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Btp – tassi ai minimi, nuove idee: Btp Italia e Btp in dollari

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 18.10.2019

La forte riduzione dei rendimenti dei Btp, passati nel giro di pochi mesi da un rendimento intorno al 3% ad un rendimento dello 0,90% (sul decennale) ha imposto nuove idee per accontentare la sete di titoli di Stato degli investitori che continuano a mantenere un elevato stock di liquidità nei portafogli.   Chi ha perso il treno di ottimi rendimenti (scegliendo il timing giusto i rendimenti sono stati a doppia cifra), ora sta alla finestra sperando in un incremento dello spread ... sempre più improbabile a meno di nuove instabilità politiche.   Il collocamento del nuovo Btp Italia, il 15° avverrà tra lunedì 21/10 e mercoledì 23/10 per il retail. E poi sarà riservato a investitori istituzionali il giorno 23/10. Il Btp Italia è un titolo di Stato studiato per piccoli risparmiatori che ha la finalità di offrire uno strumento a garanzia del capitale che protegge dal rincaro del costo della vita.   Di seguito le caratteristiche principali dell’emissione:   Durata: 8 anni;  Cedole semestrali indicizzate all’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati a 6 mesi, al netto dei tabacchi; Floor in caso di deflazione (non potrà andare sotto lo zero la cedola); Capitale nominale garantito a scadenza, anche in caso di deflazione  Premio Fedeltà con il riconoscimento dello 0,40% a scadenza per chi mantiene il titolo fino alla sua scadenza naturale.   Il tasso annuo definitivo verrà comunicato il giorno 23/10. Nel prospetto viene specificato che le cedole non potranno in ogni caso essere inferiore al tasso reale garantito definitivo.    ANALISI: Nelle ultime settimane si è verificata una forte richiesta di Btp legati all’inflazione italiana, maggiore rispetto a quelli tradizionali e a quelli indicizzati all’inflazione europea. Questo fa presagire una buona richiesta da parte del mercato, contrariamente al flop registrato dalle ultime emissioni. Se dovessero esser confermate le previsioni sull’inflazione attesa tali Btp avrebbero uno spread positivo rispetto ai Btp a tasso fisso. E’ ragionevole inserire all’interno di un portafoglio ben diversificato la componente Btp Italia sempre se coerente al proprio profilo finanziario, anche in considerazione del fatto che l’orizzonte temporale non è brevissimo (8 anni).   BTP IN DOLLARI   Lo scorso 9 ottobre sono approdati sul mercato 3 nuove emissioni, denominate in dollari. La risposta del mercato è stata molto positiva con una sottoscrizione complessiva di 7 miliardi.   Emissioni e rendimenti   Le tre emissioni riportano seppure con il rischio cambio, rendimenti sensibilmente maggiori rispetto a quelli denominati in euro:   Btp a 5 anni (isin: IT0005384497) rendimento del 2,4%; Btp a 10 anni (isin: IT0005377152) rendimento del 2,9%; Btp a 30 anni (isin: IT0005363111) rendimento del 4,02%   Conviene sottoscriverli?   Al di là delle ottime cedole previste, l’enigma principale è costituito dal rischio cambio. Saranno sicuramente le scelte delle banche centrali a condizionare l’andamento del rapporto euro/dollaro. Al momento il dollaro appare ancora forte, spinto anche dalla forte dell’economia reale americana che seppur in rallentamento appare sicuramente più stabile di quella europea.   Sicuramente anche qui una esposizione minima ci può stare, senza esagerare in quanto alla base di tutto c’è sempre uno spread compresso sui minimi. Sicuramente in caso di ritorno del cambio nel range 1,14/1,15 si può utilizzare lo strumento anche tatticamente per un’esposizione al dollaro.   Rimango invece scettico sull’acquisto di Btp tradizionali, li ormai il treno si è perso!

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Obbligazioni subordinate Unicredit e Generali: entusiasmo tra gli investitori. Ma i rischi?

