Linda Leodari

Vai al mio profilo / Se mi conosci votami / Follow me

Consulente finanziario

Top MoneyController Financial Educational Awards
MoneyController Financial Educational Award
MoneyController Financial Educational Award
Consulenti Finanziari Autonomi Indipendenti
Vicenza
Da € 20/40MLN
Fino 5 anni
Diploma di specializzazione
50 anni
1179
22/12/2021

Vai al mio profilo

35 post - 10.086 letture


Mercati: Che fare? - La mia intervista a Plus24 17.06.24

Scritto il 05.07.2024

Sono stata invitata a partecipare alla trasmissione di Plus24 del 17 giugno 2024, in cui ho avuto l’opportunità di discutere su un tema di grande attualità: “Cosa fare nei mercati finanziari in questo periodo?”. Potete guardare la trasmissione completa cliccando al link sotto riportato: Plus24 – Trasmissione del 17/06/24:  https://www.youtube.com/watch?v=XEQ7wG9Anfs&list=PLAzmGyE45_iTwro9lmQPC-eDvNmBHX-8f&index=3 Nel mio modo di operare suggerisco sempre di investire il proprio denaro secondo i propri  obiettivi e in linea con il personale grado di rischio sopportabile. In un’ottica più generale, nell’attuale scenario di mercato consiglio prudenza negli ingressi, che andrebbero fatti con gradualità nell’azionario, con un posizionamento invece più deciso nel comparto obbligazionario, in cui possiamo trovare diverse opportunità di investimento, mantenendo sempre un’adeguata diversificazione, sia geografica che settoriale, per ridurre il livello di rischio generale del proprio portafoglio. Vi invito a guardare la trasmissione per ulteriori approfondimenti! Su questa tematica, ho partecipato anche ad un sondaggio insieme ad altri consulenti. Una delle mie indicazioni è stata citata nell’articolo di copertina di Plus24 pubblicato sabato 15/06/24, di cui riporto qui un estratto.

Continua a leggere

GUIDA AL RECUPERO DELLE MINUSVALENZE - 2^PARTE

Scritto il 14.06.2024

Come abbiamo visto nel precedente articolo, le minusvalenze rappresentano una sfida difficile da gestire per gli investitori. Esistono vari strumenti che consentono di mitigarne l’impatto, tuttavia la complessità della normativa vigente rende il compito difficile da realizzare in maniera autonoma. In questa seconda parte, esploreremo le opzioni disponibili, con alcune considerazioni chiave per gestire al meglio le minusvalenze. Gli strumenti per compensare le minusvalenze Nello scorso articolo abbiamo visto come la principale distinzione da fare per comprendere se una plusvalenza può compensare con una minusvalenza è se è essa genera un reddito da capitale o un reddito diverso. Fatta chiara questa distinzione, analizziamo nel dettaglio come si comportano i vari strumenti a nostra disposizione. Azioni: le azioni generano due tipi di plusvalenza. Se l’azione viene venduta a un prezzo maggiore di quello di acquisto si tratta di un reddito diverso, e pertanto compensa. Di converso, quando un’azienda distribuisce i proventi della propria attività agli azionisti attraverso lo stacco di dividendi, si tratta di un reddito da capitale e quindi non compensa. Obbligazioni societarie: il funzionamento è simile alle azioni. Se si realizza una plusvalenza vendendo il titolo sul mercato prima della scadenza si tratta di reddito diverso e compensa, mentre le cedole – al pari dei dividendi – sono considerate reddito da capitale, e pertanto non compensano. Fanno eccezione i bond zero coupon: non avendo cedole il guadagno è dato dal loro prezzo di collocamento sotto la pari. Quindi, se portati a termine, danno solo redditi da capitale non compensabili, mentre il discorso è molto diverso se sono venduti sul mercato prima della scadenza: in questo caso sono compensabili con eventuali minusvalenze solo per la parte che eccede il rendimento già maturato, calcolato come quota della durata trascorsa dal momento dall’inizio fino al momento della vendita. Si tratta di un calcolo complesso, e per semplificare si può dire che in questo caso o non compensano o compensano solo in parte in base al prezzo di vendita. Titoli di Stato: ricalcano lo schema delle obbligazioni societarie (compresi gli zero coupon come BOT e CTZ), ma con una notevole differenza. I titoli di Stato godono di una tassazione agevolata, il 12,5% invece del consueto 26%. Questo vantaggio, tuttavia, si ribalta nel momento di una eventuale compensazione con delle minusvalenze: in caso di generazione di redditi diversi, come ad esempio nel momento in cui li si venda sul mercato secondario prima della scadenza, essi sono compensabili con la stessa proporzione che c’è tra la tassazione dei titoli di Stato e quella delle obbligazioni societarie, ovvero il 48,0769%. In altre parole, è possibile compensare solo quest’ultima percentuale dell’importo, invece del 100% come invece accade per le obbligazioni societarie. Fondi, SICAV ed ETF: queste tipologie di investimenti generano redditi da capitale in caso di plusvalenza, e redditi diversi in caso di minusvalenza. Questo significa che i guadagni provenienti da questi investimenti non sono compensabili. Certificate: sono strumenti derivati il cui andamento è legato a quello di un sottostante, in genere un un indice azionario o un basket di indici. Nel caso di rendimenti certi, come ad esempio le cedole incondizionate di un certificate a capitale protetto, si tratta di redditi da capitale e non sono compensabili. Sono invece compensabili i redditi non certi, come spiegato più nel dettaglio nella prima parte di questa guida. ETN ed ETC: sono costruiti attraverso derivati che replicano l’andamento di un sottostante, pertanto i proventi generati da questi strumenti sono redditi diversi e possono compensare eventuali minusvalenze. I rischi Impostare un portafoglio che punti al recupero delle minusvalenze accumulate deve tenere conto dei rischi e dei costi associati agli strumenti finanziari necessari a centrare l’obiettivo: Concentrazione in singoli emittenti: l’utilizzo di azioni e obbligazioni di singoli emittenti comporta il rischio di concentrazione in pochi strumenti, con un calo considerevole di diversificazione del portafoglio. Molti Istituti di credito si sono dotati di piattaforme che calcolano in automatico questa soglia e impediscono la sottoscrizione di strumenti finanziari sullo stesso emittente, calcolandola in base al questionario Mifid del cliente. Con un ETF o un fondo il numero dei sottostanti può arrivare a migliaia di aziende, riducendo il rischio di default di uno specifico emittente a fronte dell’impossibilità di compensare i proventi dal punto di vista fiscale. Certificate: sono gli strumenti più utilizzati per il recupero di minusvalenze, grazie alla possibilità di trovarne per i più disparati profili di rischio, compresi quelli a capitale protetto e con cedole interessanti (purchè lo stacco sia condizionato all’andamento del sottostante). L’aspetto da tenere bene a mente è che pur essendo legati a un sottostante, con un certificate non si sta investendo direttamente nel sottostante. A garantire l’investimento è infatti l’emittente, del quale va valutata con attenzione la solidità per mitigare il rischio di deafult. Oltre a questo, non deve trarre in inganno la dicitura “capitale protetto” presente in alcuni certificate: la protezione del capitale (fornita dall’emittente) è tale al termine della durata del titolo e non vale nel caso in cui venga venduto sul mercato prima della scadenza, al pari dei titoli obbligazionari. ultimo aspetto, va tenuto conto che vi sono diverse categorie di certificates anche dal punto di vista dei costi, che non sempre sono subito evidenti e che possono rivelarsi più cari degli ETF. A titolo di esempio, vi sono certificates emessi sul mercato primario che, se acquistati in emissione, nel prezzo incorporano una commissione di collocamento. Se invece si acquistano nel mercato secondario, dopo il collocamento, questa commissione è evitabile. Vi sono certificates con spese correnti e sono quelli che di norma replicano indici proprietari o altri strumenti. Infine, troviamo anche certificates che non presentano né commissioni di collocamento, né spese correnti, ma possono avere uno spred bid/ask (ovvero il differenziale tra prezzo di vendita e di acquisto), che a volte può essere molto ampio.  ETN ed ETC: a differenza degli ETF, che dal punto di vista tecnico sono fondi, gli ETN (Exchange-Traded Notes) ed ETC (Exchange-Traded Commodities) comportano il rischio di default dell’emittente. A differenza di fondi ed ETF, il capitale investito non appartiene a un patrimonio a parte in una banca terza, ma viene conferito materialmente all’emittente e pertanto non gode della stessa protezione. Vale la pena rincorrere la compensazione delle minusvalenze? Come abbiamo visto, il recupero delle minusvalenze espone a rischi concreti, che vanno soppesati con attenzione per determinare quale sia la strada corretta da percorrere. È importante valutare la dimensione del patrimonio: se è sufficientemente ampio rispetto alle perdite pregresse, è possibile destinare una parte di esso a strumenti specifici per il recupero delle minusvalenze entro i tempi di scadenza, che abbiamo visto essere alquanto ristretti. Tuttavia, se il patrimonio è contenuto, si finisce per barattare il recupero delle minusvalenze con il rischio di una insufficiente diversificazione: se il patrimonio è limitato, è consigliabile abbandonare l’attività di recupero “a tutti i costi” e optare per un portafoglio diversificato, che includa anche strumenti come alcuni tipi di certificate, ETC su oro e materie prime, e titoli di Stato di buona qualità creditizia. Anche il fattore tempo incide: se le scadenze sono brucianti si potrebbe avere la tentazione di buttarsi su investimenti ad alto rischio con il solo scopo di costruire velocemente una plusvalenza, finendo per mettere a repentaglio parte del proprio patrimonio. In conclusione, la gestione delle minusvalenze richiede una valutazione attenta e una strategia ben ponderata. Fare da soli rischia di essere controproducente, motivo per cui è bene affidarsi a un consulente finanziario esperto, per adattare le scelte di investimento agli obiettivi personali e al proprio profilo di rischio. Contattami per una call conoscitiva: il primo colloquio è sempre gratuito. Ti spiegherò come lavoro, quali sono i vantaggi che la mia consulenza ti può offrire e ti darò già un preventivo di costo. Scrivimi a info@lindaleodari.it.  

