Luca Gentili

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Consulente finanziario indipendente

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La potenza dell'interesse composto

Scritto il 21.11.2024

Se dovessi fare una classifica delle conoscenze in ambito finanziario che più hanno impattato nella mia vita concreta di investitore e di uomo, l’interesse composto (IC) sarebbe senz’altro sul podio, se non al primo posto. Così come per gli appassionati di alta ristorazione le 3 Stelle Michelin indicano i ristoranti migliori, dove la qualità della cucina è talmente elevata da “valere il viaggio”, così per l’investitore l’interesse composto nel lungo termine è il più grande alleato per far crescere il proprio patrimonio, talmente potente da.. “valere l’attesa”. Albert Einstein definì il tasso d’interesse composto “l’ottava meraviglia del mondo”. E se lo dice lui. Immagino che molti di voi già conoscano la definizione di IC, ma per esperienza so che conoscere la definizione spesso non basta a comprenderne appieno le implicazioni reali nel lungo periodo. E’ la stessa differenza che passa tra capire ed imparare: si può dire di aver imparato solo quando dalla conoscenza scaturisce un cambiamento duraturo nel proprio comportamento, approccio, o modo di vedere. Cerchiamo quindi di imparare assieme le più importanti caratteristiche dell’IC che l’investitore può “sfruttare” per la crescita del proprio patrimonio. Partiamo dalla definizione. In finanza esistono due possibili tipologie di rendimento del capitale: il tasso di capitalizzazione (o tasso d’interesse) semplice (IS), e quello composto (IC). Il tasso di capitalizzazione (o d’interesse) semplice (IS) è quello generato dall’investimento del solo capitale iniziale, per un certo numero di periodi fruttiferi, di norma espressi in anni. Ipotizzando un tasso di interesse positivo e costante (ad esempio +5% annuo), l’aumento del capitale nel tempo, detto “montante”, è dato dalla somma di capitale iniziale + interessi, e cresce in modo lineare. Il tasso di capitalizzazione (o d’interesse) composto (IC) invece prevede che non solo il capitale iniziale, ma anche gli interessi stessi concorrano a generare nuovo interesse. In altre parole, a partire dal secondo anno l’interesse del primo anno si unisce al capitale iniziale per generare nuovo interesse, e così via per gli interessi di tutti gli anni successivi. Ad esempio, dato lo stesso tasso d’interesse del +5% annuo, ma stavolta in capitalizzazione composta (IC), il montante complessivo cresce in modo esponenziale, anziché lineare. E questo “dettaglio” fa una enorme differenza, nel lungo periodo. Facciamo un semplice esempio, per fissare le idee. Ipotizziamo di investire un capitale iniziale di 100.000 €, al tasso di interesse annuo del 5%, prima semplice e poi composto, e vediamo le differenze di montante maturato nel tempo:   Dopo 5 anni:     IS = 125.000 €                IC = 127.628 €                           Differenza            +2.628 €             (+2,1%) Dopo 10 anni    IS = 150.000 €                IC = 162.889 €                           Differenza          +12.889 €              (+8,6 %) Dopo 20 anni    IS = 200.000 €                IC = 265.329 €                           Differenza          +65.329 €             (+32,7%) Dopo 30 anni    IS = 250.000 €                IC = 432.194 €                           Differenza          +182.194 €            (+72,9%) Dopo 40 anni    IS = 300.000 €                IC = 703.998 €                           Differenza          +403.998 €             (+135%)   Come si vede, nei primi anni il