Bruno Mazzola - AD MoneyController Srl

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I portafogli sono spesso pieni di prodotti inutili: ecco perché

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  • Finanza Comportamentale
Scritto il 13.10.2021

La “Neue Züricher Zeitung” (NZZ) ha rilanciato i risultati di uno studio psicologico della rivista “Nature”. Quello che è interessante fare notare è che i risultati a cui è giunto lo studio si applicano non solo alla vita quotidiana, ma toccano anche il mondo degli investimenti. Risolvere i problemi alla radice è difficile Stando allo studio di “Nature”, molte persone non sono in grado di risolvere i loro problemi nel modo più ottimale. Entrando più nel dettaglio, molte persone, anziché arrivare al cuore della questione, tendono a compiere inutilmente piccole modifiche e numerose aggiunte. Detto in altri termini: la maggioranza delle persone tende ad aggiungere piuttosto che a togliere, quando invece proprio sottrarre potrebbe essere il modo migliore per fare quadrare il cerchio. Talvolta, “less is more” Una parte dello studio di “Nature” si è svolto chiedendo a un campione di membri di una facoltà universitaria di suggerire delle modifiche a un nuovo presidente dell’università. Solo all’11% del campione è venuto in mente che il modo migliore per migliorare la situazione sarebbe dovuto essere quello di sfoltire o eliminare alcuni dei regolamenti vigenti. Un altro esempio: messi di fronte a una griglia di caselle da rendere simmetrica, solo una piccola percentuale ha pensato di toglierne anziché aggiungerne per renderla, appunto, simmetrica. Eppure, l’idea di toglierne qualcuna sarebbe stata non solo la più facile, ma anche quella ottimale. Alleggerire i portafogli è un’opzione da tenere in considerazione Come tutto questo possa tradursi nel mondo degli investimenti è, in fondo, abbastanza intuitivo. Come si legge sulla rivista FONDS Professionell, molti portafogli sono composti da un mucchio di titoli inutili che servono spesso a correggere la direzione impressa da titoli meno fortunati. Sbarazzarsi di questi ultimi significherebbe non solo non avere i problemi che ne derivano, ma anche non dovere poi ricorrere a delle misure aggiuntive. Un altro caso tipico è l’investimento in un ramo di un’attività di un’azienda che non soddisfa fino in fondo. Molti sarebbero portati a correggere il tiro, investendo in un altro ramo dell’azienda, quando invece la soluzione migliore potrebbe essere quella di abbandonare del tutto l’investimento. Insomma, concludendo e riprendendo un gustoso esempio della NZZ: non sempre per farci piacere di più la nostra casa dobbiamo comprare un mobile nuovo; a volte, basterebbe disfarsi semplicemente delle vecchie cianfrusaglie.        

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Le opportunità energetiche che offre l’India

Scritto il 12.10.2021

Parlare di consumi energetici sostenibili a livello globale significa, prima o poi, imbattersi nella questione legata all’India che, per dimensione demografica, ha e avrà un ruolo sempre più centrale. La rivista “Das Investment” ha intervistato Nick Parsons, responsabile della ricerca e dell’ambito ESG presso l’azienda d’investimento britannica Thomas Lloyd. La crescente fame energetica indiana Per Parsons, l’India sta diventando un luogo favorevole per accogliere degli investimenti legati all’impresa sostenibile. L’India – come fa notare Parsons – non solo è la più grande democrazia del mondo, ma anche un ambiente con condizioni fiscali favorevoli per le nuove imprese, come le è stato autorevolmente riconosciuto dalla Banca Mondiale. Allo stesso tempo, costituisce un mercato dove la domanda di energia rinnovabile sta crescendo. Innanzitutto, infatti, la popolazione dell’India, a differenza della maggior parte dei paesi più sviluppati, continua ad aumentare. Una delle conseguenze di questo aumento è la crescita dei centri abitati. Al momento, l’India conta oltre 40 città con un numero di abitanti superiori al milione e due città con oltre dieci milioni di persone. La fame energetica dell’India sta crescendo e stando alle previsioni crescerà del 33% entro il 2050. Il futuro della sostenibilità passa anche per l’India All’orizzonte, però, non c’è solo un semplice aumento della domanda legata al mercato energetico, bensì un preciso interesse dell’India per le fonti di energia rinnovabili. Nel 2008 il paese ha infatti varato un piano d’azione nazionale sul cambiamento climatico, a cui è seguita la firma dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico: in quel caso, il paese si è impegnato a ridurre le emissioni del 33-35% entro il 2030 e ad aumentare la quota di capacità elettrica prodotta da combustibili non fossili al 40%. Un obbiettivo tutt’altro che irraggiungibile dato che, come afferma Parsons, l’energia rinnovabile rappresenta già oggi il 35% della produzione energetica indiana. L’energia solare come risorsa chiave L’energia solare, il cui costo è del 75% inferiore rispetto a quella prodotta tramite combustibile fossile, sembra in India un ambito d’investimento particolarmente promettente. Il ritmo di crescita dell’industria è inusitato e ha raggiunto un aumento di ben dieci volte tra il 2015 e il 2020. L’India può vantare, del resto, un livello di irraggiamento solare nelle regioni più urbanizzate che è più del doppio di quello che si registra nell’Europa meridionale. L’interesse e le politiche governative favorevoli, così come il forte afflusso di capitali privati e pubblici, le condizioni naturali e la demografia – conclude Parsons – stanno favorendo in modo sorprendente la rapida transizione del paese all’energia solare. Come investire sul solare indiano? L’azienda per cui lavora Parsons, Thomas Lloyd, offre peraltro la possibilità di investire nei suoi progetti di realizzazione e gestione degli impianti solari in India. Al momento, tra i vari progetti, l’azienda può vantare la realizzazione del più grande impianto di energia solare del subcontinente, realizzato a Uttar Pradesh.  