Continua a leggere

GUIDA AL RECUPERO DELLE MINUSVALENZE - 1^PARTE

Scritto il 28.05.2024

Sempre più clienti si rivolgono ai consulenti con l’obiettivo di recuperare le minusvalenze finanziarie accumulate, spesso dopo aver ricevuto il resoconto fiscale annuale che, come da normativa, gli Istituti di Credito inviano ai clienti. Cos’è una minusvalenza?  Non è altro che il realizzo in perdita di un investimento. Come vedremo, mettendo in campo strategie adeguate è possibile compensare a livello fiscale queste perdite, del tutto o in parte, attraverso la creazione di plusvalenze, ovvero dei realizzi in guadagno. Su qualsiasi tipo di reddito vanno infatti pagate le tasse e questo vale anche per i redditi finanziari. Per la precisione, la tassazione viene calcolata esclusivamente su quanto effettivamente guadagnato e non sul valore totale dell’operazione. Per compensazione si intende la facoltà concessa dallo Stato di sottrarre eventuali minusvalenze da successive plusvalenze, al fine di calcolare le tasse da pagare solo sulla loro differenza o, in caso di compensazione totale, senza applicare alcuna tassazione. Va da sé che sia minusvalenze che plusvalenze sono per definizione tali solo quando provenienti dal realizzo effettivo di un investimento, sia esso derivante dalla differenza tra il valore di vendita e di acquisto di uno strumento finanziario (il cosiddetto capital gain), oppure dall’incasso di cedole e dividendi. In altre parole, finché una perdita o un guadagno non sono effettivi (ad esempio, un’azione non ancora venduta), non si genera né una minusvalenza né una plusvalenza. Come abbiamo visto, in Italia le regole fiscali permettono la compensazione tra minusvalenze e plusvalenze. Tuttavia, non tutti gli strumenti finanziari consentono di farlo e in generale queste stesse regole complicano ulteriormente il processo, soprattutto quando ci si trova a gestire un patrimonio limitato, e con tempi di recupero stretti. La differenza tra Redditi di Capitale e Redditi Diversi Questo è l’aspetto principale e di solito il più complesso da comprendere per l’investitore. Le norme fiscali italiane distinguono i proventi derivanti da attività finanziarie in redditi di capitale e redditi diversi. Questa distinzione genera complessità in quanto queste due tipologie di reddito hanno trattamenti fiscali differenti. Pertanto, ci possiamo trovare ad avere in portafoglio alcuni strumenti che generano redditi compensabili con le minusvalenze, mentre altri che non lo permettono. Non solo, alcuni strumenti finanziari, come ad esempio fondi ed ETF, realizzano redditi da capitale se venduti in guadagno (quindi non compensano con nessuna minusvalenza), mentre se venduti in perdita vengono registrati tra i redditi diversi (quindi compensabili con altre plusvalenze da redditi diversi). È complesso, ma la comprensione di questa differenza è essenziale per ottimizzare la gestione delle minusvalenze e ottenere quindi un vantaggio economico diretto per l’investitore. Qui di seguito, una tabella riassuntiva che esemplifica come i vari strumenti recuperano o meno le minusvalenze. Discorso a parte meritano gli investment certificates, strumenti derivati spesso consigliati dagli Istituti di Credito per la compensazione delle minusvalenze. Come vedremo più nel dettaglio nella seconda parte, si tratta di una famiglia molto ampia, con diversi gradi di rischio: da quelli che prevedono la protezione del capitale a quelli a elevato rischio di perdita, anche totale. Nonostante l’attenzione da porre nella sottoscrizione di questo tipo di investimento, sono uno strumento molto apprezzato dagli investitori e negli ultimi anni stanno riscuotendo un grande successo. Tuttavia, sostenere che in generale i investment certificates compensino le minusvalenze non è corretto. Come vediamo nella tabella seguente, la compensazione dipende dalla natura dello strumento usato: se il rendimento complessivo è certo non vi è alcuna compensazione, possibile invece se il rendimento è condizionato all’andamento di un sottostante (in genere il sottostante può essere costituito da una o più azioni o uno o più indici di borsa), sia lato cedole che lato protezione del capitale investito. In altre parole, se è possibile determinare a monte quale sarà il rendimento del certificate, allora i suoi proventi non potranno compensare a livello fiscale le eventuali minusvalenze. La scadenza delle minusvalenze Le minusvalenze devono essere recuperate entro il quarto anno successivo alla loro origine. Questo limite di tempo è piuttosto ristretto, soprattutto quando esse sono generate da disinvestimenti in perdita contingenti e non programmati, ad esempio a causa di un imprevisto che rende necessario all’investitore realizzare in maniera rapida una certa somma di denaro. La mancanza di pianificazione rischia così di mettere pressione sull’investitore, che per la fretta potrebbe incappare in scelte poco attente, in quanto concentrato unicamente sul recupero delle minusvalenze nel più breve tempo possibile, più che sulla gestione globale del suo portafoglio. Gli zainetti fiscali e gli Istituti Bancari Spesso gli investitori operano con diversi Istituti di Credito, con il risultato che al consulente della Banca manca la visione d’insieme del patrimonio complessivo del cliente, ad esempio la sua allocazione per asset class tra i diversi Istituti. Questo, oltre a portare consigli poco adeguati al profilo globale del cliente, porta a una gestione fiscale disordinata. Ogni Istituto, infatti, applica in maniera automatica il sostituto d’imposta, con il risultato che la compensazione tra minusvalenze e plusvalenze sarà possibile solo per i titoli detenuti presso lo stesso Istituto e non per operazioni fatte su Istituti diversi. La mancanza di comunicazione tra i dati fiscali dei clienti può complicare il recupero delle minusvalenze, piuttosto complesso se non ci si avvale di un professionista competente, il quale, con una visione completa della gestione finanziaria del cliente, può suggerire le operazioni più adatte per ottimizzare anche questi importanti aspetti fiscali. Le minusvalenze nella riforma fiscale 2024 La riforma fiscale del 2024 prevede importanti cambiamenti relativamente ai redditi finanziari, in particolare la fine della distinzione tra redditi di capitale e redditi diversi, cosa che semplificherebbe in maniera sostanziale la determinazione delle imposte sui prodotti finanziari. Inoltre, il criterio di pagamento delle imposte per il risparmio gestito passerà al metodo di cassa, il che significa che il criterio cronologico di incasso delle plusvalenze e delle minusvalenze si sostituirà all’attuale metodo di imposizione per competenza, in cui ogni anno, il risultato delle gestioni patrimoniali viene assoggettato a tassazione. Tuttavia, l’entrata in vigore di questi cambiamenti non è ancora chiara, e rimane pertanto in vigore l’attuale sistema. Se e quando sarà attuata la riforma, il nuovo sistema comporterà inevitabilmente un calo di entrate fiscali derivanti dai prodotti finanziari per lo Stato. Per questo motivo si può ipotizzare che per diluire l’impatto di questo cambiamento, potranno essere applicate delle regole per una sua implementazione gradualmente nel tempo. Nonostante le sfide ci sono strumenti che permettono il recupero delle minusvalenze, ma il loro uso deve essere pianificato con cura, integrandoli nel rispetto del profilo di rischio del cliente e dei suoi obiettivi e soprattutto illustrando e spiegando tutti i loro pro e contro. Ne parleremo nella seconda parte di questo articolo.  Contattami per una call conoscitiva: il primo colloquio è sempre gratuito. Ti spiegherò come lavoro, quali sono i vantaggi che la mia consulenza ti può offrire e ti darò già un preventivo di costo. 

Continua a leggere

QUANTO DEVO METTERE DA PARTE PER INTEGRARE LA MIA PENSIONE?

Scritto il 08.05.2024

“Quando andrò in pensione? Quanto riceverò di pensione pubblica? Potrò permettermi lo stile di vita che desidero? Quale sarà il gap tra la mia pensione pubblica e il mio ultimo reddito o rispetto al tenore di vita che vorrei avere al pensionamento?”   Porsi queste domande e conoscerne le risposte è fondamentale per pianificare bene il tuo futuro finanziario!   Puoi decidere di colmare questo gap con versamenti in un fondo pensione o con un piano di accumulo attraverso investimenti in autonomia.   È saggio destinare una quota dei tuoi risparmi a un fondo pensione o ad un piano di accumulo;ma ciò che metti da parte ti basterà per raggiungere il risultato che desideri?   Il mio servizio di analisi previdenziale, con proiezioni precise, può fornirti tutte queste risposte e molte altre informazioni.   Valutazione della convenienza del riscatto di laurea (convenzionale o agevolato)   Opzioni di ritiro anticipato dal lavoro   Strategie per massimizzare i tuoi risparmi pensionistici attraverso fondi pensione e/o investimenti autonomi   Non lasciare il tuo futuro al caso. Pianifica oggi la tua sicurezza finanziaria per garantirti una pensione soddisfacente domani.   Contattami ai numeri 328 105 4795 o 0445 538517 o scrivimi a info@lindaleodari.it per una consulenza personalizzata.  