vantaggio dell’IC vs IS è assai modesto (solo +2,1% dopo 5 anni), ma nel lungo periodo tale vantaggio diventa… enorme (+135% dopo 40 anni)! Bene, anzi benissimo. E quali sono gli strumenti finanziari investibili che applicano al meglio la “magia” dell’interesse composto? Ebbene, sono tutti quegli strumenti cosiddetti “ad accumulazione”, nei quali cioé anche le cedole (se obbligazionari) od i dividendi (se azionari) vengono automaticamente reinvestiti, anziché essere versati periodicamente all’investitore, e concorrono quindi ad aumentare il montante su cui si applica l'IC. E quali sono invece gli strumenti finanziari che NON permettono di applicare al meglio l’interesse composto? Anzitutto, gli strumenti cosiddetti “a distribuzione”, nei quali cioè le cedole e/o i dividendi vengono periodicamente erogati all’investitore. Ma vi sono anche strumenti che – a determinate condizioni - l'IC proprio non lo applicano per nulla! Ad esempio, le obbligazioni con cedola (tipo i Titoli di Stato BTP) se acquistate all’emissione e detenute fino alla scadenza. Investendo in tali obbligazioni si ottiene una cedola periodica, ci si “immunizza” dalle fluttuazioni di prezzo, ma si rinuncia all’enorme potenziale di crescita del montante generato nel lungo periodo dall’interesse composto. Attenzione però! Anche investendo in strumenti ad accumulazione, vi sono due “fattori antagonisti” in grado di ridurre fortemente il grande potenziale positivo dell’IC. Quali sono? Il primo “fattore antagonista” l’abbiamo già menzionato prima: si chiama “fretta di vendere”! L’IC infatti richiede molto tempo e molta pazienza per esprimere appieno il suo enorme potenziale di crescita, quindi occorre resistere alla tentazione di vendere anzitempo l’investimento, anche se in guadagno!   Il secondo “fattore antagonista” è molto più subdolo, ma altrettanto “letale” per l’IC: la riduzione del tasso di rendimento effettivo degli strumenti finanziari, dovuta all’applicazione di elevati costi di gestione. Dove per elevati s’intendono costi superiori all’1,5% annuo sul capitale investito. Gli strumenti finanziari più efficienti sotto il profilo dei costi (gli ETF passivi) hanno commissioni di gestione bassissime, nell’ordine dello 0,3% annuo. Al contrario, la maggior parte dei fondi di investimento attivi superano spesso il 2% annuo di commissioni, ed i prodotti di investimento assicurativi (polizze Index o Unit Linked) arrivano addirittura oltre il 3%! Ma perché questi costi incidono pesantemente sull’IC? Per un semplice motivo: nell’IC, la “rampa” di crescita del montante è molto sensibile al tasso di interesse effettivo realizzato dall’investimento. Se tale tasso è basso (diciamo < 3%), la rampa di crescita “si appiattisce” moltissimo, impiegando tempi talmente lunghi prima di “irripidirsi” da non essere più COMPATIBILE con la durata della vita umana! Ad esempio, la differenza di montante maturato con un IC medio del +5% annuo vs un IC medio del +2% annuo (per via del 3% di rendimento annuo sottratto dai costi di gestione) è assai significativa già dopo i primi 10 anni, e diventa letteralmente “abissale” dopo 30 o più anni. Il grafico qui allegato chiarisce meglio di mille spiegazioni come e quanto si deteriora l’IC a causa di questo fattore “antagonista”: basti pensare che con lo stesso capitale iniziale di 100.000 €, dopo ben 40 anni al tasso di IC medio annuo del +2%, si ottiene un montante finale di soli 220.800 €. Mentre invece se il tasso medio è del +5% (ottenuto con efficientamento dei costi di gestione) il montante finale sarà ben 704.000 €, vale a dire oltre il 300% più elevato!