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Gli errori nel marketing digitale di broker e consulenti

Scritto il 12.10.2021

Guadagnare l’attenzione dei propri clienti in rete, ormai, non è più un’opzione: è una necessità. Questa affermazione, naturalmente, vale anche per i consulenti finanziari. Thomas Ötinger, managing partner della società di marketing tedesca Marcapo GmbH, ha elencato alcuni errori che è meglio evitare quando si fa pubblicità della propria attività in rete. Agli errori, naturalmente, fa seguire delle utili indicazioni. Le sue istruzioni si rivolgono ai broker assicurativi indipendenti, ma possono essere molto utili anche per i consulenti finanziari autonomi o indipendenti. L’articolo è comparso originariamente su Maklerpool BCA. Trascurare la propria presenza professionale in rete I potenziali clienti della consulenza sono sempre più informati. Sanno muoversi sempre meglio tra le offerte in rete. Le aziende fintech lo sanno bene e puntano proprio su questa fetta di mercato. I consulenti non devono lasciarsi spaventare, ma reagire in modo costruttivo. Si cominci allora con una presentazione di sé stessi chiara, professionale e, possibilmente, simpatica. Dove? Su tutti i canali digitali disponibili: il proprio sito, eventuali portali sui quali si è iscritti e i social network. Quando ci si presenta, bisogna mettere bene in chiaro il proprio ambito di specializzazione, segnatamente la propria qualifica. Ad esempio: broker assicurativo, specialista del credito, esperto d’investimenti, pianificatore finanziario, consulente previdenziale e così via. Bisogna cercare, insomma, di aiutare il più possibile il cliente a capire se possiamo offrirgli quello che sta cercando. Ah, e non dimenticate di aggiungere sempre una vostra foto, mai sfocata, e possibilmente mentre sorridete. Sottovalutare le potenzialità dei canali digitali Molti consulenti sono ancora convinti di potersela cavare senza impegnarsi nella pubblicità in rete, ossia nella promozione del proprio lavoro anche sul web. Peggio ancora, si dimostrano scettici nei confronti del marketing in rete. Se non fosse bastata la pandemia a dimostrare quanto sia importante essere ben posizionati in rete, basterebbe solo fare vedere i vantaggi derivanti da una qualsiasi campagna pubblicitaria online o dall’apertura di un sito web: ci si renderebbe conto del raggio d’azione ben più ampio di quello messo a disposizione dal semplice passaparola o dalla presenza del proprio nome nell’elenco telefonico. E se parto proprio da zero? Esistono delle piattaforme specializzate che facilitano queste forme di promozione. MoneyController, ad esempio, dà la possibilità di aprire un proprio profilo completo, massimizzando le possibilità di contatto con i propri potenziali clienti, che possono cercare un consulente o un broker sulla base delle  sue competenze, dei post che pubblica o della località dove opera. Inoltre, MoneyController prevede anche un sistema di rating da parte degli utenti per migliorare il proprio posizionamento sui motori di ricerca. Comunicare in modo disordinato e frettoloso Fate attenzione ad allineare le vostre informazioni su tutti i canali di comunicazione: i motori di ricerca premiano le informazioni tra loro coerenti, garantendovi un migliore posizionamento. Se cambiate il luogo, le vostre qualifiche o gli orari di apertura dell’ufficio, non dimenticate dunque di aggiornarli ovunque. Anche il design o il logo aziendale devono essere aggiornati dappertutto; questo serve a garantirvi la massima riconoscibilità. Oltre a un aggiornamento costante di tutti i canali di comunicazione, Ötinger suggerisce il ricorso a una dashboard centrale, un sistema di controllo di tutte le attività per affinare le strategie di promozione. Non dimenticate, dunque, di raccogliere regolarmente i dati relativi alla vostra attività professionale e di analizzarli. Non abbiate fretta di fare tutto questo subito, ma piuttosto dedicategli un po’ di tempo ogni giorno. In fondo, se si applica la stessa pazienza che si dovrebbe avere con gli investimenti anche con la promozione della propria attività in rete, i risultati, anche in questo campo, saranno quasi certamente di successo.  