Continua a leggere

Previdenza: come districarsi nella giungla dei fondi pensione

Scritto il 18.04.2024

Nel contesto italiano, caratterizzato anche dalla presenza dei fondi pensione privati, il sistema pensionistico pubblico rappresenta uno dei pilastri del welfare, che per molti decenni è stato in grado di permettere a milioni di persone di poter contare su una pensione dignitosa senza doversene occupare di persona. Tuttavia, mai come oggi lo Stato si trova ad affrontare sfide cruciali per la tenuta di questo sistema, che per tanti anni ha rappresentato un’ancora di sicurezza per i cittadini. Un tempo il sistema pensionistico pubblico era basato sul meccanismo detto “a cassaforte piena”, ovvero i contributi cumulati dal lavoratore durante la sua vita lavorativa venivano materialmente accantonati, per poi fungere da serbatoio al quale attingere per garantire la rendita pensionistica, una volta superata l’età minima per poterne godere. Un meccanismo che da una parte immobilizzava una grande quantità di risorse, e dall’altra rischiava di vedere la rivalutazione del capitale pesantemente inficiata dall’inflazione. Un tesoretto al quale lo Stato attinse in più occasioni per motivazioni ben diverse dall’esigenza previdenziale. Si passò quindi al sistema a “cassaforte vuota”, nel quale le pensioni non sono più prese dai contributi accumulati dal lavoratore. Si utilizzano invece i contributi versati da chi lavora per pagare direttamente le pensioni, senza alcun accumulo. Un sistema basato sul cosiddetto patto generazionale, ovvero la consapevolezza di pagare le pensioni agli anziani di oggi sulla base della promessa che chi verrà dopo farà altrettanto. Dal sistema retributivo a quello contributivo Il primo sistema di questo tipo è stato quello retributivo, nel quale l’importo della pensione veniva calcolato sulla base delle ultime retribuzioni, a prescindere da quelle precedenti e quindi dai contributi effettivamente versati in precedenza. Questa modalità di calcolo ha potuto essere applicata fintanto che le persone in età da lavoro erano in numero molto superiore rispetto a quello dei pensionati, ed è stato il caso dell’Italia dal dopoguerra fino alla situazione attuale. Tuttavia, è evidente che questo metodo non è sostenibile, in quanto assegna pensioni ben più ricche di quanto il pensionato abbia effettivamente contribuito al sistema. Senza contare l’ampio uso a fini elettorali delle cosiddette baby pensioni, ovvero la prestazione previdenziale pubblica erogata a favore di persone con pochissimi anni di contributi. Considerando che dal punto di vista legislativo la pensione è un diritto acquisito, essa non è modificabile e pertanto gli impegni accumulati dallo Stato a causa del sistema retributivo rappresentano tuttora un enorme fardello. Per rendere il sistema più sostenibile si è poi passati al sistema contributivo, nel quale l’importo della pensione è commisurato ai contributi realmente versati. Considerando gli impegni precedenti, tuttavia, questo si è tradotto nella definitiva rottura del patto generazionale: da una parte i retributivi, in pensione prima e con importi elevati; dall’altra i contributivi, che dopo aver pagato per una vita le più alte pensioni dei retributivi si troveranno con una prestazione più bassa. Con il nuovo millennio e la crisi dei debiti sovrani degli anni Dieci, è stato necessario mettere nuovamente mano al sistema previdenziale pubblico, legandolo non più solo all’importo dei contributi versati, ma anche all’aspettativa di vita nel determinare la data di pensionamento: la cosiddetta riforma Fornero. Il sistema è comunque destinato a future ulteriori modifiche. Il metodo a “cassaforte chiusa”, infatti, di certo non risente dell’inflazione come il precedente, ma è esposto a un rischio esistenziale che si sta già manifestando: quello demografico. Il rischio demografico L’Italia è un Paese con un’età media molto elevata, dove il ricambio generazionale è inceppato e la piramide demografica si sta invertendo rapidamente, tanto che la data nella quale ci sarà un rapporto 1:1 tra lavoratori e pensionati si avvicina sempre di più. Questo fenomeno mette pressione sul sistema pensionistico, poiché ci sono meno contribuenti per sostenere gli attuali e futuri pensionati. L’aumento dell’aspettativa di vita aggrava questa situazione, in quanto le persone vivono più a lungo e, di conseguenza, ricevono la pensione per un periodo più esteso. Secondo le stime abbiamo già superato il punto di non ritorno: anche se da oggi si cominciassero a fare improvvisamente molti più figli, questi ultimi non farebbero in tempo a entrare nel mondo del lavoro in tempo. In questo senso, l’apporto esterno di nuovi contribuenti sarà cruciale per garantire la sostenibilità futura del sistema pensionistico pubblico. Come tutelarsi con i fondi pensione Dove il pubblico non arriva esistono comunque alternative in ambito privato, con le quali costruirsi in maniera autonoma una rendita che possa andare a integrare la pensione pubblica. Per gli aspetti principali, le varie forme di investimento previdenziale sono simili: hanno tutte sottostanti dei fondi d’investimento (fondi comuni o etf) e delle gestioni separate, e tutte sono ad accumulazione, pertanto la pensione integrativa verrà calcolata sui contributi accumulati dal lavoratore nel corso del tempo rivalutati dei rendimenti realizzati (con la possibilità di aggiungere al montante anche il TFR). Lo Stato ha la consapevolezza di questo problema, pertanto ha messo in campo diverse agevolazioni per incentivare la sottoscrizione dei piani pensionistici privati da parte dei cittadini. Vediamo le più importanti: I contributi versati nei fondi pensione privati sono subito deducibili dai redditi e quindi esentati dal calcolo delle tasse,fino a un importo massimo annuale di 5.164,57 euro. Coloro che non potessero portarli in deduzione dai redditi (ad esempio, i lavoratori in regime forfettario) o  coloro che versassero più di €.5.164,57 annui, possono comunque recuperare questo vantaggio fiscale alla fine del periodo di accumulo. Tutti i versamenti non dedotti devono essere comunicati al fondo annualmente e all’atto della consegna della prestazione finale (sia in forma di capitale che di rendita), non sono assoggettati a tassazione. Al pensionamento sul montante o rendita ottenuti vi è una tassazione agevolata al 15%. Dopo il 15°anno di permanenza nel fondo pensione viene applicata una riduzione della tassazione di uno 0,30% per ogni anno, fino a portare la tassazione ad un minimo del 9% annuo. I rendimenti derivanti dalla gestione finanziaria dei fondi pensioni sono assoggettati ad un’aliquota di tassazione ridotta dal 26% al 20%, mentre rimane invariata l’aliquota al 12,50% su rendimenti derivanti da titoli di stato. Per gli aderenti a fondi pensione legati alla propria categoria lavorativa è stato istituito il diritto di ottenere un contributo dal datore di lavoro, a patto che anch’essi versino nel fondo pensione il TFR e una quota del proprio stipendio. L’entità del contributo del datore di lavoro e dei dipendenti è indicata nei contratti collettivi nazionali di ogni categoria lavorativa. Per gli aderenti di prima occupazione, qualora nei primi 5 anni di  permanenza nel fondo pensione non riuscissero a versare fino a €.5.164,57 all’anno, hanno la possibilità di recuperare il plafond non versato negli anni che vanno dal 6° al 20°. Esistono comunque differenze sostanziali tra le varie forme di previdenza privata: Fondi preesistenti: sono forme pensionistiche complementari che risultavano già in essere alla data del 15 novembre 1992, cioè prima che venisse disciplinato in modo organico il sistema della previdenza complementare. Questa tipologia di fondo pensione raggruppa forme di previdenza complementare di varia tipologia a carattere collettivo, destinate a specifici ambiti di lavoratori. Fondi pensione chiusi (o negoziali): questi fondi sono riservati solo ad alcune categorie di lavoratori e istituiti da accordi o contratti collettivi di lavoro. Essendo organizzazioni senza scopo di lucro, presentano un ISC (Indicatore Sintetico dei Costi) medio per 10 anni di contribuzione pari allo 0,47%, secondo i dati del Covip (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione) relativi al 2022. Fondi pensione aperti: questi fondi sono accessibili a tutti, indipendentemente dalla categoria lavorativa di appartenenza. Sono istituiti presso banche, imprese assicurative, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM). L’ISC medio dei fondi aperti, calcolato sul medesimo orizzonte temporale, si attesta all’1,35%. Piani individuali pensionistici (PIP): questi piani possono essere istituiti esclusivamente da imprese assicurative. Pur essendo nella forma dei contratti di assicurazione sulla vita, i PIP sono a tutti gli effetti dei fondi pensione. L’ISC medio dei PIP a 10 anni si attesta al 2,17%. Tutte queste categorie di fondi pensioni sono vigilate da COVIP – Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione e offrono al lavoratore le medesime tutele. Come scegliere il fondo pensione? Nella scelta del fondo pensione è importante prendere in considerazione principalmente due aspetti: i costi del fondo pensione sono di varia natura e possono essere difficili da percepire per il risparmiatore: costi di ingresso e uscita, di gestione, di performance, di switch, di garanzia. L’insieme di tutti questi costi viene sintetizzato in una misura percentuale, rappresentata dall’indicatore ISC (indicatore sintetico di costo), riportato nel materiale informativo del fondo. I costi vanno a erodere il rendimento del fondo stesso e, nel lunghissimo periodo che caratterizza di solito questo tipo di investimento, anche piccole differenze dell’ISC possono avere un considerevole impatto sulla prestazione previdenziale finale, che si tramutano in migliaia di euro in meno per l’aderente. il tempo mancante al pensionamento, per poter scegliere la linea di investimento più congrua alla propria situazione. La scelta del fondo pensione è un momento importante e di lunghissimo periodo, da fare considerando molte variabili tra le quali, come detto, gli anni mancanti alla pensione, il reddito, il regime lavorativo (dipendente o autonomo). Per questo motivo è consigliabile avvalersi di un consulente, per non incappare in scelte fortemente penalizzanti per il proprio futuro. Cosa accade alla fine del periodo di accumulo? Quando arriva il momento del riscatto del fondo pensione il denaro accumulato tramite il versamento dei contributi viene restituito insieme ai rendimenti, al netto delle tasse. Il riscatto può avvenire in diverse modalità: tramite una rendita periodica vitalizia o, in alcuni casi specifici, sotto forma di capitale, o come mix di rendita e capitale. È stata prevista anche la possibilità, dopo 5 anni di permanenza nel fondo pensione e nel rispetto di determinati requisiti lavorativi, di  poter richiedere l’erogazione di una rendita temporanea (Rita), facendosi quindi anticipare parte di quanto accumulato prima del pensionamento. Esiste comunque la possibilità di prelevare una parte di quanto versato prima del pensionamento, a patto di rispettare determinate condizioni. Il fondo pensione infatti è uno strumento ideato per poter garantire una rendita integrativa alla pensione pubblica e quindi scoraggia i prelievi anticipati.