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L'importanza della Pianificazione finanziaria per gli investimenti

Scritto il 07.11.2024

Da dove parte l’investimento? Dall’andamento dei mercati finanziari? No! L’investimento parte sempre da noi stessi. Anzitutto, si investe il denaro che non ci serve nel quotidiano o nell’immediato futuro. Attenzione: questo non significa affatto, come qualcuno dice, il denaro che “possiamo permetterci di perdere”! Se così fosse, investire sarebbe solo un azzardo o peggio un’idiozia, mentre è la cosa più sensata e razionale che si possa fare. L’alternativa infatti è quella di vedere i nostri risparmi sciogliersi lentamente (ma neanche troppo) come neve al sole, dall’inflazione. Secondo: si investe dopo aver stabilito uno (o più) orizzonti temporali di investimento. E ciò vale per tutti, nessuno escluso: dai profili più prudenti, che investono per proteggersi dall’inflazione, a quelli più aggressivi, che ambiscono “solo” (si fa per dire) a guadagnare il più possibile. Tutti devono stabilire per quanto tempo siano disposti a mantenere il vincolo dell’investimento. Come si fa? Semplicemente dando un nome (o più nomi) al denaro. Facciamo un esempio. Nomi assegnati al denaro: -          Master in Business Administration post laurea in USA per mia figlia -          Seconda casa al mare per la famiglia -          Capitale di sicurezza per la mia pensione -          Guadagnare il più possibile Bene. Obiettivi chiari. Ora chiediamoci: quanto possiamo aspettare per ciascuno di essi? Questa domanda va sempre posta in termini di “tempo massimo accettabile”, per non risvegliare il bambino viziato del “tutto e subito” che alberga in ognuno di noi. Non basta. Dobbiamo anche chiarire quali conseguenze ci sarebbero, se alla fine non riuscissimo a raggiungere l’obiettivo. Questa risposta ci aiuta per dare un ordine di priorità, oltre che di tempistiche. Ed è un ordine soprattutto soggettivo: ad esempio, potremmo scoprire che “guadagnare il più possibile” ci piace tanto, ci farebbe fare bella figura alle grigliate, ma tutto sommato è secondario. Oppure che è più importante la casa al mare rispetto al MBA per la figlia. Sapete come si chiama questo processo? Pianificazione finanziaria (PF). La PF ci parla della nostra vita, di ciò che potrebbe essere, di ciò che vorremmo che fosse, delle nostre aspettative e dei rischi che corriamo. Semplice, ma nient’affatto facile. Ecco perché un buon coach può aiutarci moltissimo, anche in questa fase fondamentale. Perché la PF è il più potente alleato che abbiamo per investire bene i nostri soldi. Si è parlato di mercati finanziari? No! A quelli ci penseremo dopo, o meglio ancora, a quelli ci penserà dopo il nostro coach finanziario. Il vostro consulente finanziario è partito da qui, ha dedicato il tempo necessario per fare assieme a voi PF, prima di iniziare a snocciolare grafici ed aspettative di rendimento? Se non l’ha fatto, ma vi ha solo sottoposto il questionario Mifid (obbligatorio, peraltro), allora non avete un consulente, ma un venditore di prodotti finanziari. Chi firma un contratto di consulenza in materia di investimenti con il sottoscritto, inizia dalla Pianificazione Finanziaria. No PF, no parti.

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Il rischio negli investimenti

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  • Formazione/Educazione Finanziaria
Scritto il 22.10.2024

Quando si parla di investimenti, a tutti viene in mente l’associazione con un’altra parola, assai meno gradita, ma indissolubilmente legata alla prima: il rischio. In termini generali, secondo la definizione del vocabolario Devoto-Oli (ebbene sì, sono un inguaribile tradizionalista ;), il rischio è “l’eventualità di subire un danno o una perdita, più incerta rispetto a pericolo”. Non solo. Nell’accezione generale, la quantità del rischio non cambia con il passare del tempo, ovviamente a parità di altre condizioni al contorno. Ad esempio, se oggi riteniamo che praticare l’alpinismo comporti un rischio (nel caso specifico di subire un danno fisico), tale valutazione rimane la stessa anche tra un anno, o tra dieci anni. Ma in ambito finanziario, quali sono le caratteristiche del rischio connesso all’investimento? Esso risponde alla definizione generale, oppure c’è qualcosa di diverso, peculiare? La risposta è… dipende dalle competenze finanziarie di chi fa l’investimento. Se chi investe ha scarse competenze finanziarie, sono elevate le probabilità che commetta errori (anche nella valutazione del rischio) nel comporre il proprio portafoglio, e prima o poi potrebbero esserci conseguenze impattanti ed inaspettate. I portafogli di chi non ha elevate competenze infatti sono spesso inconsapevolmente infarciti di rischi “specifici”, quelli più imprevedibili e potenzialmente impattanti. Anche il mio era così, un tempo. In questi casi, il rischio di subire perdite connesso con l’investimento riflette pienamente la definizione generale, anche nel lungo periodo. Ma se invece chi investe invece ha elevate competenze in materia, allora il discorso cambia, e non di poco. Con opportune scelte infatti si possono “sterilizzare” i rischi specifici, minimizzandone l’eventuale impatto negativo sul portafoglio. Dopodiché, ciò che rimane è il cosiddetto rischio “sistematico” o “di mercato”, che è ineliminabile. Tale rischio viene identificato dal grado di “volatilità” complessiva del portafoglio, cioè dalla frequenza ed ampiezza delle fluttuazioni che esso subisce, sia positive che negative al variare delle condizioni di mercato (per quelle negative, evidentemente le più “indigeste”, vi sono poi ulteriori indicatori specifici). Da ciò consegue la prima buona notizia: la volatilità del portafoglio può essere ragionevolmente valutata a priori, scegliendo con cognizione di causa gli strumenti finanziari ed i relativi pesi percentuali. Cosa significa “ragionevolmente”? Significa con elevato grado di confidenza. E mi auguro che ciò NON vi sembri poca cosa, perché non lo è affatto! Preferivate certezza assoluta? Eh, anch’io. Ma su cosa, nella vita, abbiamo certezza assoluta? Ecco, appunto. La seconda buona notizia è che da un portafoglio ben costruito, è ragionevole aspettarsi una progressiva riduzione di volatilità (cioè di rischio) nel lungo periodo. In altri termini, il TEMPO che passa migliora le prospettive di rendimento positivo, ed al contempo rende via via meno probabile ed impattante l’eventuale perdita. L’unica notizia non proprio-buona è che “settando” un portafoglio alla minima volatilità, cioè al minimo rischio, lo stesso aggettivo toccherà poi verosimilmente utilizzare per i rendimenti. Attenzione però: sul rendimento del portafoglio nel lungo periodo incidono – e parecchio – anche i costi di gestione! Su questo faremo in futuro uno specifico approfondimento. Quindi, per investire efficacemente, è raccomandato anzitutto conoscere la materia. Come dice Warren Buffett “Wall Street è un luogo molto costoso dove fare esperienza!”

