Giovanni Donini

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Consulente finanziario

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LE CORREZIONI DEI MERCATI SONO NORMALI

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  • Formazione/Educazione Finanziaria
Scritto il 01.02.2022

Voglio cominciare la mia esternazione settimanale citando Leopoldo Gasbarro, noto giornalista finanziario che tutti i miei lettori conoscono bene perché l’ho spesso usato nel mio sforzo didattico settimanale. Quella che più mi ha colpito è questo stralcio di un articolo:   “Guardo i segni meno nella contabilità dei miei risparmi e disinvesto per paura che <<tutto vada sempre peggio>>. E allora cosa posso fare? Non devo farmi distrarre. Mentre il rumore forte della negatività pervade ogni cosa, in realtà tutti noi lavoriamo, studiamo, inventiamo, progrediamo. Il mondo, le economie, le aziende crescono. Ogni crisi è un momento di riequilibrio. Una sosta prima di ripartire- La storia ce lo insegna. Ed è facile comprendere come queste, per chi ha risorse e tempo, per chi diversifica, sono splendide occasioni per comprare a prezzi scontati e migliorare i risultati dei propri investimenti. Ricordiamo sempre che se c’è chi vende (chi ha paura) ci deve essere per forza qualcuno che compra (razionale) e che come dice Warren Buffet, <<I mercati sono lo strumento ideale per trasferire denaro e ricchezza da chi non ha pazienza a chi ne ha>>”. Questa appena sopra riportata è l’esatta descrizione di quanto sta avvenendo in questi giorni sui mercati finanziari: in quel periodo (Il Giornale, 18 dicembre 2018), contraddistinto da violenti ribassi di mercato, non dissimili dagli attuali, Gasbarro aveva scritto quelle parole. Ecco che allora sorge spontanea la domanda se la storia dei mercati finanziari possa insegnare qualcosa all’investitore per evitare gli errori del presente. A conferma di ciò prendo a prestito un altro scritto di Gasbarro, pubblicato in un momento più vicino a noi: “Chi avesse liquidità, tempo, e un corretto riferimento consulenziale nella scelta dei prodotti da utilizzare, dovrebbe guardare a questi giorni come quelli giusti per accantonare e investire. Poi, come direbbe Warren Buffet, occorre pazienza, perché i mercati azionari, costruiscono o distruggono ricchezza in funzione della quantità di pazienza a disposizione. Vince chi ne ha di più”. Dite la verità, siete curiosi di sapere quando questo è stato scritto? La data ufficiale è il 1 giugno 2020, appena terminato il periodo di lockdown, durato dal 9 marzo al 18 maggio 2020, quando cioè il vaccino era solo una speranza e non una certezza, quando i gufi di mercato sfogavano la loro passione sul vaticinare tempeste finanziarie senza soluzione di continuità. Chi si sarebbe mai aspettato la reazione tempestiva e positiva dei mercati finanziari dopo il drawdown? I rialzi hanno però confermato quello che la storia ci racconta ormai da due secoli: la salita del mercato azionario Usa è inarrestabile. E anche questa volta chi pensava il contrario è stato smentito. Di questo ci fornisce una valida conferma il sito finasko.com che ci suggerisce dati alla mano, che l'indice S&P 500 ha generato nella storia degli ultimi 93 anni (1928-2021), rendimenti medi annuali di circa il 10%-11%. Lo so, i detrattori potrebbero dire che lo Standard & Poor 500 è stato tecnicamente creato nel 1957, ma i ricercatori hanno dati sufficienti per risalire addirittura alla fine degli anni '20 per confermare quel dato. Dallo stesso sito ricaviamo pertanto il grafico che segue:   Quello che evidenzio in particolare è l’inclinazione della retta che rappresenta quel mercato e che punta inesorabilmente sempre verso l’alto, nonostante i ripetuti momenti di (temporaneo) ribasso. Un esercizio utile è poi quello di trasformare questo grafico in una tabella da cui poter trarre utili indicazioni.  Per questo propongo di usare il sitoawealthofcommonsense.com, dove i numeri arrivano a dimostrare come alcune caratteristiche si ripetono. Tra queste segnalo ad esempio che i rialzi sono sempre presenti ogni 3 anni su 4 in media, e che nella maggior parte dei casi quel mercato ha chiuso l’anno in guadagno. La statistica ci aiuta poi ad evidenziare come il mercato Usa veda drawdown a due cifre in due terzi degli anni analizzati ma, in presenza di una correzione intorno al 10% o superiore, 3 anni su 5 hanno poi chiuso con un rendimento positivo, mentre 2 anni su 5 hanno visto comunque una correzione a due cifre, ma con la chiusura dell’anno con guadagni a due cifre. Esempio di ciò è appunto la crisi del 2020 dovuta al Coronavirus: al crollo del 34% avvenuto nel periodo febbraio - marzo, è poi seguito un forte rialzo, con la chiusura dell’anno in guadagno del 18%. Ciò conferma quanto dicevamo sui corsi e ricorsi della storia dei mercati finanziari: lo stesso è accaduto nel 2009 dove, nonostante la perdita del 28%, l’anno si è chiuso con un fantastico rialzo del 26%.   Sarà così anche questa volta? Nessuno può saperlo, ma perché perdersi in pensieri negativi quando la storia ci insegna che i migliori risultati sono generati nei momenti che sembrano i peggiori? E non c’è motivo di credere che questa volta sarà diverso, nonostante l’inflazione, il rialzo dei tassi e le tensioni geopolitiche che stiamo attraversando.    

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C’È ANCORA VALORE SULL’HIGH YIELD

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  • Obbligazioni - investimenti obbligaz
Scritto il 24.01.2022