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L’intuizione non c’entra con gli investimenti

Scritto il 11.10.2021

Essere capaci negli investimenti non significa quasi mai affidarsi al proprio intuito: piuttosto, significa sapere condurre a buon termine una strategia per il raggiungimento di certi obbiettivi, la quale non può che basarsi su un’accurata pianificazione e una solida analisi della situazione. Ne parla Gerd Häcker, managing partner della società di gestione patrimoniale Steinbeis & Häcker, in un contributo che è stato ripreso anche dalla rivista FONDS Professionell. Il vantaggio del valore e di una prospettiva di lungo termine In alcune situazioni della vita può essere utile fidarsi dei propri istinti. Questa fiducia deve  subito essere dismessa, però, quando si entra nell’ambito degli investimenti finanziari. Come spiega Häcker, ogni gestore di portafoglio deve affrontare una serie di decisioni sulle quali grava sempre un certo grado di imponderabilità. Insomma, non possiamo sempre prevederne la buona riuscita o meno. Tuttavia Häcker ritiene che l’investitore che è proiettato verso il valore e sul lungo termine ha un vantaggio decisivo sugli altri: conosce esattamente qual è il valore equo (fair value) dei suoi investimenti. L’importanza dei calcoli e dell’analisi sul valore È da una buona analisi dei fondamentali economici che, col tempo, si può trarre infatti il valore maggiore di un titolo. Come scrive Häcker, quantomeno per dare un ordine di grandezza del vantaggio: “Gli investitori orientati al valore possono trovare investimenti nei quali la performance può essere fino a 3-4 volte superiore rispetto al rischio calcolato”. L’analisi, dunque, ripaga ampiamente e in modo molto solido gli sforzi legati all’analisi. Al contrario, fidarsi di un “ragionamento di pancia” difficilmente porterebbe a questi risultati e, sicuramente, non lo farebbe in modo sistematico. Non affidarsi all’intuizione, ma al ragionamento Un approccio intuitivo agli investimenti, per Häcker, rischia di essere un danno più che altro. Prendere decisioni intuitive sui singoli investimenti può portare alla registrazioni di forti perdite nei propri portafogli e, in quel caso, la cosa migliore da fare è abbandonare la posizione. Se invece il portafoglio aumenta di valore potrebbe essere arrivato il momento di aumentare l’investimento: fare scorta, insomma, in modo da poter sfruttare la crescita dei mercati.    

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“Value” o “Growth”: ma che cosa conta davvero?

Scritto il 06.10.2021

Col passare del tempo, la distinzione tra titoli di crescita e titoli di valore sta diventando sempre meno netta. Vale dunque la pena di puntare su quei titoli, come scrive anche Markus Zschabersu “extraETF”, che cercano di combinare entrambi gli aspetti virtuosi dell’una e dell’altra tipologia. La giostra “value”/ “growth” Ormai, le rotazioni sono più frequenti che mai: dopo i primi momenti di panico dovuti al coronavirus, i titoli tecnologici, i titoli “growth” per eccellenza, hanno subito una decisiva spinta in avanti. La rincorsa dei titoli tradizionali e ciclici, quelli “value” è cominciata in estate, per poi spegnersi con il riaccendersi dell’epidemia e delle chiusure. Questa fase è durata fino all’inizio della primavera del 2021, quando i titoli ciclici hanno cominciato la rincorsa, guadagnandosi le prime pagine dei giornali, grazie alle entusiastiche notizie sulla lotta alla pandemia e la crescita economica. Ora, però, dopo la fase di corsa dei “value” sembra essere tornato il tempo dei “growth”, grazie alle azioni delle aziende tecnologiche. Superare la distinzione tradizionale tra “value” e “growth” Eppure, per capirci davvero qualcosa, è sempre più chiaro che la distinzione tra titoli di crescita e di valore non basta più. Le aziende tecnologiche puntano infatti non solo sul loro carattere dirompente (disruptive) sul mercato, ma anche su solidi megatrend come la digitalizzazione e l’automazione. Il fatto che l’orizzonte di crescita delle big-tech americane sia così a lungo termine fa di diritto acquisire loro anche dei tratti di aziende di valore. Se questo è vero per molti titoli tecnologici, Zschaber fa notare che questo vale ancora di più per gli indici tencologici: l’IT, lo sviluppo di software, la tecnologia dell’informazione, certo, ma anche le telecomunicazioni, la biotecnologia, i servizi e l’energia eolica fanno parte dell’indice. La componente “value” di alcuni di questi settori è chiara. Per una nuova strategia di allocazione Dunque, una strategia di allocazione del portafoglio, come dice anche Zschaber, deve tenere certamente conto dei caratteri “value” e “growth” di un titolo come criterio di scelta: ma non per sceglierne uno piuttosto che un altro, bensì per fare in modo che un titolo o, meglio ancora, più titoli in un portafoglio li coprano entrambi. Fonte: https://de.extraetf.com/news/finanznews/wert-und-wachstum-worauf-kommt-es-bei-aktien-an    