Continua a leggere

I RISCHI LEGALI DELLE COPPIE DI FATTO IN ITALIA

  • 291
  • 2
  • Pianificazione successoria
Scritto il 29.03.2024

Se una coppia sceglie di unirsi in maniera non ufficiale ha dei vantaggi indiscutibili. Il matrimonio e l’unione civile, infatti, presuppongono una lista di doveri piuttosto lunga e vincolante, cui le coppie di fatto non sono sottoposte. Senza contare gli obblighi e le lungaggini che si evitano nel caso si decida di interrompere la relazione. Oltre a questo, quando ci sono figli sempre più coppie scelgono di non registrare la convivenza in alcun modo, al fine di ottenere vantaggi sul piano fiscale – ad esempio con un ISEE più basso, inerente al genitore che si prende carico fiscalmente dei figli – e per poter accedere alle agevolazioni per i genitori single, sebbene il rischio di incorrere in problemi legali in caso di verifiche sia tutt’altro che nullo. Di converso, a fronte dei minori vincoli le coppie di fatto devono fare i conti con una serie di diritti sui quali non possono fare affidamento. Entriamo nel dettaglio. In Italia, il matrimonio non è più l’unica forma di unione tra due persone che si amano. Dal 2016, infatti, esistono le unioni civili, riservate alle coppie omosessuali, e le convivenze di fatto, aperte a tutti. La legge Cirinnà, che ha introdotto proprio i concetti di unione civile e di convivenza di fatto, ha cercato di dare una risposta al problema delle tante coppie che non possono o non vogliono sposarsi. Tuttavia, la Cirinnà non è risolutiva: le coppie di fatto, infatti, devono fare i conti con una serie di ostacoli e di incertezze che possono compromettere la loro stabilità e la loro sicurezza. I diritti delle coppie di fatto Se da una parte le coppie di fatto non hanno il dovere di fedeltà, dall’altra non hanno neppure il diritto al mantenimento in caso di separazione, il diritto alla comunione o alla separazione dei beni, il diritto alla reversibilità della pensione in caso di morte del partner, o la tutela del patrimonio immobiliare e dell’impresa familiare. Inoltre, le coppie di fatto non hanno diritto a ereditare la quota legittima del patrimonio del partner deceduto, se esistono altri eredi legittimi o testamentari, e hanno diritto a ereditare esclusivamente la quota disponibile, cioè quella di cui il defunto poteva liberamente disporre con testamento, solo se la convivenza di fatto è stata attestata da almeno due anni prima della morte. Nel concreto, le coppie di fatto devono accontentarsi di una tutela ridotta e precaria, e devono affidarsi alla buona volontà del partner e della sua famiglia, o alla discrezionalità del giudice, per risolvere le questioni più delicate e importanti della loro vita. L’uso scorretto delle polizze vita Spesso ricevono anche consigli imprecisi che nascondono ulteriori rischi, soprattutto in caso di decesso di uno dei due componenti. È il caso, ad esempio, dell’uso di polizze vita e strumenti simili, al fine di aggirare i limiti relativi alla successione legittima cui i conviventi di fatto non hanno diritto di partecipare. Adottare questi stratagemmi può sembrare una scelta furba per aggirare il problema, ma spesso viene sottovalutato il rischio che questo tipo di investimento venga riconosciuto quale donazione indiretta, generando una serie di grattacapi legali e costi anche importanti, in un momento già di per sé difficile dal punto di vista emotivo. Il contratto di convivenza per le coppie di fatto Un modo per limitare in parte questi rischi è il contratto di convivenza. Si tratta di un accordo scritto tra i due conviventi, che regola i rapporti patrimoniali e personali derivanti dalla loro unione. Il contratto dev’essere redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata e può contenere clausole relative alla contribuzione alle spese comuni, alla destinazione e alla gestione dei beni acquistati o posseduti in comune, alla regolamentazione dei rapporti in caso di scioglimento della convivenza, alla designazione di un tutore o di un amministratore di sostegno, alla donazione di organi o tessuti in caso di morte, alla nomina di un rappresentante per il riconoscimento dei diritti sanitari, previdenziali e assistenziali. Il contratto di convivenza, però, non è risolutivo e non sostituisce i diritti e i doveri previsti per le coppie sposate o unite civilmente. Piuttosto li integra, o li modifica in parte. Inoltre, il contratto di convivenza non è vincolante per i terzi, come le banche, le assicurazioni, le amministrazioni pubbliche, che spesso non lo riconoscono. Il contratto di convivenza non è obbligatorio ma facoltativo, e richiede la volontà e la capacità di entrambi i conviventi di stipularlo e poi, cosa niente affatto scontata, di rispettarlo. Non esiste una soluzione definitiva In conclusione, le coppie di fatto in Italia sono ancora in una situazione di svantaggio e di vulnerabilità rispetto alle coppie sposate o unite civilmente. La legge Cirinnà ha rappresentato un passo avanti – ma non sufficiente – per garantire loro una piena tutela e una pari dignità. Il contratto di convivenza può essere uno strumento utile per regolare i rapporti tra i conviventi e per prevenire o gestire i conflitti, ma va tenuto presente che si tratta di uno strumento non risolutivo. L’unica soluzione definitiva sarebbe quella di equiparare le convivenze di fatto alle unioni civili e al matrimonio, riconoscendo loro gli stessi diritti e doveri, senza distinzioni di sesso, di orientamento sessuale o di forma giuridica. Tuttavia, per questo servirebbe una riforma costituzionale, che al momento appare alquanto improbabile. Nella situazione attuale e considerati i rischi appena esposti, è pertanto consigliabile di rivolgersi a un professionista di fiducia, al fine di pianificare il proprio futuro di coppia con tranquillità e consapevolezza.

Continua a leggere

Rendiconto costi e oneri: cos’è, come si legge e perché è importante

Scritto il 15.03.2024

Se avete investito i vostri risparmi riceverete a breve un documento chiamato “rendiconto costi e oneri”. Introdotto dalla direttiva europea Mifid 2, si pone l’obiettivo di rendere più trasparente e comprensibile il rapporto tra gli investitori e gli intermediari che offrono servizi di consulenza finanziaria. Vediamo di cosa si tratta, come si legge e perché è importante conoscerlo.   Cos’è il rendiconto costi e oneri Il rendiconto costi e oneri è un documento che l’intermediario è tenuto a inviare all’investitore ogni anno. Questo documento riassume tutte le spese che l’investitore ha sostenuto o che sosterrà per i suoi investimenti in strumenti finanziari (ad esempio azioni, obbligazioni, OICR, derivati). I costi e gli oneri presenti nel rendiconto possono essere di varia natura, come ad esempio il costo della consulenza, le commissioni di gestione, di performance, d’ingresso e di uscita, le spese di intermediazione, gli oneri fiscali. Il rendiconto permette all’investitore di conoscere il costo totale degli investimenti presenti nel suo portafoglio, e come questi impattano sul rendimento finale. È uno strumento molto utile, che permette di valutare se il servizio ricevuto è stato adeguato e conveniente, in modo da poterlo confrontare con eventuali diverse offerte in maniera più consapevole e informata. Le caratteristiche del rendiconto costi e oneri Il rendiconto costi e oneri dev’essere inviato almeno una volta all’anno: entro il mese di aprile nel caso di banche e società di gestione, ed entro fine febbraio per quanto riguarda i consulenti finanziari autonomi. Il rendiconto può essere inviato per posta ordinaria, ma con la digitalizzazione del mondo bancario è spesso caricato in formato elettronico all’interno dell’home banking. In quest’ultimo caso è consigliabile porre la giusta attenzione al fine di non perdere questa importante comunicazione, in quanto l’intermediario non è tenuto a inviare alcuna notifica di avvenuto caricamento. Il documento dev’essere chiaro, completo ed esaustivo, e deve contenere le seguenti informazioni: Il periodo di riferimento, che di norma coincide con l’anno solare precedente; Il controvalore medio investito nel periodo; Il rendimento netto del portafoglio, ovvero la variazione percentuale del valore del portafoglio, al netto dei costi e degli oneri sostenuti; Il dettaglio dei costi e degli oneri, suddivisi per tipologia e per singolo strumento finanziario. I costi e gli oneri devono essere espressi sia in valore assoluto che in percentuale sul valore del portafoglio. Inoltre, devono essere indicati i costi e gli oneri previsti per il futuro, se già noti o stimabili; Il confronto con il rendimento lordo del portafoglio, ovvero il rendimento che si sarebbe ottenuto senza alcun costo e onere. Questo permette all’investitore di capire quanto i costi e gli oneri hanno inciso sul suo investimento. Cosa è cambiato con la Mifid 2 La Mifid 2 ha introdotto l’obbligo del rendiconto costi e oneri per aumentare la trasparenza e la tutela degli investitori. Prima di questa direttiva, infatti, gli intermediari erano tenuti a fornire solo un’informativa sui costi e sugli oneri ex ante, ovvero a monte, prima cioè di concludere il contratto di investimento, e non ex post, ovvero a valle, cioè dopo aver prestato il servizio. Inoltre, l’informativa ex ante era spesso generica, incompleta e poco comprensibile, e non permetteva di avere una visione d’insieme dei costi e degli oneri effettivi. Con il rendiconto costi e oneri, invece, gli investitori possono avere una maggiore consapevolezza e controllo sui propri investimenti, e possono verificare se il servizio ricevuto è stato in linea con le proprie aspettative e con il profilo di rischio. Cosa fare dopo aver ricevuto il rendiconto costi e oneri Dopo aver ricevuto il rendiconto costi e oneri, il consiglio è di leggerlo attentamente e di confrontarlo con l’informativa ex ante che avete ricevuto prima di investire. In questo modo potete verificare se ci sono state delle variazioni significative dei costi e degli oneri, e se queste sono state giustificate e comunicate in modo adeguato. Se avete dei dubbi o delle domande, potete rivolgervi al vostro intermediario e chiedere delle spiegazioni. Se invece ritenete di aver subito un danno o una violazione dei vostri diritti, potete presentare un reclamo scritto al vostro intermediario e, in caso di insoddisfazione, ricorrere all’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF), un organismo indipendente e gratuito che si occupa di risolvere le controversie tra gli investitori e gli intermediari. Le decisioni dell’ACF non sono vere e proprie sentenze, e pertanto non sono vincolanti. Tuttavia, in caso di mancata applicazione delle decisioni in favore del cliente, la notizia viene pubblicata sul sito dell’ACF per cinque anni, e per sei mesi anche sul sito dell’intermediario inadempiente. In ogni caso, il rendiconto è uno strumento prezioso per valutare il rapporto costi/benefici del servizio reso dal proprio intermediario attraverso informazioni standardizzate, sebbene il modello grafico, per ora, non sia lo stesso per tutti. Ad ogni modo, l’uniformità delle informazioni presenti lo rende particolarmente utile per confrontare le diverse offerte presenti sul mercato, al fine di scegliere il servizio di intermediazione che fa più al caso proprio.  