I rendimenti dei Bund tedeschi, benchmark europeo per la valutazione degli andamenti del reddito fisso, stanno tentando di tornare in zona positiva, avendo superato la soglia zero il 19 gennaio scorso per poi ritornare lievemente sotto lo zero. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che, con l’inflazione tendenziale intorno al 5,7%, i rendimenti reali tedeschi restano comunque ampiamente negativi. La stessa cosa possiamo dire che per i rendimenti Usa, laddove i Treasury hanno visto un rialzo sino all’1,8%, ma con una inflazione vicina al 7%, la più alta degli ultimi 40 anni, restano ancora distanti da un rendimento reale positivo. L’Italia vede una situazione simile con i Btp decennali, che vantano un onorevole rendimento intorno all’1,65% ma con una inflazione intorno al 4% annuo offrono anch’essi rendimenti negativi. A livello globale i titoli sotto quota zero stanno diminuendo anche se ne restano sul mercato ancora la fantastica quantità di 9 mila miliardi di dollari. Questa condizione determinerà un progressivo aumento dei tassi dei titoli di nuova emissione, con l’inevitabile contrazione del corso di tutti quelli già emessi. Di questo non si può non tenere conto nel momento della scelta di nuovi investimenti. Infatti questa crescita dell’inflazione globale, inaspettata solo per quanto attiene il grado di incremento, sta rendendo difficile il lavoro delle banche centrali, attente oggi ad evitare politiche deflattive troppo violente per non innescare pericolosi shock sui mercati. In attesa che le forze deflazionistiche secolari (invecchiamento, globalizzazione e disruption tecnologica) ritornino a svolgere la loro funzione naturale, le politiche monetarie delle banche centrali dovranno necessariamente ridurre gradualmente gli stimoli e alzare i tassi di interesse, proprio per raffreddare l’economia. Questi sono i motivi per i quali il 2022 sarà contraddistinto dall’imprevedibilità dei mercati che saranno contraddistinti da una diffusa volatilità. La domanda che gli attenti investitori in obbligazioni dovrebbero rivolgere al mercato riguarda se c’è ancora valore in quel mercato. E la risposta non può essere che  semplice e complessa al tempo stesso. Semplice perché il valore oggi è concentrato prevalentemente sui bond high yield; è complessa perché bisognerà aumentare non solo il rischio ma in particolare l’attenzione nella selezione dei titoli, facendo attenzione  a ben diversificare, mettendo gli opportuni paletti su aree geografiche, settori, durate e corsi attuali dei titoli. Per la risposta ho scelto cercato di puntualizzare il tutto in poche righe usando grafici diffusi da T. R. Price (società americana indipendente di gestione degli investimenti) che  aiutano a comprendere meglio il mercato obbligazionario di cui stiamo parlando:   A.  gli spread elevati tra Investment grade e high yield (grafico 1) hanno determinato un aumento delle preferenze degli investitori per rendimenti obbligazionari più elevati, anche se con un rischio maggiore. La politica accomodante a sostegno dell’economia delle banche centrali ha determinato anche un aumento di queste emissioni (grafico 2); B.   una riduzione del numero dei default HY ha favorito la scelta di questi titoli (grafico 3) e li fa preferire ad altri, anche a seguito di una concentrazione sulla categoria BB, con un rischio di fatto attualmente più contenuto, ma con il premio di un buon rendimento (grafico 4); C.  c’è una sostanziale equiparazione della volatilità sul mercato HI Usa ed Europa, con rendimento e rischio più elevato su titoli dei PE, Asia in particolare a causa degli effetti del caso Evergrande (grafico 5);   D.  possibilità di predisporre una diversa attenzione settoriale nelle scelte dei titoli nei portafogli, riscontrabile specialmente in funzione dell’area territoriale di interesse (grafico 6). Per concludere la nostra breve riflessione sul settore HY, ricordo che la diversificazione deve sempre essere considerato come un fattore determinante per la riduzione del rischio di portafoglio, specialmente nell’attuale difficile fase di mercato, dove qualità dei titoli, duration, settore e area geografica faranno la differenza. Questo soprattutto quando si va alla ricerca di valore, quella caratteristica che sembra mancare in molti portafogli di investitori rassegnati e che si sentono vincolati ai rendimenti vicino allo zero, prede inconsapevoli di una inflazione in salita.

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LE RAGIONI DI UN PERCORSO CHE CONTINUA

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  • Formazione/Educazione Finanziaria
Scritto il 17.01.2022

Dopo una così lunga pausa natalizia è sempre difficile riprendere il cammino di quel percorso che è cominciato qui su MoneyController nel gennaio 2015. Il rischio è che quel foglio bianco, da riempire settimanalmente con suggerimenti e notizie, resti inevitabilmente intonso per la paura di risultare ridondante e ripetitivo, per avere già detto tutto quello che si poteva dire suscitando cosi un senso di noia. Tuttavia ogni volta che il mercato entra in sofferenza, quello che sembrava scontato e ovvio nei momenti di rialzo, diventa improvvisamente qualcosa che si dimentica in fretta. Mi riferisco in particolare a quel terribile e mai dimenticato impulso di vendere che colpisce il cliente quando i mercati scendono, mentre chi mi legge e segue da tempo dovrebbe recitare a memoria l’’incipit che “i veri e duraturi guadagni si realizzano e si potenziano proprio quando si sfruttano i ribassi come occasione d’acquisto”, cosa che troppo spesso viene dimenticata. Questo è il motivo per cui è bastata la chiamata inaspettata di un cliente durante l’Epifania, mentre festeggiavo in famiglia, per darmi lo spunto per evitare di lasciare bianco quel foglio, di cui appena sopra avevo parlato. Ecco perché non smetterò mai, in ogni occasione che mi sarà concessa, di parlare di tempo e di pazienza, di rischio e di diversificazione, di mediazione al ribasso, cercando il più possibile di suggerire visioni tese al controllo dell’emotività, anche e soprattutto nei giorni di festa! Con il post settimanale pubblicato su MoneyController, l’idea da cui ero partito era quella di essere quanto più possibile di supporto al cliente, non solo mediante la costruzione e l’assistenza periodica dei portafogli strategici, costruiti sulla base di esigenze e preferenze evocate o manifestate, ma anche e soprattutto con una informazione e formazione continua, attraverso conferme settimanali che rafforzassero per ciascuno dei lettori le scelte fatte nel tempo, per diventare solido appiglio in tutti quei momenti in cui un mercato avesse cominciato a dare segni di instabilità o di ribasso. A questo riguardo l’esempio più importante da citare è la serie di post monotematici speciali e settimanali, usciti durante le fasi iniziali della pandemia.  Continuare questa esperienza sarà per me il tentativo di cercare sempre di parlare lo stesso linguaggio del cliente, con l’intenzione di usare la comunicazione come veicolo per condividere non solo informazioni ma anche idee, progetti e visioni, perché quel viaggio chiamato investimento diventi obiettivo comune tra il cliente e chi scrive. Il consulente nella mia “presuntuosa” visione deve diventare non solo la guida dell’investitore, ma anche il suo allenatore personale per il mondo degli investimenti, dimostrando continuativamente non solo la propria competenza e professionalità ma anche qualcosa di più. Deve cioè essere soprattutto il responsabile della sua formazione tecnica, emotiva e comportamentale, fornendogli tutti quegli strumenti anche psicologici, necessari per affrontare anche le tempeste più impetuose che i mercati non smetteranno mai di presentare con le loro specifiche dinamiche evolutive.   