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Investire sul megatrend del 5G

Scritto il 06.10.2021

Si chiama “Industria 4.0” ed è il frutto della quarta rivoluzione industriale, al cui centro stanno i processi di automazione e di connessione tra i dispositivi. L’infrastruttura che consentirà al modello produttivo di fare questo salto in avanti è il 5G. Per rendersi conto della differenza che passa con l’infrastruttura precedente, Matthias Kutzscher(Biallo.de) fa notare che il 5G può essere anche 20 volte più veloce del precedente standard di connessione e che, con una latenza possibile di circa un millisecondo, è perfino più veloce dei segnali tra l’occhio umano e il cervello. Interi settori produttivi che vanno dalla catene di montaggio alla telemedicina, fino alle reti energetiche intelligenti si stanno strutturando per poter sfruttare al massimo questa tecnologia. E tecnologie come le auto intelligenti nemmeno sarebbero possibili proprio senza il ricorso al 5G. A tale proposito, Kutzscher riporta le previsioni di CEO di Telekom, Timotheus Höttges, sui costi europei legati al 5G, che si dovrebbero aggirare tra i 300 e i 500 miliardi di euro. La società di consulenza statunitense IHS Markit stima tuttavia introiti sorprendenti: tre trilioni di crescita, cifra che corrisponde al PIL della Gran Bretagna, e 22 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2035. Come fa notare Kutzscher, il 5G non è una tecnologia singola, bensì un ecosistema. Investire sul settore significa investire su una specie di filiera produttiva. Ci sono infatti delle aziende telefoniche come Nokia, Ericsson, Huaweio Samsung, che producono i dispositivi, smartphone compresi, mentre aziende come Applied Materials, Qualcomm, Infineon, Qorvo, Skyworks, Marvell, Nvidia, Soiteco Mikron, che si occupano dei materiali e dei conduttori necessari per la banda larga. In aggiunta, si possono menzionare le aziende che si occupano dei test e della manutenzione delle infrastrutture, così come naturalmente le compagnie telefoniche e di rete. In conclusione del suo articolo, Kutzscher suggerisce la possibilità di investire in portafogli tematici o ETF che ruotano appunto sulla tecnologia 5G. Ad esempio, l’FS Exponential Technologies o il DWS Invest Global Infrastructure. Oppure, l’ETF iShares Digitalisationdi BalckRock, che traccia l’iSTOXX FactSet Digitalisation, oppure il Lyxor MSCI World Telecommunication Services. Si tratta di portafogli che investono in modo tematico sul 5G diversificando o per l’ampiezza di fornitori inclusi o per la trasversalità della copertura all’interno della filiera. Sono tutti investimenti – come precisa Kutzscher in chiusura – che si rivolgono a un settore dell’economia e della società che deve ancora del tutto affermarsi ma che, in previsione, costituisce un importante megatrend dei nostri giorni. Fonte: https://www.biallo.de/geldanlage/news/megatrend-mobilfunk-5g/

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Idrogeno: battaglia persa in partenza?