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La seconda casa è anche un investimento?

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  • Diagnosi del patrimonio immobiliare
Scritto il 11.10.2024

Gli italiani, è cosa nota, amano molto gli immobili. Per (quasi) tutti infatti, l’acquisto della casa di proprietà è uno dei più importanti traguardi di vita, da raggiungere il prima possibile, talvolta persino troppo presto, mi verrebbe da dire. E dopo la prima, anche l’acquisto di una seconda casa per molte persone si trova in cima alla lista dei desideri. Spesso l’idea è che con l’acquisto della seconda casa si riesca nell’impresa di “prendere due piccioni con una fava”: goderne a pieno per sé e per la propria famiglia, ed al contempo farne un investimento che accresce di valore nel tempo. Ma è veramente così? Le seconde case acquistate per uso proprio esclusivo possono davvero considerarsi al contempo anche investimenti, o vanno piuttosto ascritte nelle voci di spesa? Qui le opinioni si dividono. C hi ritiene che si tratti di investimenti, evidentemente confida nel fatto che la rivalutazione del valore commerciale nel lungo periodo superi le spese accessorie di acquisto (una tantum), e quelle di possesso e manutenzione (annuali). I borsini dei prezzi immobiliari però ci dicono qualcosa di diverso. Tale favorevole situazione infatti si verifica solamente in poche “piazze” di acquisto, dove i prezzi sono in forte crescita da molti anni, grazie ad una domanda consistente e superiore all’offerta. L’esempio forse più noto di “location favorevole” è la città di Milano, dove l’andamento dei prezzi fa storia a sé, nel contesto italiano. Ma eccezion fatta per Milano città e poche altre selezionate località, nella maggior parte delle altre città italiane la situazione è assai diversa: il prezzo degli immobili infatti non cresce ormai da molti anni, come certificano ad esempio i dati ISTAT (vedi grafico relativo alle regioni del Centro Italia, con “base 100” nel 2015). Dal 2010 al 2015 i prezzi degli immobili residenziali hanno visto un netto calo (oltre il -30%), e successivamente non si sono più ripresi, mantenendosi sostanzialmente invariati fino ad oggi. Oltre a ciò, c’è un altro aspetto da considerare, spesso trascurato: il reale costo da sostenere per l’acquisto di un immobile è sempre maggiore del suo prezzo. L’acquirente deve sostenere infatti molte voci di spesa accessorie, che si aggiungono al “mero” prezzo di vendita: dalle imposte, ai costi di agenzia, a quelli notarili. Facciamo un esempio pratico: per l’acquisto della nostra seconda casa, ci siamo accordati con il venditore per 300.000 €. In realtà, a causa di tutti i costi accessori che gravano sull’acquisto, a questa cifra occorre aggiungere circa il 12% in più, pari a ben 37.000 € aggiuntivi (vedi tabella sotto). In altri termini, fin da subito la casa si dovrebbe rivalutare del 12% (cosa estremamente difficile) solo per compensare tali spese accessorie di acquisto! A questo poi si aggiungano le tasse annue di possesso (IMU, TASI e TARI), il costo di un’assicurazione danni, e le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria… queste ultime spesso trascurate perché (di solito) si manifestano solo dopo molti anni dall’acquisto… ma prima o poi arrivano! Certo, si potrebbe ancora obiettare che l’andamento futuro dei prezzi non è noto oggi, e nel tempo potrebbe anche esserci un’inversione di tendenza con aumento significativo e duraturo dei prezzi. La speranza è senz’altro legittima, oltre che comprensibile. Tuttavia, lo dico subito, purtroppo è quantomeno improbabile che ciò accada. In Italia sono infatti in atto da moltissimi anni due “macro trend” che si oppongono fortemente a tale scenario rialzista dei prezzi immobiliari: 1         REDDITI FERMI Affinché i prezzi degli immobili residenziali si rivalutino nel tempo, occorre che il reddito pro capite dei potenziali acquirenti aumenti nello stesso arco temporale. In Italia invece il Pil pro capite reale (cioè al netto dell’inflazione) è sostanzialmente “inchiodato” da oltre 20 anni (vedi grafico sotto)   2         DEMOGRAFIA IN CONTRAZIONE: Per la legge di mercato, una spinta rialzista dei prezzi può esserci quando la domanda è superiore all’offerta. La demografia italiana invece ci indica chiaramente che nel prossimo futuro ci saranno sempre meno cittadini, cioè sempre meno potenziali acquirenti di immobili residenziali. Il grafico ISTAT del Tasso di Natalità per mille abitanti parla chiaro: dal 2002 ad oggi la natalità italiana si è ridotta di oltre il 30%. Per tutte queste evidenze, è ragionevole affermare che oggi, in Italia, l’acquisto di un immobile per il proprio godimento non è (quasi) mai anche un investimento. Ed è con questa consapevolezza che è bene affrontare la fase decisione per l’acquisto della nostra seconda casa. In un prossimo articolo andremo invece ad approfondire il caso in cui l’immobile venga comprato per essere poi “messo a reddito”, cioè affittato a terzi.   In qualità di Consulente Finanziario Indipendente offro un servizio dedicato di analisi redditività immobiliare. Richiedi un appuntamento compilando il form qui sotto, o chiamando il 389 1210579. Il primo colloquio è conoscitivo, gratuito e senza impegno. La mia professionalità, applicata al tuo esclusivo interesse. Sempre.