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LA STORIA SI RIPETE

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  • Titoli di Stato, Spread e Tassi di i
Scritto il 29.11.2021

In un mio post del 9 marzo 2020 scrivevo: “Non voglio sembrare ripetitivo, ma pur ammettendo che ogni crisi è diversa dalle altre posso affermare, senza tema di smentita, che tutte hanno degli aspetti comuni che non sono mai diversi e che ripercorrono sempre le stesse dinamiche: i mercati risaliranno e quando lo faranno non solo recupereranno i livelli raggiunti ma li supereranno”. Pensate che dopo quanto accaduto venerdì scorso, dove i mercati hanno perso diversi punti, io possa passare da una situazione di ottimismo ad una di profondo sconforto? Non sarà la quarta ondata pandemica o la nuova variante del virus, il pensiero sul momento in cui comincerà il tapering e il rialzo dei tassi della Bce oppure la paura per un risveglio troppo violento dell’inflazione, a farmi cambiare idea sul fatto che i mercati salgono sempre. Mi scuso ma non sono soggetto allo sconforto, nemmeno in momenti di profonda crisi dei mercati. Semmai mi preoccupo, ma ho sufficiente esperienza per non perdere la calma e la ragione, sapendo che i migliori affari si fanno soprattutto quando la paura si diffonde sui mercati. Non è difficile ricordare l’emozione di tutti noi nei mesi di marzo e aprile dell’anno scorso. Sembrava fossimo tutti in attesa di infiniti crolli del mercato finanziario a cui nessun avrebbe potuto opporsi, imprigionati come eravamo da un panic selling diffuso, indotto da qualcosa di cui stavamo lentamente ma inesorabilmente prendendo coscienza. Alla luce di quanto abbiamo poi vissuto, mai avremmo potuto immaginare che da quella disperata situazione, ne derivasse una simile curva di crescita dei mercati. Proviamo ora a guardare il grafico di pagina 4 del Sole 24 Ore di sabato scorso, sforzandoci di riportare la nostra memoria a quel periodo, ma alla luce di quanto avvenuto venerdì 26 novembre. A questo punto proviamo a rispondere alla domanda seguente: “cosa provavo io in quei giorni, in cui tutto sembrava andare contro la logica di una crescita imminente?”.     Non dimentichiamolo mai, quelli sono stati i tempi del lockdown totale, dove il pessimismo era addirittura più diffuso del contagio stesso. L’umanità era alla disperata ricerca di una soluzione per uscire dalla crisi indotta dal virus, senza certezze di avere a tempi brevi un vaccino in grado di frenare il contagio o farmaci per cure più efficaci. Il numero delle vittime poi non può non averci segnato nel corpo e nello spirito. Perché negare che il momento fosse molto grave. C’erano flebili speranze e pochissime certezze di uscire indenni da quella situazione. Tuttavia le cose sono andate diversamente. Chi avrebbe mai scommesso su di una ripresa così rapida? Il grafico ci rappresenta questa verità. L’indice MSCI Word ha continuato a salire, pur in presenza di violente correzioni ed improvvise impennate. Grande merito di ciò è attribuibile ai governi di tutto il mondo che hanno adottato politiche di intervento per combattere la crisi, aiutati certamente dal supporto delle Banche Centrali, che hanno usato ogni tipo di strumento e strategia per supportare economia e mercati. L’uomo per natura tende ad adattarsi alle difficoltà, essendo dotato dell’intelligenza necessaria per trovare soluzioni vincenti per superare le crisi più dure. Nessuna delle profezie dei gufi dei mercati si è realizzata e non abbiamo affatto assistito ad una decrescita economica. Costoro in queste ore stanno cantando le stesse litanie proposte l’anno scorso. Proprio per questo non voglio perdermi in troppe parole poiché, chi mi legge da tempo, sa che per me la pazienza e la resilienza sono doti necessarie per chi investe, non certo la preveggenza di crisi che comunque saranno sempre superate. Mi ribello all’idea che vendere sui ribassi sia la cosa migliore per il portafoglio dell’investitore: quando tutti vendono è il momento di comprare a sconto. Il tempo è comunque sempre il miglior parametro da considerare quando si investe. Pertanto, io non so cosa succederà nelle prossime settimane, ma sono certo che nel tempo i mercati risaliranno e quando lo faranno non solo recupereranno i livelli raggiunti, ma li supereranno abbondantemente.  

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LA FORZA DELL’INFLAZIONE

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Scritto il 19.11.2021

Nonostante tutti ne parlino, c’è ancora chi non crede nella forza dell’inflazione. Per catturare l’attenzione dei più scettici è sufficiente porre una domanda: ci siamo accorti che fare il pieno di carburante oggi costa molto di più rispetto a qualche mese fa? Qualcuno tra i miei lettori ha provato a calcolare l’aumento dall’inizio della pandemia ad oggi? Io ci ho provato usando i dati riportati sul sito del Ministero della Transizione Ecologica, da cui si può facilmente evincere quanto sia stata violenta l’impennata dell’inflazione sui prezzi dei carburanti. Nell’ultimo trimestre dell’anno la benzina ha toccato mediamente alla pompa l’importo di 1,751 euro/litro mentre il gasolio è arrivato a 1,616 euro/litro. causa del fatto che in Italia oltre l’80% della merce viene trasportata su gomma. Il ritorno al livello del consumo di carburante pre pandemia ha comunque contribuito al suo naturale rincaro. Se a questi aumenti sommiamo quelli di gas ed elettricità, con un rispettivo + 29% e + 15% calmierati da un intervento governativo volto alla riduzione degli oneri e dell’iva, possiamo capire meglio il tenore di quanto avevamo riportato tempo fa, relativamente al danno potenziale al portafoglio, causato da un accumulo troppo elevato di liquidità sui conti correnti, con la conseguente perdita del potere d’acquisto. L’Europa è la dimostrazione di questa nuova spinta inflattiva, con una crescita che mediamente si assesta intorno al 3%, con punte oltre il 4% della  potente Germania, con livelli mai toccati negli ultimi 30 anni.   Certamente, senza addentrarci in pericolosi discorsi e limitando la nostra analisi a quanto riportato nel grafico sopra, possiamo affermare che buona parte di questo aumento è dovuto prioritariamente al costo dell’energia + 23,5%, seguito da quello dei servizi (+2,1%), dei beni industriali (+2%) e alimentari, ad alcol e tabacco (+2%). La scarsità di alcune materie prime è un altro fattore incrementale dell’inflazione. Per questo basterebbe citare il caso di ferro e acciaio, aumentati del 150% rispetto ad un anno fa, l’alluminio invece ha registrato un incremento del 39%, toccando il prezzo più alto degli ultimi 10 anni. Anche il settore alimentare sta subendo la stessa sorte con rincari importanti per grano, cereali, zucchero e oli di semi. Persino carta e imballaggi hanno registrato un + 60%. L’assenza di microchip sta inoltre impattando sulla crescita del settore automobilistico; in Italia, ad esempio, scarseggiano i materiali da costruzione, la cui richiesta è aumentata grazie al Superbonus 110%, causando la sospensione dell’attività di molti cantieri. Una parola è poi necessaria sugli ormai inevitabili interventi delle banche centrali, volti ad un raffreddamento dell’economia per contenere l’inflazione.  Per quanto attiene al tapering siamo già in una fase avanzata, mentre per il rialzo dei tassi dovremo attendere ancora qualche mese. Per questo l’Europa rimane apparentemente a guardare mentre la Fed è già pronta ad agire con i primi aumenti previsti nel primo semestre del prossimo anno, ma che pare il mercato abbia già scontato. A questo punto termino il mio pensiero con una domanda rivolta a tutti i possessori di (troppa) liquidità sui conti: davanti a questi rincari, non credete sia arrivato il momento di scegliere la via di una seria pianificazione finanziaria, che consenta nel tempo di ottenere risultati almeno in grado di tenere a bada la risalita dell’inflazione? Davanti a questa situazione l’alternativa è semplice: investire prestando la giusta attenzione al rischio accettabile oppure perdere in potere d’acquisto. A voi la scelta!

