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Costi dei fondi: la differenza tra quelli esposti e quelli veri

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  • Fondi Comuni di Investimento
Scritto il 04.11.2021

Che disparità c’è tra i costi che presenta un fondo e quelli che dovrà realmente sostenere poi chi investe? Un’analisi piuttosto approfondita sull’argomento è comparsa sulla rivista in lingua tedesca FONDS professionell ONLINE. A realizzarla sono stati Alexander Romanski della società di gestione di capitali R.I. Vermögensbetreuunge Gösta Jamin, professore all’Università di Scienze Applicate di Ludwigshafen. Ne riprendiamo anche noi qui di seguito giusto qualche considerazione. Il triangolo dei costi di un fondo Come suggeriscono gli autori della ricerca, per cominciare a introdurre l’argomento sui costi attesi e quelli effettivi di un fondo d’investimento, immaginiamo un triangolo. Il primo lato corrisponde alle aspettative degli investitori: in riferimento ai costi, gli investitori hanno l’obbiettivo di spendere il meno possibile, in modo da massimizzare il rendimento atteso del fondo. Il secondo lato corrisponde alle aspettative dei consulenti d’investimento: più che i costi, ai consulenti interessa massimizzare il rendimento, in modo da potersi ritagliare una percentuale consistenze all’interno dei ricavi. Il terzo lato corrisponde alla società di gestione del fondo: al pari dei consulenti, anche le società vogliono massimizzare i rendimenti, ma con lo scopo di piazzarsi in cima alle classifiche e rendere attraente il prodotto; allo stesso tempo, inoltre, sono interessate a presentare dei costi di gestione che non solo coprano le spese, ma che permettano loro anche di guadagnare il più possibile.   Il TER: costi previsti e non previsti Ora, come sa chi investe, e come si legge anche su FONDS professionell, gli investitori e i consulenti d’investimento difficilmente riescono a ottenere una completa trasparenza sui costi dei fondi. Certo, la divulgazione del Total Expense Ratio (TER) è obbligatoria e ha almeno due funzioni: la prima, ovvia, è fornire una certa trasparenza nella struttura dei costi (il TER indica i costi del fondo in rapporto al suo patrimonio complessivo); la seconda è fornire un criterio di comparabilità tra i diversi fondi. Tuttavia, il TER non contiene proprio tutti i costi effettivamente sostenuti. Mancano infatti le seguenti voci: il supplemento di emissionee le commissioni basate sulla performance, così come gli interessi derivanti dalle spese di credito, gli eventuali costi di transazione o le altre spese e i costi per le operazioni di copertura. È chiaro che tutte queste voci di spesa sono di solito riportate nelle relazioni annuali dei fondi. Ma non sono invece né individuabili né prevedibili dalla semplice consultazione del TER.      

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SPAC: meglio evitarle?