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Fondo Pensione vs Portafoglio d'investimento

Scritto il 07.10.2024

Qual è la soluzione migliore per integrare la nostra futura pensione obbligatoria INPS (ahimè alquanto magra): 1)   Accumulare risorse durante gli anni di lavoro in un Fondo Pensione Complementare, che ci erogherà una rendita vitalizia quando saremo in pensione oppure 2)   Accumulare le stesse risorse in un proprio Portafoglio di investimento, da cui attingere la nostra rendita integrativa quando saremo in pensione   La questione è di quelle “da un milione di dollari”. E la risposta, lo dico subito, non è univoca.   L’unica certezza è che, in entrambi i casi, prima si cominciano a destinare risorse per questo scopo, meglio è. Non è mai troppo presto per decidere di investire per la nostra pensione!   Scegliere l’una o l’altra soluzione dipende da una serie di condizioni al contorno, sia di carattere oggettivo che soggettivo, che devono essere analizzate, valutate, pesate e prioritizzate tra loro.   Quasi tutte le specificità di ciascuna delle due soluzioni riguardano la fase di accumulo, quella in cui le nostre risorse vengono destinate all’uno o l’altro metodo di investimento. Ne riparleremo in successivi post.   Qui invece approfondiremo l’unica differenza sostanziale tra le due alternative che riguarda la fase di erogazione della rendita.   Differenza fondamentale, ma spesso assai sottovalutata nelle sue implicazioni di carattere psicologico ed emotivo: la tipologia di rendita che ci verrà erogata una volta in pensione.   Solo per il Fondo Pensione Complementare, la rendita sarà VITALIZIA. In altri termini, solo il Fondo Pensione si prenderà in carico anche del cosiddetto “rischio longevità”, dandoci la certezza della rendita indipendente dall’età raggiunta.   E per il Portafoglio di investimento, invece? La rendita sarà garantita finché non si esauriscono i fondi investiti, evidentemente.   E come si fa ad essere sicuri di non finirli, finché siamo in vita? Eh, qui entra in scena l’acronimo “SWR”. Vi dice qualcosa? No?! Tranquilli, è normale.   SWR è infatti uno dei tanti (troppi) acronimi da “nerd” della finanza (quale anch’io sono… però a tratti ;) che sembrano fatti apposta per darsi un tono, e mettere in soggezione gli altri.   Letteralmente significa “Safe Withdrawal Rate”. In italiano: Tasso di Prelievo di Sicurezza.   Il SWR (“Safe Withdrawal Rate”, in italiano Tasso di Prelievo di Sicurezza) indica la percentuale di prelievo annuo che può sostenere un Portafoglio di investimento, con un rischio residuo molto basso (< 10%) che il capitale investito si esaurisca prima di 30 anni di prelievi.   Per maggiore chiarezza, riporto qui sotto la Tabella SWR pubblicata da Morningstar, prestigioso provider di servizi finanziari.   Facciamo un esempio pratico, per capire meglio come si utilizza la tabella SWR di Morningstar. Ipotizziamo di aver accumulato negli anni un portafoglio di 300.000 €, investito per il 40% in strumenti azionari (in inglese “equity”), e per il restante 60% in strumenti obbligazionari (“bond” in inglese).   Un portafoglio di questo tipo, costruito secondo le migliori regole di efficienza, diversificazione e decorrelazione, si può definire “bilanciato-prudente”.   