Scritto il 06.10.2021

È da ormai un paio di decenni che si sente parlare dell’idrogeno come di un’ottima fonte di energia pulita. Il contesto della transizione energetica dovrebbe poi favorire al massimo lo sviluppo di tecnologie capaci di sfruttarne appieno il potenziale. Al contrario, per quanto se ne parli, ci si trova di fronte a un settore che, apparentemente, non sembra volere decollare: come mai? Sulla rivista “Cash.online” il CEO di aream Group (Asset Management Erneuerbare Energien), Markus W. Voigt, si è confrontato con l’argomento. Idrogeno: il caso della Germania e di Video-2000 Lo sviluppo delle tecnologie a idrogeno trova in Germania delle punte di eccellenza. Eppure, a differenza di quanto sta accadendo nel settore della mobilità elettrica, il passo dalla sperimentazione alla piena realizzazione non accade. A Voigt viene in mente il caso del Video-2000, una tecnologia di videoregistrazione ideata proprio in Germania, ma che non riuscì mai a prendere piede. Il motivo fu la mancata commercializzazione della tecnologia. E così ad avere successo fu il sistema di registrazione VHS, che godeva di una qualità inferiore, ma che poteva contare su delle licenze ben più convenienti. Come fa notare Voigt, qualcosa di analogo sta accadendo appunto anche nel mondo dell’energia rinnovabile. Si prenda il caso del sistema di rifornimento della mobilità elettrica, mettendolo a confronto con quello della mobilità a idrogeno: l’azienda di Elon Musk, Tesla, ad esempio, sta allestendo un sistema di ricarica, che può contare su reti composte da migliaia di stazioni; al contrario, l’idrogeno conta solo un centinaio di stazioni di rifornimento nei maggiori paesi europei e circa 1.300 in tutto il mondo. Ancora spazio per l’idrogeno Che la vittoria della mobilità elettrica su quella a idrogeno sia un bene per l’ambiente non è del tutto vero: come spiega Voigt, le auto elettriche sono certamente molto ecologiche dal punto di vista dei consumi, perché produrre elettricità e consumarla non inquina affatto; tuttavia, produrre i sistemi di conservazione, ossia le batterie, inquina. Nel caso dell’idrogeno, la produzione dei sistemi di stoccaggio impatterebbe invece meno sull’ambiente: ecco perché l’idrogeno resta, in linea di principio, preferibile. La battaglia dell’idrogeno sulla mobilità è persa, ma… La battaglia dell’idrogeno è dunque persa? Per quanto riguarda la mobilità è probabile di sì. C’è però un settore nel quale l’idrogeno potrebbe ancora fare valere le sue carte: parliamo dell’industria. Come scrive Voigt, nonostante la resistenza che opporrebbero gli esistenti sistemi di rifornimento via energia elettrica, dei sistemi di rifornimento energetici a idrogeno per delle industrie sono già stati progettati. Bene: il loro utilizzo potrebbe essere esteso su larga scala. Il ricorso all’idrogeno da parte dell’industria produttiva, del resto, potrebbe essere davvero interessante, dato che si tratta di una fonte energetica molto performante e decisamente poco inquinante. Un nuovo mercato per le energie rinnovabili, segnatamente per l’idrogeno, potrebbe dunque potenzialmente ancora aprirsi.  Fonte: https://www.cash-online.de/investmentfonds/2021/wasserstoff-der-kampf-ums-auto-ist-verloren/573824   

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Se la sostenibilità è un fattore di valore

Scritto il 05.10.2021

Sulla rivista extraETF è comparso un articolo nel quale si identifica la sostenibilità come un elemento di valore degli investimenti. Vediamo più da vicino in che senso. La sostenibilità potrebbe essere infatti il criterio capace di sparigliare le carte tra azione “value” e “growth”. In altre parole, si può dire che il rapporto P/E, che costituiva un indicatore per differenziare un investimento orientato al valore da uno orientato alla crescita non basta più. In particolare, come suggerisce l’articolo di extraETF ,il criterio migliore per individuare un investimento di valore è la sostenibilità. Il successo duraturo di un’azienda si misura dalla sua capacità di sapersi progettare e proiettare nel futuro. La sostenibilità di un’azienda non si misura infatti solo sulla base dell’attenzione che essa pone nella questione del cambiamento climatico. ExtraETF mette a confronto aziende come Bionteche Moderna, da un lato, e Mercke Sanofi, dall’altro. Nel caso delle prime due è chiaro che il fatto di lavorare su una tecnologia mRNA sia da considerare più promettente che operare nel campo tradizionale dei farmaci, come fanno i secondi. In maniera certamente più evidente questo vale perle aziende che puntano sull’energia rinnovabile anziché sui combustibili fossili. Un aspetto da considerare, poi, sempre come si legge nell’articolo, è che le aziende individuate come “sostenibili” possano contare su un’alta barriera all’entrata nel settore in cui operano(cioè non ci sia troppa concorrenza) e che i loro prodotti possano contare su un valore aggiunto. Infine, la corporate governance ESG-compliant e il fatto di poter allineare il proprio business con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU costituiscono una garanzia in più per un successo duraturo (e in questo, sottolinea la rivista, Merck torna a essere competitiva). Ci sono poi aspetti tipici delle aziende di valore che combaciano perfettamente con un più generale ed efficace criterio di sostenibilità. Ora che il Covid ha dimostrato la possibilità che si manifesti un cigno nero da un momento all’altro, è chiaro quanto sia importante un bilancio solido per un’azienda: essa deve poter contare infatti proprio su un capitale che le permetta di affrontare dei momenti difficili, così come sulla possibilità di sostenere investimenti e ricerca rivolti al futuro. Un altro aspetto simile è la diversificazione della platea dei clienti. Aziende come LVMHe L'Oréal hanno subito meno i contraccolpi della crisi, grazie al fatto di poter contare su una clientela forte anche in Asia, mentre al contrario (riprendendo gli esempi citati dalla rivista) Bosse Henkel, che erano orientati prevalentemente sull’Europa, hanno sofferto di più. Sulla rivista dedicata agli investimenti passivi, gli esperti sottolineano come importanti le seguenti tendenze: la salute, la tecnologia, la green economy e l’alimentazione, che sono appunto tra i settori preferibili dal punto di vista della sostenibilità. Invece, i settori come il turismo e l’aeronautica, ma anche le aziende che ricorrono al carbone e all’acciaio sarebbe meglio – si legge sempre nell’articolo – venissero evitate. Ci sono poi settori d’investimento, come la chimica, le automobili, l’industria mineraria e l’edilizia, che varrebbe la pena di tenere sempre sotto controllo, naturalmente sotto il profilo della sostenibilità. Fonte: https://de.extraetf.com/news/finanznews/nachhaltigkeit-esg-wird-zum-value-faktor  