Scritto il 03.11.2021

Investire nelle SPAC (“Special Purpose Acquisition Company”) sembra stia diventando sempre più popolare, anche tra i piccoli investitori. Pur non negando le grandi possibilità di profitto che in certi casi ne derivano, FONDS Professionell ha pubblicato sul portale on-line il parere di due esperti d’investimento, i quali mettono in guardia i piccoli investitori da questa tipologia d’investimento. Cosa significa investire nelle SPAC? Investire sulle SPAC significa, di fatto, investire in aziende che ancora non esistono. Per alcuni, questo può suonare come una grande opportunità. Essere tra i primi a intuire le potenzialità di un’azienda che ancora non si è sviluppata può regalare non solo la soddisfazione di avere capito qualcosa in anticipo: si tratta di moltiplicare i propri guadagni. Già: ma il caso delle SPAC è, se possibile, ancora più ardito. Si tratta di fornire dei finanziamenti per l’acquisizione di piccole aziende, con la prospettiva di cambiarne il volto. Quali aziende? Spesso, nemmeno lo si sa. Lo scopo delle SPAC è appunto quello di raccogliere una quota di capitale sufficiente e, solo in seconda battuta, provvedere all’acquisto e allo sviluppo di un’azienda. Perché fare molta attenzione quando si investe nelle SPAC Ora, come fa notare Stephan Albrech, presidente della Albrech & Cie Vermögensverwaltung AG, se gli investitori devono esercitare una certa cautela nei confronti delle normali quotazioni in borsa delle aziende (le IPO), questo discorso vale a maggior ragione per le SPAC. Il punto, come sostiene Albrech, è che non si può fare affidamento sulla bontà di un’azienda (che ancora non c’è, o che va trovata, oppure ancora che è soltanto ai suoi inizi): l’unica garanzia di successo, quando si comincia, è data dalle capacità di chi mette insieme i finanziamenti. Il gestore di portafoglio per le azioni globali di Bantleon,Oliver Scharping, consiglia di andare altrettanto cauti. Se è vero che l’investimento giusto può portare grandi vantaggi, è vero anche che, nel caso delle SPAC, il rischio di fallimento è molto alto; e che le loro condizioni di finanziamento, all’approssimarsi della fine del loro ciclo di vita, vengono spesso siglate ad ogni costo – e, dunque, in modo svantaggioso. Al termine dell’articolo, la parola ripassa poi a Stephan Albrech. Il gestore patrimoniale sostiene che investire su più SPAC non costituisce altresì una garanzia di diversificazione. Piuttosto, Albrech suggerisce agli investitori di puntare su degli indici precisi (magari via ETF), in particolare su quei settori tematici che si presume verranno premiati in futuro (come, ad esempio, quelli legati alla digitalizzazione). Senza dimenticare di diversificare, con investimenti aggiuntivi, anche quei gruppi di titoli.       URL: Investire nelle SPAC(“Special Purpose Acquisition Company”) sembra stia diventando sempre più popolare, anche tra i piccoli investitori. Pur non negando le grandi possibilità di profitto che in certi casi ne derivano, FONDS Professionellha pubblicato sul portale on-line il parere di due esperti d’investimento, i quali mettono in guardia i piccoli investitori da questa tipologia d’investimento.   Cosa significa investire nelle SPAC?   Investire sulle SPAC significa, di fatto, investire in aziende che ancora non esistono. Per alcuni, questo può suonare come una grande opportunità. Essere tra i primi a intuire le potenzialità di un’azienda che ancora non si è sviluppata può regalare non solo la soddisfazione di avere capito qualcosa in anticipo: si tratta di moltiplicare i propri guadagni. Già: ma il caso delle SPAC è, se possibile, ancora più ardito. Si tratta di fornire dei finanziamenti per l’acquisizione di piccole aziende, con la prospettiva di cambiarne il volto. Quali aziende? Spesso, nemmeno lo si sa. Lo scopo delle SPAC è appunto quello di raccogliere una quota di capitale sufficiente e, solo in seconda battuta, provvedere all’acquisto e allo sviluppo di un’azienda.   Perché fare molta attenzione quando si investe nelle SPAC   Ora, come fa notare Stephan Albrech, presidente della Albrech & Cie Vermögensverwaltung AG, se gli investitori devono esercitare una certa cautela nei confronti delle normali quotazioni in borsa delle aziende (le IPO), questo discorso vale a maggior ragione per le SPAC. Il punto, come sostiene Albrech, è che non si può fare affidamento sulla bontà di un’azienda (che ancora non c’è, o che va trovata, oppure ancora che è soltanto ai suoi inizi): l’unica garanzia di successo, quando si comincia, è data dalle capacità di chi mette insieme i finanziamenti.   Il gestore di portafoglio per le azioni globali di Bantleon,Oliver Scharping, consiglia di andare altrettanto cauti. Se è vero che l’investimento giusto può portare grandi vantaggi, è vero anche che, nel caso delle SPAC, il rischio di fallimento è molto alto; e che le loro condizioni di finanziamento, all’approssimarsi della fine del loro ciclo di vita, vengono spesso siglate ad ogni costo – e, dunque, in modo svantaggioso.   Al termine dell’articolo, la parola ripassa poi a Stephan Albrech. Il gestore patrimoniale sostiene che investire su più SPAC non costituisce altresì una garanzia di diversificazione. Piuttosto, Albrech suggerisce agli investitori di puntare su degli indici precisi (magari via ETF), in particolare su quei settori tematici che si presume verranno premiati in futuro (come, ad esempio, quelli legati alla digitalizzazione). Senza dimenticare di diversificare, con investimenti aggiuntivi, anche quei gruppi di titoli.              

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Come prepararsi a un crollo dei mercati

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  • Formazione/Educazione Finanziaria
Scritto il 03.11.2021