Ebbene, volendo sapere qual è il SWR di questo portafoglio, cioè il “tasso di prelievo annuo di sicurezza”, per una rendita di durata 30ennale, la tabella Morningstar ci restituisce il valore corrispondente (cifre evidenziate in giallo): 3,8%   In altri termini, dal nostro investimento di 300.000 € possiamo prelevare una rendita annua di 11.400 €, per i successivi 30 anni, con un rischio residuale inferiore al 10% di esaurire “le fonti” prima dello scadere dei trent’anni.   Forse vi aspettavate una rendita annua maggiore, da un portafoglio di 300 mila euro, vero? Eh già… i soldi sono come la terra: sembrano tanti quando sono cumulati, ma poi spariscono quando vengono “sparsi”, diluiti nel tempo. La buona notizia comunque è che ciò vale anche all’inverso!   Ma torniamo a noi ed al nostro SWR. Si tratta di un livello di sicurezza sufficiente? Andando in pensione a 68 anni (dobbiamo essere realisti), significa poter contare sulla rendita suddetta fino a ben 98 anni di età… niente male.   Basta questo per essere ragionevolmente tranquilli, e vivere sereni? Stando ai numeri, ed essendo puramente razionali, si direbbe di sì.   E invece vi dico che non è affatto detto. Perché? Perché prima o poi entra in gioco l’aspetto psicologico ed emotivo, che di fatto cambia tutto.   Immaginiamoci la situazione: siamo arrivati ad 88 anni, molto anziani certo… però ancora in buona salute. Siamo tra i fortunati, è vero. Purtroppo non è detto che vada così bene. Ma non siamo certo persone da guinness dei primati, sia chiaro.   Ora immaginiamo di guardare al nostro portafoglio investito, quello dell’esempio sopra, che a suo tempo avevamo costruito per poter integrare la pensione INPS. Da quando siamo andati in pensione, vent’anni fa, ci ha garantito la nostra bella rendita annua di 11.400 €, vitale per il nostro tenore di vita. Eh già.   Il fatto è che adesso, dopo 20 anni di prelievi, e magari pure un paio di ribassi significativi dei mercati finanziari, il nostro portafoglio si è decisamente assottigliato.   Ancora un po’ di fondi ci sono rimasti, però il fatto è che nessuno sa dirci PER CERTO quanto ancora potranno durare.   Esattamente come nessuno sa dirci quanto ancora vivremo noi (e vivaddìo!).   Ora ditemi: come vi sentite, che sensazioni provate, immedesimandovi in questa situazione? Disagio, preoccupazione. Forse addirittura stress emotivo.   Il fatto è che arrivati a questo punto della nostra vita, non ci accontentiamo più che un po’ di fondi ci siano ancora. E neppure che qualcuno ci dica che “ragionevolmente” dovrebbero bastare.   Questo è il momento della vita in cui vogliamo dedicarci a godere delle cose che VERAMENTE contano per noi. Per gli aspetti materiali, vogliamo semplicemente sentirci tranquilli.   Forse adesso, con il senno di poi, pensate che a suo tempo sarebbe stato meglio optare un fondo pensione, l’unica soluzione che vi avrebbe garantito una rendita vitalizia?   Ecco, e qui siamo arrivati al punto sul quale volevo far riflettere.   Certo, nel racconto ci sono necessariamente semplificazioni. Le variabili sono molte, come anche le alternative possibili. Ad esempio, si potrebbe ipotizzare anche di liquidare tutto il portafoglio (pagandoci le imposte sulle plusvalenze) e poi versare il capitale rimasto in un’assicurazione, in cambio una rendita vitalizia… che però sarebbe certamente ben inferiore al nostro precedente SWR.   Gli strumenti di investimento efficienti sono come i ferri del chirurgo: ce ne sono di molti diversi tipi. Ed ognuno è idoneo per certi scopi, ma non per altri.