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RIFLESSIONI SULL’INVESTIMENTO SICURO E GARANTITO

Scritto il 09.11.2021

“Mi raccomando, mi interessano solo investimenti sicuri dove sia esclusa la possibilità di perdere in conto capitale. Piuttosto che correre questo rischio preferisco tenere il denaro sul conto corrente...”. Questa è la premessa con la quale mi ha salutato un potenziale cliente incontrato un paio di settimane fa. La citazione mi è utile per spiegare che spesso parlare di investimenti sicuri, può portare a fraintendimenti nel rapporto tra consulente e cliente. Quando parlano di sicurezza alcuni investitori intendono la certezza di ottenere rendimenti qualunque siano le condizioni di mercato, mentre per altri significa non accettare di vedere scendere il capitale investito. In entrambi i casi comunque, oggi ci troviamo davanti alla impossibilità di soddisfare questa richiesta. Il fatto stesso di tenere denaro liquido sul conto corrente non produce una semplice mancanza di rendimento ma una perdita inflattiva quantificabile intorno al 3%. Il risultato degli andamenti degli investimenti obbligazionari degli ultimi anni, dovrebbero essere sufficienti per convincere anche gli investitori più scettici e legati all’esperienza del passato, che i tempi del rischio zero sono definitivamente tramontati. La realtà dei mercati è sempre stata più complessa di quanto potesse apparire e, oggi più di ieri, i rendimenti sono irraggiungibili se non ci si espone al rischio di mercato. Non accettare la prospettiva che il capitale investito possa scendere sotto il livello di partenza, porta molti investitori a ricercare prodotti di investimento troppo prudenti. Questo si traduce invece nella certezza di una perdita in conto capitale. Avere un atteggiamento eccessivamente prudente porta a subire l’inflazione. La famosa frase “... allora tengo il mio capitale sul conto così almeno non perdo”, è da considerarsi ormai fuori moda e oltremodo impossibile da certificare, proprio a causa di quel rischio poco considerato che è l’inflazione.   A meno che non ci si nasconda dietro il valore nominale del capitale investito, che mantiene solo fittiziamente la quantità numerica ma non quella reale, mi sento di provocare gli investitori più timorosi con una domanda:   “quale è la differenza tra decidere scientemente di perdere in termini reali una quota del proprio capitale, rispetto al comportamento di chi, per ottenere un risultato positivo, si espone al rischio di mercato?”. La differenza sta proprio nel comportamento di chi persegue comunque un obiettivo, sapendo che potrebbe perdere denaro e chi invece ha rinunciato al guadagno, accettando di perdere inconsciamente senza combattere! Naturalmente qui stiamo parlando di un atteggiamento puramente speculativo, non legato cioè all’uso del tempo per la gestione del capitale. Ma se solo si gestissero i propri obiettivi finanziari in funzione del tempo, sarebbe addirittura possibile ricercare rendimenti che possano non solo combattere la svalutazione inflattiva, ma anche perseguire il raggiungimento di interessanti guadagni sul capitale investito, naturalmente tutto in funzione del proprio grado di sopportazione di quel rischio chiamato volatilità.   Va da sé che se ho la necessità di impiegare quel denaro nel breve, quella perdita inflattiva sarà accettabile e messa in preventivo, proprio perché non ci sono alternative. Ma solo in questo caso conviene tenere il denaro liquido sul conto. Ma se il tempo a disposizione è maggiore, vale la pena di impegnarsi nella ricerca di protezione del capitale dall’inflazione, attraverso la ricerca di un maggiore rendimento. E non esiste miglior socio del tempo per ridurre il rischio! Per chi invece non volesse togliersi il mantello dell’investitore timoroso scegliendo comunque prodotti a cosiddetto rischio zero, adottando cioè un atteggiamento troppo prudente o conservativo, vedrà con certezza ridursi le opportunità di rendimento addirittura perdendo in conto capitale.   A tutti questi investitori suggerisco invece di leggere la parola rischio in un modo nuovo, non come possibilità di perdere, ma piuttosto come opportunità di guadagno. In tutti questi casi è necessario che l’investitore timoroso prenda sempre più consapevolezza che sono proprio quelle oscillazioni che tanto fanno paura, che generano le migliori opportunità di guadagno.

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L’EFFETTO “LUNGO PERIODO” SUL FONDO PENSIONE

Scritto il 03.11.2021

Nell’editoriale della scorsa settimana abbiamo affrontato l’argomento pensioni, suggerendo ai più giovani così ricchi di tempo, una strategia rigorosamente azionaria, tralasciando tutte quelle più conservative. A questo riguardo un lettore mi ha manifestato, da sottoscrittore di fondo pensione, la sua grande preoccupazione di investire per un periodo di tempo molto lungo esclusivamente in azioni, proprio per le alte oscillazioni che ha subito a causa della pandemia. Gli dovevo una risposta che voglio condividere con i lettori. In via preliminare è da chiarire che un investimento non deve mai essere abbandonato al suo destino, senza che ci sia stata una misurazione precisa del tempo a disposizione per investire. Lasciare al divenire temporale il dominio completo della volatilità è un comportamento sbagliato. Questa infatti deve essere diminuita tanto più è vicino il momento di impiego di quelle risorse, usando possibilmente un rigoroso approccio stile Life Cycle, che vede l’investitore aumentare nel tempo l’accumulo delle risorse con una volatilità sempre crescente, che sarà progressivamente diminuita all’avvicinarsi del periodo di quiescenza. Per sostenere la tesi che l’azionario nel lungo periodo sia sempre premiante, farò ricorso ad un articolo che consiglio di leggere integralmente, dal titolo Il rischio azionario spiegato semplicemente, pubblicato sul sito https://www.justetf.com.  Per il nostro scopo prenderò a prestito il grafico che illustra l’andamento degli ultimi 50 anni dell’indice MSCI World con reinvestimento degli utili, in un periodo di 25 anni di investimento consecutivo sul mercato azionario globale, senza tenere in considerazione il momento di investimento iniziale. Dal grafico si evince come la volatilità sia più marcata nei primi anni, mentre diminuisca con il trascorrere del tempo, riducendo a zero nel tempo le probabilità di ottenere risultati negativi. Notiamo infatti come nel primo anno di investimento, nel 73% casi vengano restituiti risultati estremamente positivi, mentre nel restante 27% questi siano estremamente negativi. Dal quinto anno i ritorni sono positivi nel 75% dei casi mentre sono negativi nel restante 25%. Dal decimo anno la percentuale dei positivi sale al 91% mentre cala al 9% quella dei negativi. La punta di svolta è però al quindicesimo anno: da questo momento la possibilità di ottenere risultati negativi è azzerata. Questo conferma la tesi da cui ero partito, secondo la quale il mercato azionario nel tempo dia sempre risultati utili, poiché si sia predisposti alla pazienza. Dal grafico si evince facilmente anche quanto il tempo riduca la volatilità e restituisca sempre una performance costante e stabile. A questo punto, sommando gli effetti del mercato con quelli della capitalizzazione composta, di cui parleremo in un prossimo post, possiamo dare una risposta tranquillizzante al lettore preoccupato per l’investimento azionario del suo fondo pensione. Nel lungo periodo, in particolare per investimenti superiori ai 15 anni di durata, la percentuale di rischio di ottenere risultati negativi si azzera. Piuttosto aumenta enormemente la probabilità di ottenere un ritorno ampiamente superiore a quello di un investimento su mercati meno volatili e, proprio per questo, meno remunerativi. Come abbiamo già detto, l’accortezza dovrà essere quella non di abbandonare l’investimento a sé stesso, quanto piuttosto, di cercare di ridurne gradualmente la volatilità, all’approssimarsi del periodo di quiescenza. Questo servirà per consolidare in modo definitivo tutti i guadagni realizzati, evitando di subire perdite future dovute alle inevitabili crisi di mercato. Per concludere, non dimentichiamo mai che l’effetto capitalizzazione sui fondi pensione sarà ancora maggiore per effetto della fiscalità agevolata, di cui abbiamo già parlato. Pertanto non si vede motivo per non investire per un futuro migliore e più sereno, meglio se con un portafoglio calibrato per ogni investitore, non già in funzione della propensione al rischio, quanto piuttosto del tempo che manca al pensionamento.  