Il fondatore della società di consulenza finanziaria indipendente Friedrich Vermögenssicherung GmbH, Marc Friedrich, è un commentatore finanziario molto conosciuto in Germania. Friedrich si è recentemente espresso senza mezzi termini sul futuro dei mercati: l’esperto crede infatti che manchi poco, ormai, al più grande crollo dell’economia e dei mercati della nostra storia recente. Ma al più grande crollo di tutti i tempi corrisponde, secondo lui, anche “La più grandi chance di tutti i tempi”, come recita il titolo del suo nuovo libro. Vediamo un po’ più da vicino qual è la sua posizione. La crisi come punto di svolta Il ragionamento di Marc Friedrich prende le mosse dal fatto che le crisi, più che oscuri buchi neri, per quanto difficili da affrontare, siano punti di svolta per l’umanità, dai quali è possibile imparare e andare avanti. In questo momento, ci troviamo in un periodo che corrisponde a un semplice conto alla rovescia verso la prossima crisi. Qualcuno potrebbe pensare che la vera crisi che abbiamo vissuto sia quella legata al coronavirus: per Friedrich si tratta invece soltanto di un acceleratore. Uno dei segni della crisi, già nel settembre del 2019, era stato l’inizio del vasto piano di acquisti dei titoli finanziari da parte dell’americana Federal Reserve. I pacchetti di aiuti all’economia e il proseguimento dei piani di acquisti dei titoli, infatti, sono stati solo accelerati e ingigantiti dalla crisi pandemica. Segnali che non fanno ben sperare Friedrich indica altri segnali di crisi legati al nostro tempo. Uno di questi è il collasso del sistema monetario. La prova è data da fatto che, volendo invertire la prospettiva, il potere d’acquisto del dollaro e dell’euro è diminuito enormemente nei confronti delle criptomonete come i bitcoin. Certo, come ammette anche Friedrich, in questi mesi, grazie alla possibilità di viaggiare e di riprendere la vita che avevamo condotto prima della pandemia, l’economia ha conosciuto una rapida ripresa. Ma questa ripresa non durerà poi così a lungo: stando ai dati della Schufa (ente tedesco che monitora il livello di indebitamento delle imprese), sono migliaia i casi di possibili insolvenze, così come moltissimi saranno i negozi che sicuramente non potranno più riaprire; senza contare gli effetti collaterali legati alle misure finora adottate per combattere la recessione, come l’aumento dell’inflazione, ad esempio. Una risposta inadeguata alla crisi La risposta alla crisi del 2008 è stata un fallimento: ha, nelle parole di Friedrich, “zombificato” l’economia (mantenendo in vita imprese virtualmente fallite), ha abbassato i tassi d’interesse e ha contribuito a erodere il potere d’acquisto e la ricchezza della classe media, giovando perlopiù a chi già aveva cospicui patrimoni a disposizione o a chi è riuscito a speculare sui mercati, data la grande liquidità di denaro circolante. In una situazione sempre più difficile, per Friedrich il rischio economico può persino trasformarsi in rischio politico, ossia una minaccia per la democrazia. Puntare sui settori più innovativi dell’economia e della finanza L’alternativa, come sostiene l’esperto, è puntare in modo costruttivo e virtuoso sui grandi trend della nostra epoca, come la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale, strumenti che potrebbero migliorare non solo le nostre condizioni di lavoro ma anche le forme di gestione da parte della politica. La digitalizzazione, per Friedrich, deve servire però a riportare i singoli individui al centro dell’interesse dell’economia e della società, non a escluderli ancora di più. Puntare sulle riserve di valore e sulle materie prime La fiducia nella digitalizzazione porta Friedrich a consigliare come investimento le criptovalute, in particolare i bitcoin. Ma lo porta anche a suggerire di puntare su degli investimenti più tradizionali, come l’oro e l’argento. Non è un caso, del resto, che le banche centrali continuino a detenere grosse quantità d’oro. Altri suggerimenti d’investimento riguardano le azioni collegate alle aziende minerarie, in particolare a quelle che estraggono rame, nichel ma anche uranio, di cui Friedrich prevede la rinascita dell’industria. La ragione è che, da una parte, la crescita demografica imporrà forme energetiche sempre più efficienti; dall’altra, la domanda di digitalizzazione e intelligenza artificiale trainerà il settore della componentistica e della realizzazione di chip. Una proposta di asset allocation Friedrich si spinge anche a suggerire una asset allocation ottimale per affrontare la crisi dei prossimi anni: 20% bitcoin, 30% immobiliare (settore in questo momento al suo apice ma che, nonostante le correzioni di mercato, salirà di nuovo in futuro), 20% in azioni dedicate alle catena produttiva delle materie prime e il restante 30% in metalli preziosi.

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Le emozioni sui mercati ci tradiscono: come superare l’impasse?

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  • Finanza Comportamentale
Scritto il 02.11.2021

I fratelli Mats e Matti Wolk lavorano entrambi per la società Barbarossa Asset Management e sono entrambi impegnati, nel loro lavoro, anche in una specifica attività di educazione finanziaria. Un loro interessante articolo sulla finanza comportamentale, che vale la pena di riprendere, è stato pubblicato anche sulla rivista “Das Investment”. La favola dell’homo oeconomicus Molte cose sono cambiate da quando l’economista scozzese Adam Smith teorizzò l’homo oeconomicus, un modello ideale di comportamento dell’uomo in relazione all’economia. La razionalità, invece – come hanno dimostrano molti degli studi successivi – svolge un ruolo decisamente da ridimensionare nelle nostre scelte. Spesso, infatti, intervengono fattori legati alla casualità, ai condizionamenti sociali e alle nostre emozioni. La finanza comportamentale studia l’intrecciarsi della psicologia, della sociologia e della finanza nei comportamenti umani. Ne fuoriesce un modello umano ben diverso dall’idea di Smith; un modello comunque caratterizzato da alcune costanti. Il bias di conferma e la riduzione della dissonanza Mats e Matti Wolk parlano ad esempio del “bias di conferma”: è un comportamento che spinge chi investe a ignorare con maggiore facilità (e, in alcuni casi, a farlo sistematicamente) le notizie e le informazioni che contraddicono le nostre aspettative; al contrario, abbiamo una ben maggiore propensione ad accettare le notizie che confermano le nostre idee. Ogni forma di dissonanza (cognitiva) viene combattuta, in certi casi anche cambiando la propria strategia d’investimento. Perdere: la paura più grande Daniel Kahnemane Amos Tsversky, come ricordano i fratelli Wolk, dimostrarono molto chiaramente che l’uomo preferisce evitare una perdita piuttosto che provare a guadagnare. Ciò comporta che in un portafoglio d’investimenti si ha questa tendenza: ben prima di quando sarebbe realmente il caso di farlo, ci si disfa troppo in anticipo dei titoli che vanno meglio e troppo in ritardo di quelli che vanno peggio. In gioco entra anche la propria reputazione, considerata inconsciamente più importante rispetto ai propri interessi: se vendo un’azione che sta andando male significa e riconosco che mi ero sbagliato, se non lo faccio, invece, vuole dire che nutro ancora fiducia nella mia decisione. Come superare le trappole emotive? Non è vero che non si sono rimedi agli scherzi che ci giocano le nostre emozioni sui mercati. I fratelli Wolk indicano due soluzioni: affidarsi in certi ambiti di più alla tecnologia e continuare a formarsi in merito ai rischi e ai meccanismi dei mercati. Ciò è urgente, a maggior ragione perché i software stanno rendendo la finanza sempre più democratizzata ed estendendo alle masse la possibilità di investire direttamente. Formare i cittadini del futuro, fin da piccoli, ai rischi legati all’emotività quando si parla di denaro e affidare alcune scelte delicate all’intelligenza artificiale, tuttavia, può aiutare molto gli investitori a curare in maniere più efficace i propri interessi.          