Continua a leggere

Polizze multiramo: chi fa il vero affare? Chi vende o chi acquista?

Scritto il 01.03.2024

Conosci le polizze multiramo?  Ti sono state proposte o ne possiedi già una o più? Se non sai cosa siano o non ti è chiaro come funzionano, puoi scoprirlo leggendo questo articolo così da farti un’idea se possano essere uno strumento effettivamente utile nella tua situazione.   Come sono costituite le polizze multiramo? Le polizze multiramo uniscono al loro interno una polizza gestione separata e una polizza unit linked. Per spiegarti cosa sia una gestione separata e cosa sia una unit linked ti invito a leggere i miei articoli ad esse dedicati e che trovi pubblicati in Moneycontroller e nella sezione "Post" del  blog nel mio sito www.lindaleodari.it  Puoi scegliere la multiramo con una componente di gestione separata (meno rischiosa della parte unit linked) più o meno elevata, a seconda del grado di rischio che decidi di voler assumere. Di norma si trovano polizze multiramo con delle percentuali già prestabilite all’interno della quota parte in gestione separata e di quella in unit linked; percentuali che puoi aumentare o diminuire o che rimangono fisse nei pesi prestabiliti dalla compagnia. Questa variabilità dipende dal tipo di prodotto che ti viene proposto. Vi sono infatti molte tipologie di polizze multiramo, con caratteristiche di composizione differenti. La parte in gestione separata di solito viene investita in un fondo appositamente creato e gestito dalla compagnia assicurativa e di solito genera, al netto dei costi, un rendimento molto modesto, a fronte della garanzia di mantenimento del capitale versato (al netto dei costi trattenuti sui premi versati). La parte in unit linked può essere costituita da fondi interni, fondi comuni, Sicav e talvolta in Etf è soggetta all’andamento dei mercati finanziari. Può essere più o meno esposta al rischio, a seconda di quanta parte si desideri destinare agli strumenti più aggressivi, come fondi, Sicav o etf azionari. Non ha di per sé un rendimento certo e nemmeno la garanzia di mantenimento del capitale, salvo in alcune tipologie ove questa garanzia di protezione, parziale o totale viene offerta (a fronte ovviamente di un costo maggiore). In alcuni casi ti è data la possibilità di scegliere i fondi o gli etf in cui investire, in altri no e la scelta è affidata ad un gestore. Di per sé quindi non stai acquistando un prodotto innovativo, ma solo un mix di tipologie di polizze già esistenti nel mercato, con grado di rischio molto diverso una dall’altra. I costi in una polizza multiramo Dal punto di vista dei costi una polizza multiramo non è assolutamente un prodotto economico, tutt’altro. Unisce infatti i costi della gestione separata e della unit linked che ingloba e ciò penalizza fortemente il suo potenziale di rendimento. Quali sono i vantaggi delle polizze multiramo? Se i costi sono elevati che erodono pesantemente i potenziali guadagni, quali sono i vantaggi che ti possono essere evidenziati da chi te la propone? Di norma viene esaltata la possibilità che offre di avere un’ampia diversificazione di investimento. La parte investita nella gestione separata è protetta e garantita e con la valorizzazione sempre al costo storico, consente una protezione dalle oscillazioni del mercato, offrendo una tranquillità emotiva (ideale per persone anziane o avverse al rischio). La parte in gestione separata è esente da imposta di bollo (pari oggi allo 0,20% del valore investito) e la tassazione, secondo le attuali norme fiscali, avviene solo alla liquidazione della polizza (tax deferall). Nella parte in unit linked tutte le tipologie di minusvalenze e plusvalenze generate dai fondi o etf interni alla polizza sono compensabili tra loro, contribuendo a migliore l’efficienza fiscale del prodotto. Nella parte in unit linked la tassazione, secondo le attuali norme fiscali, avviene solo alla liquidazione della polizza (tax deferall), così come l’addebito dell’imposta di bollo, oggi dello 0,20%, che quindi viene solo registrata dalla compagnia nel corso della vita del prodotto e poi addebitata al momento del rimborso. Il beneficiario di una multiramo può essere chiunque (anche al di fuori di parenti e affini) La polizza multiramo non concorre alla formazione dell’attivo ereditario ed è esente da imposte di successione Considera che se hai un patrimonio complessivo inferiore a 1 milione di euro, i trasferimenti al tuo coniuge o ai tuoi figli o ai tuoi parenti in linea retta sono esenti da imposte di successione. Trovi qui il link alle istruzioni dell’Agenzia delle Entrate con le  attuali regole sulle imposte di successione. La polizza multiramo è impignorabile e insequestrabile   Ricordati che… Comprendere gli strumenti finanziari che ci vengono proposti è sicuramente importante per conoscerne limiti e potenzialità, ma la scelta di quali usare si può fare con consapevolezza solo se si è definito dove si vuole arrivare e quale sia il loro scopo nel tuo piano di vita. La buona gestione delle tue risorse e del tuo patrimonio passa attraverso la pianificazione finanziaria e si estende a una corretta gestione del bilancio famigliare, all’investimento del risparmio orientato ai tuoi bisogni e obiettivi, fino alle decisioni in ambito assicurativo, previdenziale e successorio. Questo approccio è la base per una vita finanziaria più serena e sicura.   Contattami per saperne di più o per una consulenza personalizzata. Scrivimi a info@lindaleodari.it.  

Continua a leggere

Polizze Unit Linked: sono un vero vantaggio per i tuoi obiettivi?