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PENSIERI E PENSIONI

Scritto il 20.10.2021

Qualche giorno fa parlavo di pensioni con il figlio di un mio cliente. L’argomento riguardava il sistema previdenziale italiano e i motivi della urgenza di cominciare subito ad accumulare per una pensione “aggiuntiva”. Lui, dall’alto dei suoi 27 anni, mi spiegava quanto il problema pensione fosse lontano dai suoi pensieri. La sua più grande preoccupazione era la stabilità del suo lavoro da precario, con una vita condizionata da uno stipendio variabile e con l’impossibilità di poter accedere ad un mutuo per l’acquisto della prima casa. Queste erano le sue priorità, non la pensione. Come dargli torto. Tuttavia oggi la realtà porta molti giovani a guardare troppo al presente, dimenticando che il loro futuro pensionistico sarà sempre più incerto, probabilmente tanto quanto oggi è la loro realtà lavorativa. Tuttavia non si può nascondere che il sistema previdenziale pubblico non sarà in grado di garantire il mantenimento del tenore di vita dei futuri pensionati, in particolare per tutti quelli che hanno appena iniziato la loro prima esperienza lavorativa. Da qui la necessità per i giovani di aiutarsi da soli, cominciando ad accumulare risorse appena possibile, per un domani lontano ma inevitabile. Certamente dalla loro parte c’è il tempo, che li può aiutare, usando briciole di risparmio, nella costruzione di una futura pensione degna di questo nome. Oggi possono farlo anche solo impiegando quote piccolissime del loro reddito per garantirsi un futuro migliore, usando gli investimenti più volatili, concedendosi il lusso di vedere il loro capitale crescere nel tempo, non solo grazie alla crescita dell’economia reale, ma anche in funzione della capitalizzazione composta. Tempo, pazienza e poche risorse, possono fare la differenza in questo campo. Non voglio nasconderlo, quel pensiero da futuri pensionati sarà per i giovani ancora lontano, tanto quanto lo è stato per me da neolaureato, quando 31 anni fa cominciavo la mia carriera. E oggi che mi mancano ancora quasi 12 o 13 anni prima della pensione, considero la polizza vita accesa 31 anni fa il mio miglior investimento, soprattutto ora che intravedo, seppur di lontano, quell’orizzonte chiamato riposo lavorativo. Tuttavia lo sforzo per incrementare quella che sarà la pensione statale, non si può e non si deve rimandare. Da troppi anni le riforme del sistema pensionistico tentano di risolvere inutilmente il problema, nel tentativo di usare cerotti per guarire una ferita sanguinante, che si aggrava sempre più, e che forse andrebbe guarita in altro modo. Se 30 anni fa qualcuno sorrideva quando si parlava di pensioni, confidando pienamente sull’intervento statale, oggi tutti concordano che il problema esiste e va affrontato. Tuttavia, senza un piano personale ancorché non obbligatorio, il rischio di ritrovarsi in una situazione di incapienza previdenziale, diventa ogni giorno più concreto, soprattutto quando le forze e la voglia di lavorare verranno meno. Il necessario passaggio al sistema contributivo, dovuto all’insostenibilità del preesistente sistema retributivo, ha portato ad una riduzione delle prestazioni pensionistiche. A compromettere ancora più la situazione ha contribuito anche un elemento demografico: l’Italia è infatti uno dei paesi con la speranza di vita più alta, 82,3 anni nel 2020, secondo i dati raccolti dall’Istat, ed entro il 2040 gli over 60 raggiungeranno il 39,4% della popolazione totale secondo l’Ocse. Tutto ciò non porterà che ad un inevitabile peggioramento della situazione pensionistica del nostro paese, soprattutto per chi è più lontano dal giorno del congedo dal mondo del lavoro. A questo si aggiunga anche che il tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra la pensione e l’ultimo reddito, nei prossimi anni sarà destinato ad abbassarsi ulteriormente. Secondo i calcoli della Ragioneria dello Stato, se oggi la pensione copre a stento il 70% dell’ultimo reddito, tra dieci anni i lavoratori dipendenti potranno contare su circa il 60% sull’ultima retribuzione mentre per quelli autonomi si parla di una quota intorno al 40. E la situazione non è destinata a migliorare con il tempo. Questi sono solo alcuni dei motivi per i quali è necessario cominciare ad accantonare per il futuro pensionistico. Lo abbiamo già detto un’infinità di volte ma vale la pena ripeterlo: il tempo è un fattore determinante per la riuscita di un investimento, soprattutto quando lo si impiega per garantire un futuro migliore. E sappiamo che investire sul mercato azionario per lungo tempo, aumenta i risultati e riduce a zero il rischio di perdite. Per questo continuerò con forza ad investire energie per convincere i più giovani (e non solo loro!!) ad accumulare per un futuro più sereno, la cui realizzazione dipende dalle nostre scelte di oggi. Per accumulare ogni strumento è idoneo e certamente il fondo pensione è tra i migliori, proprio perché la funzione precipua è quella di costruire una rendita futura. Per questo suggerisco vivamente di togliere dalle nostre menti quel falso pensiero che accumulare nei fondi pensione sia troppo vincolante perché fa perdere la disponibilità del denaro investito. In realtà il vincolo è la sua funzione principale, che è quella di contribuire in modo fattivo a garantirci un futuro sicuro e sereno, impedendoci di impiegare denaro per qualcosa di non così importante. Da ultimo non dimentichiamo che i fondi ci permettono di avere un regime fiscale presente e futuro più favorevole rispetto a qualsiasi altro modo per costruire una pensione.   Non lasciate passare troppo tempo tra il pensiero e l’azione, tra il fare o non fare una scelta che è inevitabile, perché certamente vi pentirete di non averci pensato per tempo, quando il tempo per agire c’era.  