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Health care: il punto della situazione dal lato degli investimenti

Scritto il 02.11.2021

La pandemia del 2020 ha cambiato molte cose e sta tuttora influendo in modo notevole sul settore dell’health care. Come emerge da un articolo di Bernd Lammert comparso sulla rivista “extraETF” è giusto confrontarsi con la situazione in atto, senza però trascurare il fatto che a guidare il settore saranno dei trend di lungo periodo. Lo stato attuale della pandemia L’Università John-Hopkins calcola che le persone a cui è stato confermato di avere contratto il Covid-19 attualmente nel mondo sono ben 250 milioni. I morti complessivi dall’inizio della pandemia stanno per raggiungere la cifra di 5 milioni. La situazione, naturalmente, è molto diversa rispetto a quella di un anno e mezzo fa: le campagne vaccinali hanno riscosso un grande successo e molti oggi possono condurre una vita praticamente normale.Moderna calcola che entro la metà dell’anno prossimo sarà possibile avere una quantità di vaccini tale da poter immunizzare l’intera popolazione mondiale. Certo, bisognerà pensare a delle forme di vaccino ripetute nel tempo, soprattutto per le fasce di popolazione più a rischio, dato che la protezione che forniscono i vaccini a RNA diminuisce nel tempo. L’health care è un’opportunità per il futuro La previsione, dunque, è quella di tornare prima o poi alla normalità completa e, per questa ragione, il boom delle azioni legate alle produttrici di vaccini può, al momento, dirsi concluso. Continuando a parlare di opportunità d’investimento, Lammert cita le conclusioni a cui è giunta la divisione di ricerca di NordLB, che vede due importanti traini del settore dell’health care: il cambiamento delle abitudini legate allo stile di vita e l’aumento della capacità di spesa degli abitanti dei paesi emergenti. Nello stesso articolo si può leggere anche il parere di Rainer Beckmann di ficon Vermögensmanagement GmbH, che prevede che entro il 2030 i paesi OCSE destineranno al settore della salute il 10% del loro PIL. A interessare gli investitori, aggiunge Beckmann, non dovrebbero essere peraltro solo i grandi attori del mercato, ma anche quelli più piccoli, che definisce come delle vere e proprie “perle” del mercato health care. Il settore della salute e l’innovazione A conclusione dell’articolo, come di consueto, la rivista invita a prendere in considerazione degli investimenti possibili. Si parla, ad esempio, del HANetf HAN-GINS Indxx Healthcare Innovation UCITS ETF, un indice che raccoglie le aziende impegnate nel settore sanitario che guardano con attenzione all’innovazione. Il settore infatti sta ricevendo significativi contributi da ambiti che sono all’avanguardia dal punto di vista dell’innovazione, come le nanotecnologie, le tecniche di sequenziamento del DNA, la robotica, la bioingegneria e la bioinformatica.    

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Perché investire sull’obbligazionario emergente

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  • Obbligazioni - investimenti obbligaz
Scritto il 30.10.2021