Scritto il 15.02.2024

Polizze Unit Linked: sono un vero vantaggio per i tuoi obiettivi? Conosci le polizze unit linked?  Ti sono state proposte o ne possiedi già una o più? Se non sai cosa siano o non ti è chiaro come funzionano, puoi scoprirlo leggendo questo articolo così da farti un’idea se possano essere uno strumento effettivamente utile nella tua situazione. Le polizze unit linked sono polizze di ramo III e sono un prodotto finanziario-assicurativo che combina al suo interno le caratteristiche di un investimento in fondi comuni o etf con quelle di una polizza vita. Questo articolo è il terzo di quattro dedicati alle polizze vita. Se non hai letto i primi due: Polizze vita come investimento abbinato a garanzia per caso morte e Polizze gestione separata: cosa sono, come funzionano, vantaggi e svantaggi, puoi cercarli nel mio profilo in Moneycontroller o nel blog del mio sito https://www.lindaleodari.it/category/articoli-di-linda-leodari/ Ma cosa significa in termini pratici? Ebbene, hai presente le matriosche? Una cosa  simile: esse sono una sorta di contenitore che può investire in altri contenitori con specifici profili di investimento (fondi interni) i quali, a loro volta, acquistano fondi comuni, sicav o etf, o singoli titoli azionari/obbligazionari e al tutto si abbina una garanzia che si attiva in caso di morte del contraente. Fondi ed etf utilizzati possono essere di tipo azionario, obbligazionario, bilanciato o flessibile. In alcuni tipi di polizze hai la possibilità di scegliere i fondi di investimento, in altre no. Cosa offre la Garanzia Caso Morte? In caso di morte del contraente, essa offre la possibilità ai beneficiari della polizza di ottenere una maggiorazione di valore che si aggiunge al valore di quanto investito nei fondi comuni e/o etf al momento del decesso del contraente. Questa maggiorazione di norma corrisponde a una percentuale di quanto investito (di solito con un valore massimo prefissato dalla compagnia). Percentuale che diminuisce con l’aumentare dell’età del contraente fino quasi ad azzerarsi. Quindi in sostanza, viene riconosciuta una maggiorazione più elevata ai beneficiari nel caso in cui il decesso del contraente avvenga in giovane età; valore che si riduce enormemente nel caso in cui invece il decesso avvenga in età più avanzata. Il capitale versato è garantito? Vi sono due tipologie di polizze unit linked, in base al grado di protezione del capitale. Quando sottoscrivi una polizza unit linked, puoi versare in essa uno o più premi periodici, che vengono investiti in uno o più fondi comuni di investimento o etf (come indicato sopra) interni alla polizza stessa. Il valore della polizza unit linked varierà in base all’andamento di tali strumenti nei mercati finanziari. Nel tipo “puro” il capitale versato non è garantito ed è possibile subire delle perdite. Nel tipo “garantito” il capitale versato è protetto totalmente o parzialmente. Attenzione ai costi in una polizza unit linked! Queste polizze sono strumenti piuttosto complessi, in linea generale con costi importanti, non sempre semplici da individuare e comprendere. Esse potremmo dire siano una sorta di scatole cinesi in cui all’interno di ognuna vi sono dei costi che nell’insieme erodono una fetta molto consistente degli eventuali guadagni. Quali sono i costi in una polizza unit linked e come individuarli? Se desideri farti un’idea immediata di tutti i costi della polizza unit linked che ti hanno proposto o che hai già acquistato (chiedendoti se hai fatto un buon affare o meno), ti consiglio di chiedere il suo KID (Documento contenente le informazioni chiave) o di scaricarlo dal sito internet della compagnia assicurativa.  Il KID è un documento informativo di sole tre pagine in cui vengono riepilogate le caratteristiche principali, il grado di rischio e i costi della polizza. Alla sezione costi del KID sono visionabili il costo annuo complessivo del prodotto, se tenuto per un solo anno, o se mantenuto fino alla fine del periodo di detenzione raccomandato. Sono inoltre indicate in modo schematico le diverse tipologie di costi e l’incidenza di ognuna. Le tipologie di costi di questi strumenti sono molteplici. Spesso viene applicato un caricamento (leggi commissione) sui tuoi versamenti, che riduce quindi quello che destini all’investimento. Possono essere addebitate delle commissioni di uscita in caso tu decida di vendere anticipatamente il prodotto rispetto al periodo di detenzione minimo consigliato. Di norma queste commissioni di uscita decrescono con il passare degli anni fino ad azzerarsi, ma di fatto sono una barriera per scoraggiarti nel caso tu intenda uscire dal prodotto. Vi è un costo per la copertura assicurativa offerta, anche se spesso è la voce che ha il peso minore, dal momento che anche il valore stesso di questa garanzia è molto modesto. Ai costi sopra riportati si aggiungono i costi di gestione della polizza (di diversi tipi), ai quali si sommano i costi di gestione dei fondi comuni e/o etf in cui essa investe, a cui si possono aggiungere anche le commissioni di performance di alcuni dei fondi comuni. Vi è inoltre l’imposta di bollo annuale dello 0,2% sul valore investito in fondi comuni o etf. Polizza unit linked meglio se con all’interno fondi comuni o etf Nel caso in cui la polizza unit linked investa in etf anziché in fondi comuni, si ha una sicura riduzione dei costi di gestione di questi strumenti rispetto ai fondi comuni. Ti consiglio comunque di controllare tutte le altre condizioni economiche del prodotto per comprendere cosa costi nel suo insieme e controllare che a fronte di minori costi degli etf non vi siano maggiori costi di altro tipo. Verifica quindi nel suo KID tutti i costi della polizza unit linked. Non vi sono condizioni e costi standard prefissati e uguali per tutte le polizze unit linked. Per ogni strumento, quindi, va controllato quali siano le condizioni che lo regolano. Ma quali sono i vantaggi offerti da questi strumenti? I vantaggi sono più di uno. Una volta compreso quali siano però, ti consiglio di valutare la tua situazione e di chiederti se essi siano effettivamente utili nel tuo caso. Non è detto infatti che questi vantaggi siano importanti per chiunque. Non lasciarti influenzare su questo punto! Se questi vantaggi non ti servono, non ha senso acquistare un prodotto così costoso! Ecco, infine, i punti a favore di una polizza unit linked Il beneficiario può essere chiunque (anche al di fuori di parenti e affini) La polizza non concorre alla formazione dell’attivo ereditario ed è esente da imposte di successione Considera che se hai un patrimonio complessivo inferiore a 1 milione di euro, i trasferimenti al tuo coniuge o ai tuoi figli o ai tuoi parenti in linea retta sono esenti da imposte di successione. Trovi qui il link alle istruzioni dell’Agenzia delle Entrate con le  attuali regole sulle imposte di successione  https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/schede/pagamenti/imposta-di-successione/aliquote-e-franchigie   La polizza è impignorabile e insequestrabile Tutti le tipologie di minusvalenze e plusvalenze generate dai fondi o etf interni alla polizza sono compensabili tra loro, contribuendo a migliore l’efficienza fiscale del prodotto. La tassazione, secondo le attuali norme fiscali, avviene solo alla liquidazione della polizza, così come l’addebito dell’imposta di bollo, oggi dello 0,20%, che quindi viene solo registrata dalla compagnia nel corso della vita del prodotto e poi addebitata al momento del rimborso. Come sono tassate le polizze unit linked intestate a persone fisiche? Per l’investitore persona fisica, la tassazione viene calcolata sul rendimento ottenuto dalla polizza e viene addebitata al momento del suo rimborso come imposta sostitutiva. Ciò significa che una volta pagata non è necessario dichiarare questa entrata nella propria dichiarazione dei redditi o mod.730. L’aliquota dell’imposta sostitutiva è variabile e dipende dalla quota media di titoli di stato e di altri titoli presenti nella polizza nel periodo in cui la si è detenuta. I titoli di stato europei o di altri stati in white list subiscono alle norme attuali una tassazione del 12,50%, mentre ai titoli differenti viene applicata una tassazione del 26%. La compagnia rileva, per ogni anno di permanenza nella polizza, la quota di titoli di stato e white list e la quota di altri titoli e alla liquidazione calcola una percentuale media degli uni e degli altri, determinando così quanta parte di rendimento è stato generato da titoli soggetti a imposta al 12,50% e quanta parte da titoli soggetti a imposta del 26%. Calcola quindi il valore dell’imposta complessiva come somma delle due parti. Per l’investitore persona giuridica (azienda) invece il rendimento della polizza al rimborso viene considerato reddito imponibile, sommato agli altri redditi prodotti dall’azienda e assoggettato alle imposte di legge previste per le aziende. Ricordati che… Comprendere gli strumenti finanziari che ci vengono proposti è sicuramente importante per conoscerne limiti e potenzialità, ma la scelta di quali usare si può fare con consapevolezza solo se si è definito dove si vuole arrivare e quale sia il loro scopo nel tuo piano di vita. La buona gestione delle tue risorse e del tuo patrimonio passa attraverso la pianificazione finanziaria e si estende a una corretta gestione del bilancio famigliare, all’investimento del risparmio orientato ai tuoi bisogni e obiettivi, fino alle decisioni in ambito assicurativo, previdenziale e successorio. Questo approccio è la base per una vita finanziaria più serena e sicura. Contattami per saperne di più o per una consulenza personalizzata. Scrivimi a info@lindaleodari.it. Seguimi anche su Facebook, LinkedIn e Instagram per rimanere sempre aggiornato sui miei approfondimenti e non perdere i prossimo e ultimo articolo sulle polizza vita.  

Continua a leggere

POLIZZE RAMO I - GESTIONE SEPARATA Cosa sono e come funzionano?