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IL MOMENTO GIUSTO PER INVESTIRE

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 15.10.2021

In settimana un potenziale cliente mi ha chiesto quali potessero essere i pericoli di investire, soprattutto in un momento in cui la situazione dei mercati mondiali non sembra essere più così favorevole. In realtà se ne parla da tempo di questa impennata inflattiva, del pericolo del tapering, della immensa liquidità depositata sui conti correnti sottratta all’economia reale, destinata forse ad aumentare in modo spaventoso, nel caso di imprevedibili ulteriori violenti ribassi. Non da ultimo citerò il caso Evergrande che ha innescato il timore di un’altra Lehman Brothers. Di occasioni per essere preoccupati nell’immediato ce ne sono tante a volerle cercare. Tuttavia non lasciamoci catturare dallo sconforto che eventi finanziari catastrofici possano abbattersi su di noi, scatenando cosi scenari distopici. Senza predire il futuro, possiamo a ragione ritenere che il momento attuale sarà certamente diverso da quelli più lontani che ci aspettano, dove i mercati saranno prevedibilmente in un punto molto più alto di quello attuale.   Un esempio mi aiuterà a chiarire quello che intendo dire. Negli anni 70 il mondo sembrava sull’orlo di una grandissima crisi e forse lo era davvero, molto più di oggi. L’Italia non se la passava molto bene, i dati lo raccontano. Eppure oggi ci lamentiamo ancora della nostra situazione. E voi che mi leggete, come vi immaginate tra 5, 10 o 15anni? Più ricchi o più poveri di oggi? Pensate davvero che l’economia possa peggiorare nel tempo? Forse tutto cambierà ancora, come lo è stato con la pandemia, ma cambiare non è necessariamente peggiorare! La storia ci ha insegnato che il progresso aumenta il benessere e, anche se la povertà è ancora alta, non c’è mai stato un periodo simile a questo, con una povertà diffusa così bassa e una ricchezza media così alta. I dati finanziari ci aiutano a comprendere che i mercati non finiranno mai di crescere, aiutando così i nostri investimenti. Ormai questo lo sappiamo, cerchiamo di non dimenticarlo. Ritornando a dove eravamo partiti, confesso di essermi soffermato con il mio futuro cliente in particolare sul mercato cinese, che lui riteneva oggi molto rischioso. Gli ho rivelato che se quel mercato avesse per ipotesi perso ieri il 10%, sarebbe comunque da comprare, non certo da vendere. Quando i mercati scendono, se si può bisogna comprare e se non lo si fa, si commette un grave errore. Quando si acquista un bene, per noi necessario o desiderato, il nostro sorriso può rivelare al mondo di averlo fatto magari ad un prezzo scontato, facendoci felici per il grande affare fatto. Perché non dovrebbe essere lo stesso in finanza? Siamo consapevoli che se i prezzi scendono al di sotto del nostro prezzo di acquisto, potremmo credere di avere perso l’occasione della vita. In realtà, in campo finanziario così non è: un buon affare fatto, comprando con uno sconto del 10%, non compromette un affare ancora migliore se quel prezzo scende ancora di un altro 10%, proprio perché sappiamo che nel tempo i prezzi risalgono sempre. Abbassare quindi il costo medio è qualcosa di auspicabile che può solo farci del bene, proprio perché i mercati non salgono sempre in modo continuo ma discontinuo, con inclinazioni sempre diverse. Ma sappiamo che cambiano i rendimenti, ma non le gratificazioni per avere scelto di investire sull’economia reale acquistando azioni. L’andamento in rosso dell’indice azionario MSCI World dal gennaio 1999 all’ottobre 2021, dimostra quanto affermato poco sopra. Come si può osservare, pur in presenza di momenti di forte ribasso, il mercato nel tempo si è sempre ripreso, superando ampiamente i precedenti punti di minimo. Immaginiamo invece di avere comprato sui massimi e di avere rafforzato l’acquisto, comprando ancora sui minimi. Si può forse dire che tutta la performance sia stata frutto della fortuna di essere entrati al momento giusto? Di quanto avrebbe potuto incrementarsi il guadagno comprando nei momenti di massima paura? Comprare al rialzo è facile, provate a farlo quando il vostro investimento è sceso del 50%, come accaduto nel periodo 2007- 2009!   In un precedente post ho già fatto una provocazione che voglio ripetere. Coprite il grafico dell’indice MSCI World con un foglio bianco e lentamente scopritelo da sinistra verso destra. Ora ditemi se voi nei periodi cosiddetti di stress finanziario, avreste comprato o venduto. E non barate sulla risposta, perché da qui al futuro non abbiamo che l’insegnamento della storia a confortarci e a supportarci, rivelandoci quello che è stato, non quello che sarà. Quanti tra voi avrebbero comprato nei punti di minimo? Quanti avrebbero invece venduto giurando di non investire mai più? Certo ora è facile dire che cosa avreste fatto, soprattutto in virtù della scelta razionale fondata sul senno del poi. Io che c’ero vi assicuro che è stato sempre difficile convincere i clienti a non liquidare posizioni nel momento sbagliato, motivandoli invece ad incrementare la quota investita. E quando lo facevo non mi chiedevo se fosse stato raggiunto il famoso limite inferiore che rappresentava il miglior punto per investire. Lo facevo perché sapevo che tutto sarebbe cambiato e tornato a quella situazione di normalità che si chiama crescita. Per questo, devo confessarvi che ho imparato molto più dai ribassi che dai rialzi, perché i maggiori guadagni si realizzano quando tutto scende e non viceversa. Chi mi legge sa quanto io sia affezionato alla storia, la cui analisi non amplifica affatto le mie capacità di prevedere il futuro. Questa invece mi aiuta a non commettere errori imperdonabili, soprattutto verso chi si avvale del mio lavoro per raggiungere nel tempo i suoi obiettivi di investitore.      