FONDS Professionell riporta l’analisi Recai Güneşdoğdu, direttore degli investimenti sui mercati emergenti di Nomura Asset Management, in riferimento al suo ambito di competenza. La riprendiamo anche noi brevemente. La crisi temporanea dei mercati emergenti I mercati emergenti stanno attraversando una fase complicata. Le ragioni di questa crisi provengono sia dall’esterno sia dall’interno. Dall’esterno, arrivano infatti sempre più incombenti le notizie sulla riduzione dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, che potrebbero intaccare l’afflusso dei capitali. Dall’interno, ci sono una serie di notizie abbastanza preoccupanti, tra le quali la crisi del mercato immobiliare cinese, da un lato, e il rallentamento nella lotta alla pandemia, che rischia di colpire con forza rinnovata, dall’altro. Ecco perché le obbligazioni in valuta locale hanno perso dall’inizio dell’anno circa il 6%. Nonostante queste notizie, Güneşdoğdu offre alcune ragioni per cui continuare a investire negli emergenti, segnatamente proprio nel settore obbligazionario. I fattori di forza dei mercati emergenti Se è vero che l’innalzamento dei tassi della Fed potrebbe contrarre il mercato dei capitali, le preoccupazioni per gli emergenti non dovrebbero essere eccessive. In molti paesi, il pericolo dell’inflazione è già stato contrastato proprio con l’innalzamento dei tassi d’interesse. Ciò, peraltro, ha comportato che i tassi di rendimento reali dei bond degli emergenti siano più attrattivi rispetto a quelli dei paesi sviluppati. Un’altra ragione che dovrebbe spingere gli investitori a guardare con interesse ai mercati emergenti sono i prezzi delle materie prime, dei quali si avvantaggiano soprattutto proprio gli emergenti, dato che sono esportatori netti. Güneşdoğdu aggiunge, però, una clausola importante: “La componente mancante, tuttavia, resta la crescita, che deve tornare se le valute dei mercati emergenti vogliono sovraperformare su una base sostenibile” . Prosegue anche la lotta alla pandemia Se guardata più da vicino, anche la situazione per quanto riguarda i vaccini sembra sia in via di miglioramento. Il divario che separa i paesi in via di sviluppo da quelli sviluppati sembra si stia colmando. Quando il tasso di vaccinazione salirà sopra un certo livello, alcune restrizioni ora in atto potranno essere abbandonate e la vita potrà tornare alla normalità. Ciò significherà una ripresa della domanda di beni e servizi. La ripresa dell’economia, dunque (che permetterebbe il recupero della componente di crescita di cui si parlava prima): ecco il terzo motivo che Güneşdoğdu indica come potenzialmente interessante per tornare a investire sull’obbligazionario emergente.  

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Per Amundi, la ricetta 60/40 per un portafoglio è ormai superata

Scritto il 30.10.2021

Una nota ricetta del mondo della finanza prescrive per un portafoglio d’investimenti un’allocazione dei titoli così distribuita: 60% azioni, 40% obbligazioni. Due analisi di Amundi, Pascal Blanqué, responsabile delle tecniche d’informazione e Didier Borowski, responsabile di Global Views / Global Research, hanno spiegato in un loro studio come mai un’allocazione 60-40 non è più generalizzabile come linea di massima per gli investimenti. Un’economia che fatica a crescere e i rischi del mercato azionario I due analisti cominciano la loro analisi, prendendo in considerazione gli effetti causati dalla crisi legata alla pandemia. Le economie sono state colpite duramente; molte di esse, peraltro, già versavano in una situazione di difficoltà. Gli stati hanno dovuto quindi prendere delle misure a sostegno dell’economia. Per farlo, però, hanno dovuto aumentare l’indebitamento pubblico come mai prima. In futuro, perciò, se si dovesse verificare una politica monetaria meno espansiva da parte delle banche centrali, l’economia potrebbe entrare in una fase di difficoltà cronica, intaccando i rendimenti dei mercati. Nell’ultimo decennio, peraltro, le azioni sono cresciute al di sopra di quanto i guadagni lo giustificassero. Per questa ragione, i due esperti si aspettano rendimenti azionari attesi inferiori per il futuro. Dall’altro canto, una strategia di diversificazione completa (che immunizzi dal rischio azionario appena menzionato) non può più fare del tutto affidamento sull’obbligazionario. I bond, infatti, hanno dimostrato una correlazione positiva con l’aumento dell’inflazione e delle turbolenze di mercato. Serve allora guardare altrove, dicono i due esperti: a investimenti alternativi, per esempio; oppure, rivolgersi ai mercati emergenti, rendendo in ogni caso più complessa l’architettura difensiva del proprio portafoglio. Per una nuova architettura degli investimenti Va detto fin da subito: l’esposizione all’azionario resta il primo grande pilastro dei propri investimenti. Bisogna però fare attenzione: come si affermava prima, in modo implicito, l’azionario potrebbe essere più esposto di prima a oscillazioni e a bolle. Perciò, suggeriscono i due esperti, meglio orientare i propri investimenti su titoli che distribuiscono i dividendi o che sono ancorati a beni reali. Questo profilo d’investimento corrisponde, in buona parte dei casi, al profilo di un titolo di valore, il quale appartiene a un asset class che, in questo momento, sta godendo di una fase ciclica che potrebbe durare persino alcuni anni. Al fine di ottimizzare la diversificazione, oltre alle azioni che distribuiscono dividendi, un portafoglio andrebbe poi integrato con delle azioni che tengano conto dell’inflazione, con delle azioni di breve durata e, infine, con delle azioni di qualità. Infine, va tenuto conto di due importanti aspetti, entrambi legati all’ESG. Innanzitutto, naturalmente, la componente ambientale (“Enviromental”), per la quale sono stati già messi in campo molti investimenti e fissati obbiettivi concreti a diversa scadenza. Un importante criterio, in questo senso, è il punteggio legato alla lotta al cambiamento climatico (ossia al surriscaldamento globale): molte obbligazioni conformi ai parametri potrebbero rivelarsi degli investimenti particolarmente interessanti. C’è però anche la componente sociale (“Social”) da non trascurare, la quale riguarderà nei prossimi anni una progressiva compensazione delle disuguaglianze che si sono generate in questi anni. In tal senso, i governi potrebbero mettere in campo misure economiche specifiche delle quali potrebbero beneficiare anche gli investitori.    