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Per gli economisti della BCE i Bitcoin sono un’illusione collettiva

Scritto il 05.10.2021

Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung è comparso un articolo nel quale viene riportato il parere di Jürgen Schaaf, consulente per le infrastrutture di mercato e i metodi di pagamenti della BCE e Ulrich Bindseil, direttore generale per la stessa area nel comitato esecutivo della BCE. Entrambi condividono le stesse riserve nei confronti della criptomoneta più famosa al mondo, il bitcoin. Per entrambi, si tratta senza mezzi termini di un’“illusione collettiva”. I Bitcoin non sono riserve di valori affidabili I bitcoin costituiscono ancora per molti una speranza di arricchirsi. Per altri sono persino il simbolo di una nuova forma di denaro libera e indipendente grazie alla rete. Eppure, sono ancora troppo pochi coloro che si sono resi davvero conto dei rischi a cui vanno incontro investendo in bitcoin. Le frequenti oscillazioni del loro valore ne fanno un cibo abituale per gli speculatori. Ma pensare di poter contare su di essi come riserva di valore rischia soltanto di condurre verso brutte sorprese. Con una capitalizzazione di mercato superiore ai mille miliardi di dollari, Schaaf e Bindseil hanno gioco facile nel dire che un eventuale crollo del loro valore rischia di avere gravi conseguenze sociali. Molti risparmiatori, in sostanza, rischiano di vedersi bruciare sotto gli occhi somme di denaro anche molto grandi. I due rischi degli investimenti in bitcoin I rischi a cui vanno incontro i bitcoin sono molti, ma ce ne sono due in particolare da menzionare. Il primo è costituito dall’attività delle autorità di vigilanza, che stanno mettendo a punto norme sempre più stringenti in relazione allo scambio di criptovalute. Il secondo è la difficile introduzione dei bitcoin come veri e propri mezzi di pagamento. Lo dimostra il caso di El Salvador, che rappresenta un mezzo fallimento, a causa delle diffidenza manifestata da parte della maggior parte della popolazione. In aggiunta a questi due problemi, c’è poi una questione anche tecnica, legata al funzionamento della criptomoneta, sollevata dai due esperti della BCE: “Questo, che viene venduto come mezzo di protezione dall’inflazione, porterà in un’economia che cresce a un opposto fenomeno di deflazione”. Il futuro dei Bitcoin: lo scoppio della bolla Come finirà dunque la vicenda dei bitcoin? Per i due esperti, terminerà con lo scoppio di una bolla. Il prezzo di bitcoin, infatti, continuerà a crescere finché qualcuno sarà disposto a pagare ancora di più per acquistarne. Quando le persone disposte a farlo cominceranno a scarseggiare, la bolla scoppierà. Per i due esperti, del resto, la speculazione è stata finora l’unico motivo di crescita delle criptovalute. Per questo motivo non ci potrà mai essere un bitcoin sostenibile, ossia utilizzabile al pari di qualsiasi altra valuta ufficiale. Fonte: https://www.fondsprofessionell.de/news/maerkte/headline/oekonomen-bescheinigen-bitcoin-fans-kollektive-selbsttaeuschung-209854/