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IL RITORNO DELL’INFLAZIONE TRA INVESTIMENTI E SPECULAZIONE

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Scritto il 07.10.2021

Ci stavamo preoccupando per nulla quando negli ultimi anni ci preoccupavamo per la scomparsa dell’inflazione. Ora è finalmente tornata per dare il suo valido contributo alla crescita del Pil mondiale e per riportare l’economia alla normalità mediante l’accelerazione del tapering. Parliamo qui di quella manovra di cui tanto si sente parlare, che tende a ridurre e azzerare l’azione delle banche centrali nell’acquisto generalizzato obbligazioni, che mira a supportare l’economia nei momenti di crisi. Questa situazione inflattiva disegna Il nuovo paradigma, che prevede futuri scenari con possibili ribassi anche delle azioni, con un rialzo sempre più deciso del ritorno dei titoli obbligazionari di nuova emissione. Le conseguenze non saranno indolori, soprattutto per i tanti appassionati dei mercati obbligazionari. Questo perché un loro rialzo procura una discesa automatica della quotazione dei titoli emessi. Quello che stiamo vivendo oggi è proprio l’anticipazione di scenari futuri, dato che le aspettative degli investitori sul mercato sono fattori determinanti per la determinazione del prezzo attuale. Quando c’è un’inversione dei tassi verso l’alto, le obbligazioni a cedola fissa, specialmente quelle a più lunga scadenza, diventano una sorta di prigione per chi le detiene in portafoglio. Infatti il loro corso scende maggiormente rispetto a quelle di durata più corta, diventando pressoché invendibili se non con sacrifici in conto capitale. Diverso destino invece per le obbligazioni a tasso variabile, le quali subiscono oscillazione più limitate grazie alle cedole che si adeguano al rialzo. Grande festa invece per tutti i possessori di obbligazioni indicizzate all’inflazione, che regalano rendimenti in linea con la sua crescita. Da ciò risulta evidente come oggi, guardando al prossimo futuro, sia più opportuno mantenere in portafoglio obbligazioni a tasso fisso con scadenze corte oppure a tasso variabile. Per chi volesse avvicinarsi a quelle indicizzate all’inflazione, consiglio di fare una attenta valutazione del loro corso prima dell’acquisto. La conseguenza del movimento dei tassi non lascerà indenne nemmeno il mercato azionario, ma con effetti diversi, data la sua diversa natura e funzione. Tutti noi sappiamo infatti che il ritorno azionario nel lungo periodo è sempre positivo. Per il mercato USA, considerato il più evoluto, il ritorno è stato negli ultimi 100 anni mediamente del 7,5% annuo. L’indice MSCI World, che ci restituisce una media basata su diversi paesi evoluti, ci restituisce un significativo 4,78%, calcolato sugli ultimi 20 anni (fonte Quantalys). Naturalmente non vogliamo nascondere che a volte si possono registrare momenti di forti ribassi, come quelli del periodo 2000-2003 che hanno toccato livelli vicini al – 20% o, ancora peggio, nel periodo 2007-2009, con ribassi sino al -50%. Tuttavia mi piace sempre controbattere agli amici gufi dei mercati, che i momenti di ribasso sono infinitamente più rari dei rialzi. La cosa affascinante è che nella storia i recuperi ci sono sempre stati e le perdite più consistenti, sono state realizzate solo da coloro che si sono lasciati prendere dalla paura, liquidando il proprio capitale nel momento (SBAGLIATO PER VENDERE) di massimo ribasso. Chi invece ha avuto pazienza e la forza di non cedere alla paura, ha SEMPRE RECUPERATO, quindi ha anche GUADAGNATO. La pazienza e la resilienza hanno sempre determinato lo spartiacque tra chi vince e chi perde sui mercati. Ecco perché è consigliato, a chi non ha le doti descritte, di stare sempre lontano da investimenti che possono per lui, e solo per lui, costituire un azzardo. La MIFD 2 quando è impiegata nel giusto modo, consente di impedire che investitori non idonei, per condizione oggettiva o soggettiva, si avvicinino al mercato del rischio, che non è solo quello azionario, come erroneamente si tende a credere. Ritorniamo ora all’inflazione e poniamoci la domanda delle domande per concludere il nostro discorso: cosa fare oggi della liquidità accumulata sui conti correnti, in presenza di una inflazione italiana che oggi è del 3%? Naturalmente tutti noi siamo sempre alla ricerca di certezze che però nell’esperienza umana sono spesso chimere. Ecco perché si parla di rischio e probabilità, soprattutto in finanza. Una certezza però esiste: chi non ha il coraggio di investire seguendo le indicazioni di cui abbiamo parlato nei post precedenti, vedrà materializzarsi la perdita del 3% in valore nominale sul capitale tenuto sul conto, perdita che andrà sommata a quella realizzata negli anni passati, ancorché l’inflazione sia stata bassa. Per tutti gli scettici che non credono all’inflazione consiglio di leggere l’articolo di Riccardo Sorrentino pubblicato sul Sole24Ore di sabato 2 ottobre dal titolo “Eurozona: balzo dell’inflazione ai massimi da 13 anni (+ 3,4%). È auspicabile quindi che l’investitore che non si sente pronto ad affrontare i mercati, sia consapevole che perdere è una scelta che può essere evitata SOLO usando nel giusto modo il tempo e la pazienza, naturalmente quando se ne sia dotati. Ogni altra realtà che venisse chiamata INVESTIMENTO, ma che non fosse dotata di quantificazione temporale, assumerebbe connotati diversi più simili all’AZZARDO e alla SPECULAZIONE.

