dove l’ESG è diventato, oggi più che mai, un tema divisivo. Non va sottovalutato, inoltre, il peso degli interessi economici: aderire a una transizione ecologica richiede disinvestimenti da settori ad alta intensità di carbonio (es. fossili), con possibili impatti sui rendimenti a breve termine.   L’evento catalizzatore della fuga: il governo Trump Certamente, il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, direttamente o indirettamente, ha influito su questo cambio di approccio di banche e gestori patrimoniali. Negli Stati Uniti, l’ESG (Environmental, Social, Governance) è diventato un tema altamente politicizzato. Trump e molti repubblicani hanno criticato apertamente l’agenda ESG, definendola un tentativo di “risveglio culturale” (woke capitalism) che danneggia gli interessi economici tradizionali, in particolare quelli legati ai combustibili fossili. In alcuni stati a guida repubblicana, come il Texas e la Florida, sono state approvate leggi che penalizzano le istituzioni finanziarie che adottano criteri ESG, ad esempio escludendole da contratti pubblici.   Questa pressione politica ha creato un clima di incertezza per banche e fondi d’investimento, spingendoli a prendere le distanze da iniziative come la NZBA per evitare ripercussioni legali o reputazionali. USA, governo Trump: priorità economiche e sostegno ai combustibili fossili Trump ha sempre promosso un’agenda economica favorevole all’industria del petrolio, del gas e del carbone, riducendo le regolamentazioni ambientali e incentivando l’estrazione di combustibili fossili. Questo suo approccio si traduce in un contesto in cui le aziende energetiche tradizionali godono di maggiore sostegno politico e finanziario, mentre le iniziative per la transizione ecologica vengono marginalizzate.   Per le banche e le case d’investimento, allinearsi a un’amministrazione Trump potrebbe significare privilegiare gli interessi di questi settori ad alta intensità di carbonio, abbandonando o ridimensionando gli impegni net-zero. In questo senso, il ritiro dalla NZBA potrebbe essere visto come un modo per adattarsi a un possibile cambio di rotta nelle politiche energetiche e climatiche degli Stati Uniti. Il paradosso dell’ESG: promuovere prodotti “verdi” e votare contro le riforme   A prescindere dal contesto politico del momento, tuttavia abbiamo visto più volte comportamenti contradditori di banche e case di investimento, che mentre proponevano fondi ESG e pubblicizzavano impegni climatici, votavano sistematicamente contro proposte di sostenibilità nelle assemblee delle società in cui investivano. Un esempio emblematico è stato BlackRock, il più grande gestore patrimoniale al mondo, che nel 2023 ha sostenuto solo il 7% delle risoluzioni climatiche presentate dagli azionisti, nonostante il CEO Larry Fink abbia continuato a enfatizzare l’importanza della sostenibilità. Allo stesso modo, molte banche finanziano ancora progetti legati a carbone o petrolio, vanificando di fatto gli impegni net-zero.   Questo dualismo riflette un problema strutturale: l’ESG è spesso ridotto a uno strumento di marketing, utile per attirare capitali (soprattutto dalle giovani generazioni), ma non realmente integrato nelle strategie di voto ed engagement. Le divisioni interne alle stesse istituzioni finanziarie – tra team di asset management, che vendono prodotti green, e loro rappresentanze nelle aziende, che gestiscono il voto nelle assemblee – aggravano il problema, mostrando una sostanziale mancanza di coerenza.   Greenwashing? Incapacità sistemica?   L’abbandono della Net Zero Alliance potrebbe essere intrepretato in vari modi: come un atto di onestà e concretezza, poiché alcune istituzioni riconoscono di non poter mantenere impegni troppo ambiziosi, preferendo evitare accuse di greenwashing;   come una resa alle pressioni politiche e di mercato, dove la sola priorità resta la massimizzazione del profitto, anche a scapito della coerenza e delle conseguenze climatiche.   Potremmo cercare ancora altre interpretazioni o avere altri punti di vista. Personalmente, credo che entrambi i fattori che ho indicato giochino un ruolo in questi cambiamenti. Tuttavia, il ritiro dalle alleanze net-zero è segnale di un fallimento più ampio. Nella mancanza di un quadro regolamentare globale vincolante per la finanza sostenibile, gli impegni volontari, privi di reali conseguenze per il mancato raggiungimento degli obiettivi, sono facilmente abbandonabili quando diventano scomodi.   Questa fuga dalla Net Zero Alliance non è solo una sconfitta per la lotta al clima, ma un campanello d’allarme sulla credibilità dell’intero sistema ESG. Se le istituzioni finanziarie intendessero essere veramente partner della transizione ecologica, dovrebbero superare l’approccio superficiale, integrando realmente la sostenibilità in ogni fase: dalla selezione dei portafogli, alla definizione di metriche oggettive sia per identificare gli obiettivi sia per misurare i risultati, alla trasparenza nel voto azionario. Finché prevarrà la logica del “business as usual“, con impegni vaghi e contraddizioni operative, la finanza resterà parte del problema, non della soluzione.  

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