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ETF, istruzioni per l’uso per un principiante

Scritto il 05.10.2021

Il redattore di extraETF (rivista e piattaforma dedicata a questa tipologia di investimenti passivi) Thomas Brummer ha pubblicato un articolo nel quale illustra sette punti molto utili da tenere in considerazione per chi vuole cominciare a investire in ETF. Riportiamo anche noi qui alcune delle considerazioni più interessanti presenti nell’articolo.  Cos’è un ETF e quali vantaggi offre? Investire in ETF non è difficile: dalle banche alle società d’investimento fino ai neobroker online sono molti i fornitori di servizi finanziari che lo rendono possibile. Molti si chiedono se sia la scelta giusta investire, di fatto, in un pilota automatico; investire in un ETF, infatti, significa investire in un indice, riproducendone la traiettoria. La differenza coi fondi attivi è chiara: nel caso in cui un manager avesse investito su un indice, potrebbe modificare in ogni momento la composizione del suo portafoglio. Dunque, potrebbe in ogni momento ottenere un risultato migliore rispetto all’indice, ma anche peggiore. Brummer sostiene che gli ETF offrono almeno due vantaggi rispetto ai fondi attivi: costi di gestione inferiori e, sulla base degli storici dei mercati, garanzie di rendimento crescente col passare del tempo. Cosa devo fare quando possiedo un ETF? Investire in un ETF, suggerisce Brummer, potrebbe sembrare persino noioso rispetto a come siamo abituati a immaginarci il mondo della finanza. Non serve infatti né verificarne costantemente l’andamento, né tantomeno controllarne la data di scadenza, dato che non ne hanno mai una in assoluto. Ci sono solo un paio di eccezioni che prevedono l’intervento della gestione attiva nel fondo. La prima consiste in un consigliabile riequilibrio della ponderazione del portafoglio d’investimenti, solitamente una volta all’anno. La seconda, come ricorda Brummer, accade nel caso in cui le prospettive di rendimento di lungo periodo calino così tanto, da spingere il fornitore a chiudere il fondo e a rimborsare gli investitori, oppure da spingere sempre il fornitore a reindirizzare l’investimento su un altro indice. In che modo investo e quanto spendo con un ETF? Se si è alla ricerca di prodotti particolarmente diversificati, Brummer cita degli indici come lo MSCI ACWI o il FTSE All World, ossia indici che investono su un ventaglio amplissimo di prodotti, riducendo così l’eventuale volatilità di una parte di essi. Il suggerimento va agli indici mondiali (che coprono disparati settori dell’economia reale), ma è possibile optare anche per più ETF tra loro diversi, in modo da creare un sistema di contrappesi. Per quanto riguarda invece i costi, uno dei modi per individuare i costi vivi di gestione di un ETF è abbastanza semplice: basta infatti considerare il “tracking difference”, ossia il differenziale tra l’indice in cui si investe e il rendimento dell’ETF, che è la migliore rappresentazione dei costi di gestione di un ETF, persino preferibile alla Total Expense Ratio (TER). Un ETF può funzionare come piano di risparmio? Brummer risponde infine a questa domanda: investire in un ETF può essere un buon modo per risparmiare sul lungo periodo, magari guardando alla pensione? In fondo, si tratta di un investimento particolarmente adatto per chi ha obbiettivi di lungo periodo. Certamente, sono molti i fornitori che la pensano in questo modo. In particolare, alcune banche dirette o neobroker online sono persino in grado di offrire dei piani di risparmio ETF gratuiti, ossia senza commissioni, per chi decide di cominciare a investire in un ETF. https://de.extraetf.com/news/etf-news/tipps-diese-7-antworten-sind-goldwert-fuer-etf-einsteiger  

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Le obbligazioni europee in crisi di liquidità

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  • Obbligazioni - investimenti obbligaz
Scritto il 04.10.2021