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L'importanza della protezione

Scritto il 30.09.2024

È di pochi giorni fa la notizia della ragazza rimasta tragicamente uccisa da una statuetta caduta da una finestra nelle stradine dei quartieri spagnoli di Napoli.   A quanto pare, la statuetta è stata involontariamente spinta giù da un bambino, delle cui azioni saranno i genitori a dover rispondere.   Per quanto rari, purtroppo simili eventi fortuiti “sfigati” possono accadere. Anche a noi, non solo agli altri.   Per chi ne rimane vittima, si può solo sperare che non riporti conseguenze gravi o addirittura fatali.   Per chi invece ne è la causa, sia pure del tutto involontariamente, si può solo auspicare che venga scagionato in sede penale, e che sia in grado di risarcire il danno in sede civile.   E le istanze risarcitorie possono essere molto consistenti in casi simili, gettando all’improvviso un enorme macigno sulla solidità finanziaria del responsabile e della sua famiglia.   A questo punto, fermiamoci un attimo.   Se di fronte a queste considerazioni il tuo pensiero è del tipo “si vabbè dai, tanto di sicuro a me non capiterà, e se mai capitasse poi in qualche modo si farà” allora puoi interrompere qui la lettura di questo post.   Il tuo approccio infatti è incompatibile con i principi della responsabile pianificazione finanziaria, e per questo motivo di un professionista come me non-sapresti-che-fartene.   Se invece ho catturato la tua attenzione, e ti interessa capire come PROTEGGERE te la tua famiglia dalle conseguenze finanziarie di situazioni simili, continua a leggere, ne saprai di più.   Per far fronte alle conseguenze finanziarie di simili eventi vi sono solo due possibili strade, entrambe valide solo se ben ponderate e predisposte in anticipo:   1.      Auto-assicurarsi per il rischio risarcitorio, accantonando in anticipo un consistente capitale (dove c-o-n-s-i-s-t-e-n-t-e  si scrive con almeno 5 zeri), fruibile in qualsiasi momento, senza vincoli né penali. E… no, non può essere lo stesso capitale che hai risparmiato o stai risparmiando per il futuro tuo e della tua famiglia.   Ooops.   Dici che non hai tutti quei soldi da destinare “solo” a questo scopo? Eh, benvenuto nel club.   Allora si attiva l’altra opzione, che spesso è quella più utilizzata, anche da chi potrebbe auto-assicurarsi:   2.       Trasferire il rischio risarcitorio per questo tipo di eventi all’assicurazione, stipulando apposita polizza, in questo caso quella RC familiare, anche detta “del capofamiglia”.   Questa copertura ha di norma un premio annuo contenuto, ed è attivabile come opzione all’interno delle polizze danni/incendio per la casa. Ma può anche essere stipulata “stand alone”, ad es. per chi non ha proprietà immobiliari.   E tu, hai già analizzato, quantificato, e coperto la tua specifica situazione di rischio patrimoniale e/o reddituale, per te e la tua famiglia?   Richiedi un appuntamento, il primo colloquio è conoscitivo, gratuito, senza impegno. La mia professionalità, applicata al tuo esclusivo interesse. Sempre.   https://lucagentili.it/

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