Scritto il 05.02.2024

Polizze gestione separata Cosa sono? Le polizze a gestione separata sono degli strumenti così chiamati perché il patrimonio che vi è investito è separato dalle altre attività della compagnia assicurativa e quindi maggiormente tutelato. Sono polizze sulla durata della vita umana e sono dette di ramo 1. Ciò che destini ad una gestione separata viene investito per la maggior parte in titoli di stato, soprattutto italiani ed europei e in misura minore in titoli emessi da aziende, sempre nel rispetto del criterio della prudenza. In conseguenza al moderato rischio dei titoli in cui investono, queste polizze non offrono rendimenti particolarmente elevati. Come funzionano le polizze gestione separata? Le gestioni separate hanno la particolarità di mantenere il loro valore stabile nel tempo e di non subire la volatilità dei mercati finanziari, garantendo così a chi le sottoscrive una tranquillità emotiva, assieme alla garanzia di rimborso del capitale versato, garanzia talvolta comprendente anche la rivalutatazione annuale del rendimento ottenuto dalla gestione, al netto dei suoi costi. Di fatto però i titoli interni alla gestione separata subiscono delle oscillazioni di valore dovute al loro andamento nei mercati finanziari, ma vengono comunque valorizzati contabilmente nel bilancio della gestione al costo di acquisto, fino al momento del loro rimborso o della loro eventuale vendita. Per spiegare questo concetto considera ad esempio che la gestione separata compri un titolo il cui valore è €.1000. La compagnia manterrà nel bilancio della gestione questo titolo a €.1000, a prescindere dal suo valore nel mercato. Ciò fino al momento della sua vendita o del suo rimborso. In questo modo il valore che versi nella gestione separata può solo crescere, aumentato annualmente del rendimento ottenuto dalla stessa. In passato le compagnie offrivano dei rendimenti minimi garantiti, ma con il ribasso dei tassi di interesse degli ultimi 10 anni questa garanzia è andata scomparendo. Da cosa deriva il rendimento di una gestione separata? Il rendimento è dato da cedole e dividendi riconosciuti dai titoli in portafoglio e dagli utili o perdite generati via via da vendite e/o rimborsi degli stessi. Esso va a incrementare il valore di quanto hai versato, al netto dei costi. Quali sono i costi in una gestione separata? Nelle gestioni separate vi sono diversi tipi di costi: I caricamenti sui premi versati che riducono il valore destinato all’investimento e che sono trattenuti subito dalla compagnia, in misura fissa o in percentuale. A titolo di esempio, supponi di versare un premio di €.10.000 in una gestione separata con costi di caricamento sui premi dell’1%. Il valore trattenuto dalla compagnia sarà di €.100,00 l’investito di €.9.900. Gli oneri di gestione. Essi vanno a ridurre il rendimento annuo della gestione. Possono essere applicati dalla compagnia di solito in due modi. In misura percentuale fissa che mediamente si aggira attorno al 1%-1,5%, sottratto al rendimento annuo della gestione.Quindi se ad esempio la gestione ha reso il 3% e il costo di gestione è stabilito nell’1,3%, a te sarà riconosciuta la differenza, ovvero l’1,7% Tramite l’applicazione di un’aliquota di retrocessione. La compagnia si trattiene una quota parte del rendimento e la differenza ti viene riconosciuta. In questo caso la compagnia trattiene, ad esempio, il 20% del rendimento annuo e il resto rimane a te. Quindi nel caso di un rendimento annuo del 3%, il 20% di esso, pari allo 0,60% è trattenuto dalla compagnia e l’80% ti viene riconosciuto, pari al 2,40%. Penali di uscita: in molte polizze a gestione separata vengono applicate nei primi anni dalla sottoscrizione delle commissioni di uscita, di norma decrescenti fino all’azzeramento, anno dopo anno. Hanno lo scopo di scoraggiare la vendita dal prodotto dopo poco tempo. Quali sono i vantaggi offerti da una gestione separata? Il beneficiario può essere chiunque (anche al di fuori di parenti e affini) Non concorre alla formazione dell’attivo ereditario ed è esente da imposte di successione. Considera che se hai un patrimonio complessivo inferiore a 1 milione di euro, i trasferimenti al tuo coniuge o ai tuoi figli o ai tuoi parenti in linea retta sono esenti da imposte di successione. Per approfondire, puoi leggere le istruzioni dell’Agenzia delle Entrate con le  attuali regole sulle imposte di successione. È impignorabile e insequestrabile È esente da imposta di bollo (pari oggi allo 0,20% del valore investito) Offre una tranquillità emotiva (ideale per persone anziane o avverse al rischio), con la protezione dalle oscillazioni del mercato Talvolta offre un rendimento minimo garantito, che, per chi detiene vecchie polizze poteva essere anche del 3-4%, ma che nei contratti degli ultimi anni si attesta allo 0%. Forse dopo il recente rialzo dei tassi di interesse potremo vedere in futuro nuove proposte di polizze gestione separata con rendimenti minimi garantiti più alti dello 0%. Quali sono gli svantaggi delle polizze gestione separata? I rendimenti non particolarmente elevati generati da questo tipo di prodotto sono pesantemente erosi dai costi applicati e la parte che rimane e che incrementa il valore di quanto versato è veramente molto magra. Vi è un rischio, anche se remoto, che la compagnia assicurativa possa non essere sufficientemente patrimonializzata per far fronte a numerose e contemporanee richieste di rimborso da parte dei clienti. Per tutelare i clienti da questo rischio, la Legge di Bilancio 2024, ha previsto l’obbligo di creazione di un fondo di garanzia, a carico delle compagnie assicurative che raccolgono o intermediano un valore di premi superiore a €.50.000.000. Il fondo avrà la stessa funzione del fondo interbancario di garanzia delle banche. La norma, tuttavia, permette loro di accantonare il valore minimo richiesto con molta tranquillità, nell’arco di 11 anni. La scadenza prevista per arrivare a regime è stata fissata nel 2035! Come sono tassate le polizze gestione separata? Per l’investitore persona fisica la tassazione viene calcolata sul rendimento ottenuto dalla polizza e viene addebitata al momento del suo rimborso come imposta sostitutiva. Ciò significa che una volta pagata non è necessario dichiarare questa entrata nella propria dichiarazione dei redditi o mod.730. L’aliquota dell’imposta sostitutiva è variabile e dipende dalla quota media di titoli di stato e di altri titoli presenti nella polizza nel periodo in cui la si è detenuta. I titoli di stato europei o di altri stati in white list subiscono alle norme attuali una tassazione del 12,50%, mentre ai titoli differenti viene applicata una tassazione del 26%. La compagnia rileva, per ogni anno di permanenza nella polizza, la quota di titoli di stato e white list e la quota di altri titoli e alla liquidazione calcola una percentuale media degli uni e degli altri, determinando così quanta parte di rendimento è stato generato da titoli soggetti a imposta al 12,50% e quanta parte da titoli soggetti a imposta del 26%. Calcola quindi il valore dell’imposta complessiva come somma delle due parti. Un esempio concreto Supponiamo tu abbia acquistato la gestione separata nel 2018 e disinvesta nel 2022 e che il suo portafoglio fosse stato costituito come nella tabella sotto riportata Per l’investitore persona giuridica (azienda) invece il rendimento della polizza al rimborso viene considerato reddito imponibile, sommato agli altri redditi prodotti dall’azienda e assoggettato alle imposte di legge previste per le aziende. Cosa è accaduto negli ultimi anni fino al 2022? Negli ultimi anni i titoli di stato italiani ed europei hanno offerto rendimenti sempre più ridotti rispetto al passato. Conseguentemente anche i rendimenti offerti dalle gestioni separate, piene di questi titoli, si sono via via ridotti nel tempo, tanto che una volta decurtati i costi di gestione della compagnia assicurativa, al cliente rimaneva ben poca cosa, rendendo questi strumenti sempre meno attraenti per i risparmiatori. Per far fronte a questo problema e per cercare di generare maggior rendimenti, le compagnie hanno ridotto negli anni la parte investita in titoli di stato, investendo in altri titoli  più remunerativi, sempre nel rispetto comunque del principio di investimento in strumenti prudenti. Nel 2018 l’IVASS inoltre ha permesso la creazione di un fondo utili in cui ogni gestione separata può far confluire le plusvalenze generate dalle vendite degli strumenti al suo interno, per redistribuirle poi nell’arco di 8 anni, regolando quindi nel tempo i rendimenti. Cosa è accaduto nel 2022-2023? Tra il 2022 e il 2023 abbiamo vissuto il prepotente ritorno dell’inflazione, rimasta sonnecchiante per anni e risvegliata in seguito ai blocchi produttivi e di trasporto delle merci durante i lockdown del periodo pandemico, a cui è seguito il blocco delle importazioni di gas e petrolio dalla Russia, come sanzione per la sua invasione dell’Ucraina. Per contenere l’inflazione le banche centrali dalla metà del 2022 e per tutto il 2023 hanno dato il via al rialzo dei tassi di interesse più rapido e pesante mai visto fino ad oggi. Quali sono le conseguenze di un aumento dei tassi di interesse sulle polizze gestione separata? Prima di spiegare questo concetto, ricordo per chi non avesse alcuna conoscenza di finanza, cosa sono le obbligazioni. Volendo dare una definizione molto sintetica e semplificata, le obbligazioni sono dei titoli che rappresentano dei prestiti. Quando acquisti un’obbligazione presti dei soldi a chi l’ha emessa, fino a una scadenza prefissata. Di norma le obbligazioni sono emesse ad un valore fisso, di norma 100, o inferiore in alcune tipologie e vengono rimborsate a 100. Se acquisti un’obbligazione alla sua emissione, hai diritto a ricevere un guadagno, che può derivare da cedole pagate periodicamente o dalla differenza tra il valore di acquisto (inferiore a 100) e di rimborso (a 100), fino alla sua scadenza. Se decidi di venderla prima della scadenza, il prezzo a cui la venderai dipenderà dal mercato. Devi sapere che, qualora vi sia un aumento dei tassi, il valore di tutte le obbligazioni presenti nel mercato, titoli di stato compresi (dei quali le gestioni separate sono piene) si riduce in proporzione alla loro durata. Quindi tanto più lontana è la loro scadenza e tanto maggiore è il calo del loro valore. Un esempio per capire meglio Per fare un esempio semplificato, supponi di avere acquistato, in emissione al prezzo di 100, un titolo di Stato con scadenza tra 10 anni, con cedola del 0%. Se i tassi di interesse oggi aumentano del 5%, il rendimento di un titolo di Stato di nuova emissione, sempre con durata 10 anni, aumenterà al 5%. Per essere altrettanto attraente per il mercato, il tuo titolo di Stato con cedola annua allo 0% dovrà offrire anch’esso un rendimento annuo del 5%, come il titolo di nuova emissione, e l’unico modo per fare ciò è che il suo prezzo scenda da 100 a circa 50 euro (con un calo del 50% del suo valore iniziale, pari al 5% per ognuno dei suoi 10 anni di durata!). In questo modo, chi lo acquistasse oggi a 50, otterrebbe comunque fino a scadenza un rendimento annuo del 5% derivante dal minor prezzo pagato. Che conseguenze ha portato l’aumento dei tassi di interesse nelle gestioni separate? La prima conseguenza è che in questo anno e mezzo, i titoli di stato europei (ma non solo) hanno subito forti cali di valore. Chi li ha acquistati direttamente, dopo i numerosi cali, ha ottenuto rendimenti superiori alle gestioni separate, con minori costi e minor rischio. Questo cambio radicale di scenario ha portato quindi molti risparmiatori a riscattare le proprie gestioni separate, optando per l’acquisto diretto dei titoli di stato. La seconda conseguenza è che le gestioni separate hanno incamerato pesantissimi cali di valore per tutti i titoli di stato che avevano in portafoglio, con scadenze lunghe/lunghissime. Come detto, esse infatti riportano in bilancio i valori dei titoli al loro costo iniziale e quindi i cali che essi hanno subito non toccano il risparmiatore, ma creano alle compagnie un importante problema. Qualora infatti molti clienti dovessero richiedere contemporaneamente il riscatto delle loro posizioni, esse si vedrebbero costrette a dover intaccare le riserve accantonate e a vendere molti dei titoli in portafoglio per poter effettuare i rimborsi, concretizzando così le perdite dovute al calo di valore che questi hanno subito e prendendosene pienamente carico, dal momento che ai clienti non possono rimborsare un valore inferiore al capitale da essi versato. Il caso Eurovita: cosa è successo? Il caso della compagnia assicurativa Eurovita è stato l’esempio di questa tempesta perfetta. La compagnia, con insufficienti riserve accantonate e in seguito al forte calo di valore dei titoli nella propria gestione separata, non sarebbe più stata in grado di rimborsare i risparmiatori che avevano acquistato i suoi prodotti. Nel 2023 è stata quindi posta in amministrazione straordinaria, per intervento del Ministero dell’Impresa e del Made in Italy, su proposta dell’IVASS (Ente che vigila le compagnie assicurative). Gli asset in gestione di Eurovita, gestioni separate comprese, sono stati distribuiti tra alcuni grandi gruppi assicurativi e in extremis i clienti sono stati comunque tutelati. Il caso Eurovita, nonostante vi sia stato un lieto fine per i risparmiatori, è stato un terremoto nell’ambito delle gestioni separate, da sempre ritenute sicure e ha fatto emergere una potenziale fragilità nell’attuale sistema delle polizze vita. Ricordati che… Comprendere gli strumenti finanziari che ci vengono proposti è sicuramente importante per conoscerne limiti e potenzialità, ma la scelta di quali usare si può fare con consapevolezza solo se si è definito dove si vuole arrivare e quale sia il loro scopo nel tuo piano di vita. La buona gestione delle tue risorse e del tuo patrimonio passa attraverso la pianificazione finanziaria e si estende a una corretta gestione del bilancio famigliare, all’investimento del risparmio orientato ai tuoi bisogni e obiettivi, fino alle decisioni in ambito assicurativo, previdenziale e successorio. Questo approccio è la base per una vita finanziaria più serena e sicura. Contattami per saperne di più o per una consulenza personalizzata.   Nei prossimi due articoli approfondirò altre tipologie di contratti.         