Recentemente,Bloomberg ha calcolato una diminuzione di 21 miliardi di euro in obbligazioni negoziabili sul mercato europeo. Vediamo un po’ più da vicino che cosa significa questo dato. Una simile diminuzione dell’offerta sul mercato obbligazionario corporatenon accadeva dal 2005. Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) questa notizia viene commentata come la “giapponesizzazione” del mercato del credito europeo. A provocare questa situazione sono, da un lato, i riacquisti e i rimborsi in sospeso, dall’altro – soprattutto – gli acquisti di obbligazioni della Banca Centrale Europea(BCE). È una situazione in parte nota, dato che lo stesso fenomeno ha già riguardato le obbligazioni statali. Ma che cosa significa, di fatto, tutto questo? Con la sua azione, la BCE ha ridotto al minimo l’oscillazione del mercato obbligazionario e anche la quantità di obbligazioni scambiabili, allontanando gli investitori che avrebbero voluto o potuto approfittarsene. Questa situazione sembra possa minare l’efficienza dei mercati, dato che è difficile in una simile condizione artificiale prezzare le obbligazioni in modo adeguato.James Vokins, che dirige la sezione di Aviva Investorsche si occupa dei crediti high grade, pensa che tutto ciò potrebbe portare a una duratura fase di stallo del mercato del credito. La situazione, come si legge sulla FAZ, è dovuta principalmente al fatto che le aziende, in questo momento, non hanno bisogno del credito che pure la BCE garantisce loro: i debiti sono saliti nel 2020, mentre quest’anno, al contrario, gli incassi viaggiano verso delle cifre da record. Sebbene il grosso piano di acquisti cominciato nel 2016 non verrà al momento interrotto, la BCE ha comunque deciso di rallentare il Programma di acquisto di emergenza pandemico(PEPP).   Il rischio paventato dagli esperti, come si diceva, è quello di trasformare il mercato obbligazionario europeo in qualcosa di simile al mercato del debito di stato giapponese. Ad agosto, per dare l’idea, sul mercato nipponico non c'è stata alcuna negoziazione di obbligazioni a 10 anni. Tornando in Europa, in una situazione nella quale il mercato subisce una forte distorsione da parte della BCE, la vita per gli investitori in obbligazioni si fa difficile: la concorrenza è alta e trovare dei tassi d’interesse accettabili resta difficile. Come si legge sulla FAZ, i gestori sono dunque costretti o ad acquistare un po’ quello che capita loro sottomano, oppure a lasciare le loro risorse inutilizzate.   Fonte https://www.faz.net/aktuell/finanzen/unternehmensanleihemarkt-unter-druck-wegen-mangelnder-liquiditaet-17546051.html

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Il boom della domanda di rating per l’ESG

Scritto il 04.10.2021

Quanto sta crescendo la domanda di rating legata ai fondi ESG? Uno studio della società parigina di analisi e consulenza Novethic ha provato a dare una risposta. Le cifre astronomiche del mercato dei fondi ESG Mille miliardi di euro in gestione è la soglia da poco superata dai fondi d’investimento targati ESG. Sono cifre astronomiche, che indicano un mercato diventato tanto grande quanto difficile da esplorare in modo completo. Attenzione, però: questa cifra si riferisce non ai fondi ESG in sé, ma a quelli sottoposti a uno o a più dei nove rating qualitativi di fondi ESG europei. L’analisi di Novethic è arrivata a contarne 1.600 al 30 di giugno di quest’anno. Un’accelerazione davvero sorprendente Vale la pena fare il paragone con il 2019 per comprendere quanto davvero si sia impennata la richiesta di un rating ESG. Bene, fino a marzo di due anni fa il numero dei fondi ad aver ricevuto almeno uno di questi rating non era molto superiore a 400. In totale, quei fondi gestivano un volume di attivi di 94 miliardi di euro. Basta fare i conti con i dati forniti prima per arrivare a questa conclusione: solo nei primi sei mesi di quest’anno, il patrimonio dei fondi con l’etichetta di sostenibilità è aumentato ben del 45%. Già: ma quali sono le certificazioni sostenibili di maggior successo? La ricerca ha anche dato indicazioni sul successo di alcune etichette ESG. Bisogna ricordare, infatti, che sotto il cielo della sostenibilità regna una certa confusione: sono molte le certificazioni sul mercato, le quali si fanno tra loro anche una certa concorrenza. L'etichetta che va per la maggiore è la SRI francese, che risale al 2015: 744 fondi con poco meno di 560 miliardi di euro in gestione. Poi, c’è “Towards Sustainability”, più recente, del 2019, che si deve all’Associazione belga del settore finanziario: nonostante sia recente, riguarda ben 618 prodotti che detengono 436 miliardi di euro di attività. Segue l’Ecolabel austriaco e l’etichetta FNG, che è in crescita e interessa la regione DACH (i paesi germanofoni: Germania, Austria e Svizzera): a oggi 281 fondi hanno fatto richiesta per la certificazione FNG, che significa +60% sull’anno scorso. Il marchio è stato introdotto nel 2015 e, da allora, la richiesta e l’ottenimento è aumentato di ben sette volte.   Fonte: https://www.fondsprofessionell.de/news/vertrieb/headline/so-stark-boomt-die-nachfrage-nach-esg-fondsratings-209930/

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