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Perché cominciare a risparmiare ora

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  • Formazione/Educazione Finanziaria
Scritto il 28.10.2021

Volete dei buoni motivi per cominciare a risparmiare fin da subito? Nils Matthiesen ha scritto un articolo sulla rivista “Focus” dedicato all’argomento. Risparmiare rende più felici e rilassati La voglia di spendere, spesso, è perfino più forte della paura di restare senza soldi abbastanza per il futuro. Abbastanza, si capisce, per potere mantenere gli standard di vita ai quali ci si era abituati: come scrive Matthiesen (che fa l’esempio del suo paese, la Germania), il 39% dei tedeschi teme la povertà di vecchiaia, ma nonostante questo il 28% non accumula riserve per la previdenza privata e, nella fascia tra i 18 e i 30 anni, il dato sale al 33%. Eppure, risparmiare non significa solo badare al futuro, ma anche al presente: stando a un altro sondaggio citato da Matthiesen, il 61% degli intervistati dice che il risparmio rende più felici e questa percentuale sale al 71% tra i 20 e i 29 anni. Per quasi tutti, in ogni caso, e parliamo dell’80%, dà calma e rilassa. Risparmiare costa poco e rende molto Risparmiare, poi, non è così difficile come si crede. Si può partire da cifre davvero ridicole, poniamo 25 euro al mese. E, come scrive Matthiesen, è “l'equivalente di due caffè alla settimana, tre pacchetti di sigarette o tre maxi menu Big Mac al McDonald’s”. Una volta che si è cominciato a farlo, magari agganciando il proprio conto corrente a un piano di risparmio (al quale vengono destinate delle piccole rate ogni mese), col passare del tempo ci si accorge sempre meno degli eventuali sacrifici. Più il proprio patrimonio diventa consistente, peraltro, più si ampia il margine di manovra nelle vite di ciascuno: si è meno legati non solo alle strette necessità, ma anche al proprio lavoro e, in certi casi, è perfino possibile andarsene in pensione prima del tempo. Risparmiare per realizzare comodamente i nostri desideri Ultimo sondaggio citato da Matthiesen, ma altrettanto significativo: il 93% dei giovani vorrebbe, prima o poi, acquistare casa. Ora, acquistare una casa senza un capitale di partenza è un’impresa piuttosto ardua. Meglio mettere da parte un piccolo patrimonio, dunque, che servirà da capitale di partenza: anche solo il 30% del valore dell’immobile aiuta infatti a farsi accordare delle condizioni di sottoscrizione di un mutuo abbastanza favorevoli. “Una delle differenze decisive tra i ricchi e i poveri è questa: i ricchi incassano dei tassi d’interesse, i poveri li pagano”, scrive Matthiesen in conclusione dell’articolo. Ciò significa, in buona sostanza, che prima e più si risparmia, più aumentano le probabilità che il meccanismo del denaro investito si metta in moto. Che cosa tocca fare poi a chi lo ha avviato, questo meccanismo? Niente: aspettare per riscuotere e godere dei soldi fruttati.  

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Attenzione: il rally azionario, forse, non è ancora finito

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 28.10.2021

Nuvole cariche di incertezza si addensano sui mercati finanziari. Eppure, non è ancora detto che un po’ più di fiducia non torni a splendere e che la ripresa continui a guidare il mercato azionario. Ne parla Eduard Baitinger, responsabile dell’asset allocation della casa d’investimento Feri. L’ombra della stagflazione Cominciamo dagli aspetti che stanno rendendo i mercati particolarmente irrequieti. Siamo persino stanchi di ascoltare i continui bollettini sull’inflazione. Finora, peraltro, si è sentito dire il più delle volte che si sarebbe trattato di un fenomeno transitorio. Ma potrebbe non andare così. L’inflazione, infatti, potrebbe durare. Non solo: l’inflazione potrebbe persino sommarsi a un possibile calo della domanda dei consumi, dovuto al rallentamento dell’economia. Ci troveremmo, dunque, in una situazione particolarmente difficile: in una situazione di stagflazione. Ma che cosa significherebbe per gli investitori una situazione di stagflazione? Semplice: un aumento dei tassi d’interesse e una diminuzione dei profitti delle aziende. Ecco quello che scrive Baitinger, che parlando di stagflazione illustra sia le minacce, sia le possibile contromisure: “In questo caso le conseguenze negative minacciano sia il mercato azionario sia quello obbligazionario. Per stabilizzare il portafoglio, restano però ancora alcuni segmenti a disposizione come le azioni legate all’energia, i titoli finanziari e le materie prime”.   La lotta contro la pandemia è l’aspetto decisivo Ora, a minare la completa ripresa dell’economia non è solo l’inflazione: sono anche le strozzature dell’offerta e l’aumento dei prezzi delle materie prime. In linea teorica, tuttavia, se la situazione della domanda dovesse mantenersi costante, senza registrate né cali ma nemmeno improvvisi aumenti (come capitato dopo la fine delle restrizioni), la situazione potrebbe lentamente migliorare, portandoci a fine anno a vedere i mercati crescere ancora. Qual è allora l’aspetto davvero discriminante? Baitinger non ha dubbi: la battaglia contro il virus. I vaccini hanno dato dei risultati straordinari. Basta pensare che circa un anno fa moltissimi paesi erano costretti ad adottare delle durissime misure di restrizione, che sarebbero continuate fino alla primavera di quest’anno. Se la pandemia dovesse tornare a colpire ciò significherebbe la chiusura delle attività commerciali e dei porti (soprattutto cinesi), così come il forte indebolimento della domanda di beni e servizi. Ma questo non sembra proprio il caso, e il merito è da ascrivere proprio ai progressi nella lotta contro la pandemia. Ecco, dunque, cosa fa dire a Baitinger che un rally, almeno per la fine dell’anno, è ancora possibile.  