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IL CASO EVERGRANDE E LA FORZA DELLA DIVERSIFICAZIONE

Scritto il 28.09.2021

Eppure i gufi dei mercati erano già pronti a rispondere alla mia provocazione lanciata dal mio post della scorsa settimana. Al primo rintocco di campane a morto, scatenato dalla “ben arrivata” crisi finanziaria innescata dalla crisi del big immobiliare cinese Evergrande, le borse mondiali avevano cominciato a lasciare sul terreno percentuali importanti (Hong Kong -3,3%, Nasdaq -2,2%, Milano -2,6% e Francoforte -2,3%, bitcoin - 7%). Purtroppo però, ancora un nulla di fatto, per i nostri amici pessimisti. Infatti già dal giorno dopo le borse hanno cominciato il loro recupero, ancorché in ordine sparso. Pazienza, sarà per la prossima volta, cari gufi dei mercati, il vostro momento di vittoria non è ancora arrivato. Naturalmente i più colpiti da questa nuova crisi sono stati gli investitori, i finanziatori e i fornitori, oltre che naturalmente tutti gli acquirenti degli immobili costruiti da Evergrande. Tutti loro, certamente ciascuno con le proprie posizioni ed esposizioni, non passeranno indenni da questa crisi. Tuttavia, come infatti abbiamo potuto leggere nell’articolo di spalla a pag. 8 del Sole 24 Ore del 24 settembre scorso, dal titolo Domande & Risposte, <<a differenza della banca statunitense (Lehman Brothers) il rating della società cinese è inferiore alla categoria “sicura” definita “investment grade”. Quindi chi vi ha investito ha deciso in partenza di imbarcarsi un rischio più elevato. Se il fallimento di Lehman - che fino al 15 settembre 2008 continuava ad avere un rating “A” - per certi verso è stato un fulmine a ciel sereno, le attuali difficoltà di Evergrande erano in un certo qual modo già prezzate dagli elevati tassi delle obbligazioni>>. Alcuni fondi comuni e sicav distribuiti nel nostro paese, avevano in pancia questi titoli, ma la loro esposizione percentuale non ha superato l’1 o il 2% del portafoglio totale investito. In particolare i più esposti sono stati Ubs, Hsbc, Pimco, Blackrock, Allianz e Fidelity, con perdite che non faranno certamente pentire gli investitori pazienti di averli comunque sottoscritti, tante sono ancora le opportunità che offrono questi prodotti. Qui sta la forza della diversificazione, attività capace di fare cogliere ad ogni investitore le occasioni offerte dai mercati, senza il rischio di perdere molto o troppo di quanto investito. Per coloro che sanno aspettare, dando il giusto tempo agli investimenti per produrre risultati, le lievi perdite saranno certamente sanate, ricompensando ampiamente l’investitore che sa attendere il giusto momento per consolidare i risultati ottenuti. Questo perché, come abbiamo spiegato più volte, le crisi offrono sempre delle grandi opportunità. Il caso di cui stiamo discutendo non è che la conferma della regola sopra esposta. Il sito InvestireOggi, nell’ articolo del 16 settembre scorso dal titolo “Bond Evergrande a rischio default e i rendimenti arrivano al 1.300%”, metteva infatti in grande evidenza che << il bond Evergrande con scadenza aprile 2022 e cedola 9,5%, la cui quotazione è scesa a soli 22 centesimi e poco più, sfiora il rendimento del 1.300%. La scadenza di giugno 2023, invece, scende a un più pacato (si fa per dire) 200%. E se estendiamo lo sguardo al bond giugno 2025, il rendimento si attesta al 75%. In ogni caso, parliamo di numeri compatibili con uno scenario atteso di forte stress finanziario>>. Da qui l’idea che, anche in questo, caso il coraggio potrebbe riservare gioie a chi sa assumere un rischio in modo consapevole diversificando, pur sembrando oggi quei titoli una pura operazione da speculatore, più che un calcolo ponderato. Che curiosa che è la natura umana quando rende noi investitori protagonisti di opposti atteggiamenti verso il medesimo fatto oggettivo: da una parte chi vuole svendere quei titoli poiché li considera una vera sciagura da cui allontanarsi a qualsiasi costo il prima possibile, dall’altra invece chi li vorrebbe acquistare perché li ritiene una grandissima opportunità da non lasciarsi sfuggire . A noi non interessa qui parteggiare per l’una o per l’altra posizione poiché sarà il futuro a rivelare chi avrà avuto ragione. Quello che ci preme invece è dire che la diversificazione insegna a non concentrare tutte le risorse disponibili sullo stesso titolo, poiché il rischio di rimanerne pesantemente colpiti in caso di default, diventa molto alto quando vengono concentrate troppo le risorse disponibili per investire. Non mi stancherò mai di ripetere che la diversificazione non ha la funzione di moltiplicare i guadagni ma, invero, di diminuire il rischio di perdita o default. E dopo avere pontificato sulla sempre necessaria e provvidenziale diversificazione, resto in attesa del prossimo tentativo dei gufi dei mercati di indicarmi al pubblico ludibrio, per non avere saputo salvare i clienti che seguo il prossimo tracollo di mercato, confidando io non sui loro insensati e inutili vaticini, ma, piuttosto, sul fedele aiutante chiamato TEMPO, figlio legittimo della pazienza e della pianificazione finanziaria.  

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IL MIO MANTRA PER IL MERCATO CHE NON VUOLE (PURTROPPO) SCENDERE

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  • Titoli di Stato, Spread e Tassi di i
Scritto il 23.09.2021

Ci eravamo lasciati con la preoccupazione di come si sarebbero comportati i mercati durante l’estate, affascinati dalle parole degli esperti catastrofisti che indicavano come imminente un crollo verticale degli indici azionari, per loro saliti troppo per potere dare ancora soddisfazioni. Erano gli stessi che, in piena pandemia, come esperti veggenti pronosticavano anni bui per l’umanità, invitando gli investitori a vendere i propri asset, anche se in perdita, pur di rimanere fermi e liquidi. Oggi la condizione non è mutata di molto, visto che abbondano le preoccupazioni per le nuove varianti Covid, con il pericolo di una ripresa inflattiva strutturale globalizzata, prodromica di un inevitabile intervento anticipato di tapering da parte delle banche centrali, volto a raffreddare l’economia e in grado di innescare un futuro crollo dei mercati globali. Eppure, ancora una volta, tutte le previsioni sono state smentite. Gli unici motivi di negatività hanno interessato i mercati emergenti, in particolare quello cinese, cresciuto comunque quando l’occidente era in piena pandemia. Durante le vacanze ho pensato molto a tutti coloro che parlando con me nei mesi scorsi, avevano cercato di mettermi di cattivo umore indicandomi indici ormai troppo alti per potere crescere ancora, quale fattore determinante per non investire. E più pensavo a quelle parole densamente intrise di disfattismo e pesantemente avvinghiate all’errato pensiero che quello non fosse il momento giusto per investire, più emergeva dalle profondità della mia mente il titolo dell’editoriale con cui ci eravamo lasciati nel numero 29 di Focus Investitore che recitava “QUANDO IL MERCATO COLLASSA NON SI VENDE MA SI COMPRA!”. Non mi stancherò mai di ripetere che per investire ci vuole pazienza e non tempismo: io non ho mai voluto essere complice del fallimento di coloro che vivono costantemente il loro essere investitori, alla ricerca della conferma dell’utopia che racconta di come sia sempre possibile uscire ai massimi per rientrare sui minimi. E mentre loro aspettano ancora il momento giusto per rientrare, il mercato si prende la giusta rivincita continuando a crescere. Solo un folle può non comprendere che comprare in momenti di ribasso è più conveniente che comprare quando il mercato cresce, ma anche che un buon affare non cancella un affare migliore. Per questo, seguendo alcune semplici regole, è sempre il momento di investire, rispettando i propri bisogni presenti e futuri, senza farsi imporre regole da chi dice di conoscere i futuro. Ed ancora, come si può credere che i prezzi del mercato azionario di oggi siano possano essere più bassi rispetto a quelli che saranno tra 10 anni? Il tempo è un nostro prezioso alleato che ci aiuta a ridurre la volatilità solo se lo sappiamo rispettare. In verità quando non si investe è perché si vive nella paura che il mercato prima o poi cessi di crescere e l’economia si ribelli all’uomo, creando scenari distopici. Fatevene una ragione voi che non credete: i mercati azionari salgono sempre nel tempo. Sempre. Per questo comprare sui ribassi è sempre conveniente. Sempre. Li immagino tutti quei catastrofisti pronti a rivendicare la paternità del prossimo inevitabile ribasso, salvo poi vederli ancora attendere prima di rientrare poiché per loro non è mai il momento giusto per farlo. Intanto mi permetto di dare un consiglio a tutti coloro che attendono il prossimo ribasso: il mercato tornerà poi a crescere come ha sempre fatto, superando e battendo i limiti cui si era adagiato, quindi siate pronti ad approfittarne. Mentre voi ribassisti e catastrofisti aspettate con presunzione il momento giusto per rientrare (o per uscire!!!), pensate alle opportunità che avete già perso per non avere seguito il consiglio di chi ha sempre scelto il tempo e non il tempismo, come alleato per ottenere risultati!      

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