Continua a leggere

Polizze vita come investimento abbinato a garanzia per caso morte

Scritto il 24.01.2024

Questo articolo è il primo di quattro articoli dedicati all’approfondimento delle polizze vita come investimento e strumento di tutela per i tuoi cari. Lo scopo di questo lavoro è di fornirti delle spiegazioni semplici e chiare, così da permetterti di comprendere questi strumenti e decidere se possano essere per te effettivamente utili, o meno. Ti è mai capitato che la banca o la Posta ti propongano come forma di investimento una polizza vita? È accaduto anche a te, ma non ti è chiaro cosa siano questi strumenti e non sai bene se siano effettivamente vantaggiosi? Spesso chi le propone ne decanta i numerosi vantaggi, senza spiegarne però bene il funzionamento, gli altrettanti limiti, come ad esempio gli elevati costi, e spesso le suggerisce senza conoscere la tua situazione, i tuoi bisogni e senza preoccuparsi se esse possano essere effettivamente utili per te. Ho preparato una raccolta di quattro articoli e questo è il primo su questi prodotti. Vorrei fare chiarezza su queste tematiche, spiegando in modo semplice e senza conflitti di interesse, quali tipologie di strumenti puoi trovare nel mercato e le loro caratteristiche, con pro e contro, così da aiutarti a valutare se uno di esse possa effettivamente essere ciò che ti serve o evitare che ti venga venduto qualcosa che non ti serve nulla e che impegna il tuo patrimonio senza dare adeguati frutti e con costi importanti. Qualche premessa sulle polizze vita per capire meglio l’investimento Prima di iniziare va detto che vi sono due gruppi di polizze vita. Vi sono le polizze vita che hanno unicamente lo scopo di protezione (come le temporanee caso morte o le assicurazioni di rendita) e che, a fronte del decesso del contraente, riconoscono un capitale o una rendita ai beneficiari e quelle che sono una forma di investimento del risparmio, abbinata ad una garanzia di copertura del caso morte del contraente. I quattro articoli che pubblicherò da oggi è concentrata su questa seconda categoria: le polizze vita come strumento di investimento abbinato a garanzia per la morte del contraente. In questo ambito vi sono nel mercato sostanzialmente tre tipologie di contratti, tutte normate e controllate dall’IVASS. Le gestioni separate (dette anche polizze rivalutabili di ramo I) Le polizze unit linked (dette polizze di ramo III) Le polizze multiramo (che sono l’unione di una gestione separata e di una unit linked) Vi sarebbe stata poi una quarta tipologia delle polizze index linked, oggi ormai non più in commercio e della quale quindi non parlerò in questi scritti. Qualora la tua banca o la posta ti prone una polizza vita, ricorda che ogni intermediario ha i suoi prodotti, ognuno dei quali con il proprio nome commerciale. Ti consiglio quindi di chiedere sempre spiegazioni su come funzioni e cosa costi, oltre a farti indicare a quale delle tre categorie sopra indicate faccia parte. Se non comprenderai le spiegazioni del consulente che te la propone, sapendo di che tipologia sia il prodotto suggerito, potrai riprendere questi articoli, per rileggere le spiegazioni delle sue caratteristiche di massima e se lo vorrai, potrai consultarmi per una valutazione. Ricordati che… Comprendere gli strumenti finanziari che ci vengono proposti è sicuramente importante per conoscerne limiti e potenzialità, ma la scelta di quali usare si può fare con consapevolezza solo se si è definito dove si vuole arrivare e quale sia il loro scopo nel tuo piano di vita. La buona gestione delle tue risorse e del tuo patrimonio passa attraverso la pianificazione finanziaria e si estende a una corretta gestione del bilancio famigliare, all’investimento del risparmio orientato ai tuoi bisogni e obiettivi, fino alle decisioni per assicurarti una tranquillità in ambito assicurativo, previdenziale e successorio. Questo approccio è la base per una vita finanziaria più serena e sicura. Nei prossimi tre articoli approfondirò le singole tipologie di contratti ora solo introdotti.

Continua a leggere

Educatore finanziario, un nuovo traguardo professionale

  • 297
  • 1
  • Formazione/Educazione Finanziaria
Scritto il 15.01.2024

Il nuovo anno è ormai avviato e siamo tutti concentrati nella definizione dei propri buoni propositi e obiettivi da realizzare. Come consulente finanziario autonomo, mi impegno sempre per rimanere aggiornata non solo sulle novità del mio settore o su quanto accade nel mondo, ma anche sull’evoluzione di altre professioni vicine alla consulenza finanziaria. Troppo spesso nel settore della consulenza finanziaria si rischia di incappare in sedicenti guru che promettono risultati sorprendenti. Ottenere una certificazione di qualità permette a noi consulenti di dimostrare la nostra competenza e garantire affidabilità e professionalità. Ora sono anche un Educatore finanziario Ho deciso di arricchire la mia figura professionale con quella dell’Educatore finanziario. Ho svolto con profitto il corso di alta formazione tenuto dall’AIEF – Associazione italiana educatori finanziari e ottenuto l’iscrizione al Registro degli educatori finanziari, con il fine di poter portare una maggiore consapevolezza finanziaria alla comunità. Ma cosa significa essere un Educatore finanziario? In poche parole, consiste nell’essere un professionista che insegna l’educazione finanziaria, aiutando le persone a prendere decisioni consapevoli per gestire saggiamente le proprie risorse, spiegando i concetti di base dell’economia e di come questa possa influire nella vita quotidiana e nelle scelte di vita, piccole o grandi che siano. Questa figura opera in diversi contesti, dalle istituzioni scolastiche alle banche, progettando e attuando percorsi formativi che mirano a sviluppare un’autentica alfabetizzazione finanziaria. Formazione come valore Come già accennato, la formazione continua è una delle colonne portanti della mia attività. Proprio per questo durante il 2024 continuerò il mio percorso di arricchimento professionale, intraprendendo il percorso per ottenere la certificazione, riconosciuta a livello mondiale, CFP di Financial Planner di Financial Planning Standards Board Italia. In questo percorso, che durerà alcuni mesi e si concluderà con un esame, potrò approfondire diversi concetti legati all’ambito della pianificazione finanziaria, fondamentali per una consulenza finanziaria di eccellenza. Potrò ripassare e approfondire quindi diverse tematiche, come la matematica finanziaria con analisi quantitativa, l’ analisi e selezione dei prodotti di investimento, l’ analisi dei mercati, la composizione di asset allocation, la finanza comportamentale, la pianificazione finanziaria, previdenziale, assicurativa, immobiliare e successoria. Sono certa che questa esperienza arricchirà la mia professionalità e la qualità de servizio offerto ai miei clienti, ai quali già da anni propongo la gestione del loro patrimonio sulla base della pianificazione per obiettivi di vita.

Continua a leggere

Condividi