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Tre errori che un investitore principiante non dovrebbe fare

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  • Formazione/Educazione Finanziaria
Scritto il 27.10.2021

Cominciare a investire è un passo importante per molti risparmiatori: significa mettere in fila, uno dietro all’altro, i passi che condurranno alla costruzione di un patrimonio. Questo percorso, però, potrebbe presentarsi come irto di difficoltà, più insidioso di quanto si pensasse. Sapere in anticipo quali sono gli errori più comuni da evitare può essere perciò molto utile. A questo tema, la società di consulenza aziendale The Motley Fool dedica spesso analisi interessanti e utili, pubblicando regolarmente articoli sulla rivista Focus. Uno degli ultimi articoli comparsi è a firma del componente del consiglio d’amministrazione John Mackey, CEO di Whole Foods Market, consociata di Amazon. Vediamone brevemente il contenuto. Accontentarsi della prima notizia a disposizione Mackey sottolinea quanto sia importante non fermarsi alla lettura di una semplice notizia che parla bene di un’azienda prima di passare all’acquisto delle sue azioni. La lettura di uno o più articoli può essere sicuramente un buon punto di partenza; tuttavia, non basterà per restituirci il quadro complessivo di un settore, né tantomeno per darci solide garanzie sulla crescita di quel titolo. Da questo punto di vista, non ci sono scorciatoie: raccogliere più informazioni possibili resta il metodo migliore per contestualizzare un’azione nel suo settore. Spesso non è facile: ma la voglia di acquistare, tipica di un investitore alle prime armi, deve lasciare lo spazio alla voglia di recuperare il maggior numero di informazioni possibili. Cedere alla fretta di vendere La fretta rischia di compromettere non solo i nostri investimenti durante la fase dell’acquisto, ma anche durante la fase della vendita. Per spiegare quello che intende, Mackey fa l’esempio degli investitori in Amazon. Se un investitore avesse investito 1.000 dollari alla fine del 2005 avrebbe visto quasi raddoppiati i suoi guadagni alla fine del 2007. Perché non vendere e passare all’incasso già in quel momento? Questo pensiero è tutt’altro che inverosimile. Se quello stesso investitore avesse pazientato fino a oggi quei 1.000 dollari sarebbero diventati 90.000. L’esempio di Amazon è sicuramente fuori dal comune ma, come suggerisce Mackey, a meno che non ci sia un’alternativa migliore è meglio fare in modo che si lascino proseguire i propri investimenti che stanno funzionando. Considerare solo i prezzi I prezzi sono degli indicatori importanti ma non esclusivi. Se si fissa un determinato prezzo per l’acquisto o la vendita di un’azione non ne si deve però poi diventare schiavi, se le condizioni cambiano. Innanzitutto non è detto che il prezzo che ho fissato sia quello superato il quale un’azione continuerà a crescere o a salire. Inoltre, posso anche avere recuperato delle informazioni aggiuntive che mi convincano che anche un prezzo superiore o inferiore può valere lo stesso la pena per comprare o vendere un’azione. Del resto, non esisterà mai un momento perfetto per un investimento: solo un’attenzione e un lavoro costante, sostiene Mackey, risultano decisivi per il successo o meno di un investimento. Gli investimenti sono una questione di pazienza, non di veloci rincorse.    

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Scegliere il fondo d’investimento giusto

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  • Fondi Comuni di Investimento
Scritto il 27.10.2021

Scegliere il fondo d’investimento giusto da proporre ai propri clienti può essere una questione molto complessa. Non solo perché i clienti sono diversi tra loro, ma anche perché esistono vari modi per giudicare le performance e gli stili di gestione di un fondo. Furio Pietribiasi, CEO di Mediolanum International Funds, ha spiegato alla rivista Cash.online due importanti metodi di selezione utilizzati dalla società che dirige. Quanto conta il management? Nel discorso di Pietribiasi emerge chiaramente il fatto che il giudizio su un fondo non può prescindere da quello sul manager o sui manager che lo gestiscono. Già, ma quale metodo di giudizio usare nella scelta dei fondi e dei loro manager? Per Pietribiasi, la scelta dei fondi o dei manager solo sulla base dei record che hanno conseguito non può funzionare. La prima ragione che menziona è questa: i record sono parametri molto semplici da individuare e ciò comporta il rischio che la selezione di più società cada sugli stessi fondi. Come aggiunge il CEO di Mediolanum, scegliere tutti gli stessi fondi vuole dire rinunciare a una componente essenziale per gli investimenti, ossia alla diversificazione. L’importanza di una valutazione qualitativa È qui che entra in gioco allora il primo criterio di scelta, ossia quello quantitativo. Avvalendosi di fornitori terzi (come Skill Metrics, ad esempio), capaci di raccogliere ed esaminare una vasta quantità di dati, Mediolanum cerca di tracciare una distinzione importante tra i migliori risultati conseguiti dai fondi: quelli ascrivibili alla fortuna negli investimenti e quelli, invece, ascrivibili alla bravura del manager. Non solo. L’analisi dei dati permette anche di mettere a confronto le diverse strategie dei fondi d’investimento. La scelta di Mediolanum cade solitamente su quei fondi che hanno investito nel modo più strategico su più imprese e in modo diversificato. La raccolta delle informazioni conta Anche il secondo criterio di scelta, quello qualitativo, ha comunque alla sua base una importante raccolta di dati o, meglio, di informazioni. Vengono esaminati, infatti, la carriera professionale di un manager, i suoi punti di forza, la sua filosofia d’investimento. Il compito di una società d’investimento che deve puntare su un fondo e su un manager, per Pietribiasi, consiste nel porre le domande giuste e fondare il proprio giudizio solo su solidi dati di fatto.  Il fattore umano e il ricorso ai software Inoltre, anche dopo che la scelta è caduta su un manager, Mediolanum non lascia che quest’ultimo operi del tutto in solitaria. Le sue competenze devono essere integrate con le specifiche politiche di clientela della società d’investimento, che nel caso di Mediolanum riguardano una particolare attenzione alla personalizzazione dei prodotti. Infine, vengono forniti anche strumenti tecnologici, come il software Intelligent Investment Strategy, che massimizzano in termini di rendimento e diversificazione le scelte dei manager e degli investitori.    

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Investire sia value sia growth, ovvero come adottare una strategia Multi-Asset

Scritto il 26.10.2021

Spesso la questione relativa alle azioni “value” e alle azioni “growth” viene posta come se una tipologia di prodotto finanziario escludesse l’altra. Sulla piattaforma extraETFAnja Hochberg, direttrice delle soluzioni “Multi-Asset” di Swisscanto Invest pone la questione in termini un po’ diversi. Vediamo rapidamente come. “Value” vs. “growth”, una contrapposizione non così netta Come scrive Hochberg, il confronto tra titoli “value” (di valore) e “growth” (di crescita) viene spesso stilizzato. Il dibattito giornalistico, da questo punto di vista, non aiuta. Certo la corsa così in avanti dei titoli legati all’IT – che sono considerati titoli di crescita per eccellenza – ha portato a un’inversione di tendenza quasi inevitabile del ciclo azionario. Tuttavia, la stabilizzazione dei tassi d’interesse, che è seguita a un loro leggero rialzo, dovrebbe fare tornare al centro dell’interesse i titoli di crescita, almeno da un certo punto di vista. In realtà, come si capisce bene dalla strategia di allocazione degli investimenti, i titoli di valore e di crescita sono, in un certo senso, complementari. In un contesto inflattivo, infatti, i titoli di valore legati ad aziende di qualità sono in grado di trasferire il tasso inflattivo sui loro clienti: dato che hanno il margine per farlo, possono infatti aumentare il prezzo delle loro merci o dei loro servizi. Il nucleo degli investimenti del portafoglio di Hochberg è composto, del resto, proprio da un gruppo di azioni di valore. Tuttavia, per compensare i bassi tassi, serve che si cerchino più opportunità di rendimento sui mercati: ecco allora entrare il gioco i titoli di crescita, i quali ottemperano “agli scopi più opportunistici” (di rendimento) nella strategia multi-asset perseguita da Hochberg. Per una asset allocation completa: la strategia del bilanciere La giusta composizione di titoli di crescita e di valore – a fronte di una moderata ma comunque costante prospettiva di crescita dell’economia – porta Hochberg a pensare il portafoglio più nella direzione del mercato azionario. Nel suo articolo, però, l’esperta di finanza non dimentica di dare anche qualche altra indicazione sulla sua strategia complessiva di allocazione degli asset. L’obbligazionario delle aziende con un buon rating al momento non dà un rendimento sufficiente, pertanto viene adottata la cosiddetta “strategia del bilanciere”, ossia un investimento in obbligazioni statali da una parte, e obbligazioni ad alto rendimento, dall’altra. Per completare il quadro dell’allocazione degli asset del portafoglio di Swisscanto Invest, però, Hochberg cita anche gli investimenti alternativi. Questi comprendono gli immobili, l’oro e le materie prime. L’immobiliare è finora cresciuto in maniera costante, mentre le materie prime hanno conosciuto un’autentica impennata dei loro prezzi verso l’alto (il superciclo in atto ha portato a sovrappesarlo all’interno del portafoglio, come dice Hochberg). L’oro, infine, resta una buona strategia di immunizzazione contro l’inflazione sul lungo periodo, potendo fare conto sul suo ruolo di riserva di valore.     

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