Scritto il 28.09.2019

Il forte restringimento dello spread tra Btp e Bund e la conseguente riduzione dei rendimenti ha creato grossa confusione tra gli investitori. Se fino a poche settimane fa, bastava acquistare un titolo di Stato italiano decennale per ottenere un rendimento a scadenza prossimo al 3%, oggi per ottenere rendimenti similari è necessario aumentare notevolmente l’asticella del rischio.   Caratteristiche delle obbligazioni subordinate:   Ed ecco che in maniera piuttosto disinvolta i risparmiatori si sono trovati ad acquistare obbligazioni subordinate. Si tratta di strumenti che riconoscono dei rendimenti più elevati anche a parità di emittente, proprio perché incorporano un rischio nettamente differente.   Facciamo chiarezza:   le obbligazioni subordinate in caso di difficoltà finanziarie e dell’emittente prevedono una postergazione rispetto ad altri soggetti nel pagamento delle cedole e nel rimborso del capitale. Ci sono tuttavia diversi livelli di subordinazione: Lower Tier 2: sono le più diffuse. Scadenza compresa tra i 5 e i 10 anni. Non prevedono rischi sul fronte cedolare, a meno di un’insolvenza dell’emittente. La differenza rispetto alle obbligazioni ordinarie e che prevedono una postergazione in caso di default dell’emittente; Tier 3: l’unica differenza con le Tier 2 è nella durata, che in questo caso è inferiore ai 5 anni; Upper Tier 2: in questo caso l’emittente può non distribuire le cedole nel caso in cui si ritiene che gli utili non sono soddisfacenti o non vengono pagati dividendi sulle azioni. Le cedole vengono tuttavia poi corrisposte successivamente; Tier 1: si tratta dell’opzione più rischiosa tra le obbligazioni subordinate. Le cedole possono esser anche annullate e i sottoscrittori possono partecipare alle perdite con decurtazione del capitale investito qualora le difficoltà finanziarie dell’emittente possono comprometterne la solidità patrimoniale.    OBBLIGAZIONI SUBORDINATE UNICREDIT E GENERALI   Nei giorni scorsi sono approdate sul mercato due emissioni subordinate di Unicredit e Generali. La carenza di asset a rendimenti interessanti gli investitori hanno accolto con entusiasmo la notizia.   Si tratta tuttavia di rendimenti a mio avviso modesti rispetto alla natura di queste obbligazioni. Basta pensare che poco più di un mese fa emissioni subordinate degli stessi emittenti e di pari durata avevano un rendimento di quasi il doppio rispetto ad oggi e nonostante ciò non riscontravano alcun interesse.   Sicuramente, in caso di pressione sul mercato obbligazionario, queste obbligazioni saranno le prime a pagar dazio.   Il green bond lanciato da Generali con scadenza 2030 è un Tier 2. Scadenza 11 anni, con rendimento fissato a 235 punti base su midswap. Il rendimento è del 2,25%   L’emissione Unicredit a 10 anni prevede una cedola del 2%. Dopo 5 anni la banca può decidere di ritirare l’obbligazione esercitando l’opzione call, oppure continuare con un tasso maggiorato di 240 punti base su midswap.   Che fare?   A mio avviso a prescindere dal profilo di rischio dell’investitore questi rendimenti non giustificano l’acquisto di obbligazioni subordinate. Per gli investitori, in un contesto come quello delle ultime settimane con rendimenti negativi o molto risicati, le migliori alternative sono l’investimento in gestione separata (di cui ho parlato in un precedente articolo); in fondi di investimento ben selezionati (con gestione della duration dinamica); obbligazioni su valute ben selezionate. Mai come in questo momento, seppur sono presenti opportunità di rendimento, è fondamentale investire avendo opportune conoscenze oppure affidarsi a professionisti dl settore.

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Gli errori più frequenti degli investitori italiani

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  • Finanza Comportamentale
Scritto il 30.08.2019

Italiani popolo di risparmiatori! Si tratta di un’affermazione confermata dai fatti: il risparmio degli italiani secondo gli ultimi dati sfiora i 10 miliardi. Si tratta come noto di patrimoni eccessivamente esposti sul mercato immobiliari per molteplici ragioni, tra cui principalmente la tangibilità e gli ottimi ritorni ottenuti in passato. Un altro fattore determinante è sicuramente l’approccio errato ai mercati finanziari. Gli italiani si sono avvicinati all’investimento mobiliare durante il boom della new economy i cui rialzi repentini hanno diffuso l’idea di investimento speculativo, con la possibilità di ottenere guadagni elevati in un orizzonte temporale molto breve con l’accettazione di un altrettanto elevato livello di rischio. La natura dell’investimento mobiliare è differente: l’orizzonte temporale ideale soprattutto per soluzioni a più elevato livello di rischio/rendimento è lungo e storicamente si tratta di investimenti che con queste premesse hanno assicurato rendimenti maggiori rispetto a tutte le altre soluzioni possibili. Nell’ambito della mia attività professionale nell’analizzare portafoglio “fai da te” costruiti dai clienti ho notato una certa omogeneizzazione dei comportamenti: Totale o prevalenza di asset italiani (comprare quello che si conosce, senza però avere capacità di analisi); Totale o prevalenza di titoli azionari (rispetto ad altre asset class più prudenti); Mancanza di diversificazione (comprare 20 azioni italiane non vuol dire diversificare!); Mancanza di coperture  Mancanza di una strategia: coerenza di azioni con gli obiettivi (quali sono gli obiettivi del portafoglio? Sono messe in campo azioni per raggiungere gli obiettivi?) Come per qualsiasi competenza professionale ritengo rischioso approcciare ad un tema scientifico come la gestione del denaro sui mercati finanziari utilizzando l’approccio fai da te. I 5 elementi sopra, per quanto semplici nella comprensione, richiedono conoscenze ed esperienze specifiche che non possono esser improvvisate. Un altro aspetto è poi quello psicologico. E’ frequente che l’investitore fa incetta di titoli rischiosi nei periodi fiorenti dei mercati finanziari (con i mercati vicini ai massimi) finendo per subire poi una discesa. Di contro, con mercati a forte sconto, gli investitori anziché investire tendono a svendere in perdita i propri titoli, incamerando una perdita salvo poi accorgersi che i mercati nei mesi successivi registrano rialzi. Non è semplice comprendere il “fair value” di un titolo o di un mercato, perché è anche vero che alcuni titoli o mercati non seguono la fluttuazione ma continuano a scendere. Ed ecco perché è fondamentale ottenere il supporto di un professionista. Oppure, acquisire con studio e dedizione le competenze per farlo autonomamente.  

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PAC Finanziari

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  • PAC Piano accumulo capitale
Scritto il 21.07.2019

I piani d’accumulo: migliore strategia di investimento sui mercati azionari   Da piccoli versamenti periodici si può costruire un risparmio importante mitigando le oscillazioni dei mercati finanziari.   Insita nei piani d’accumulo c’è a mio avviso la miglior strategia per investire nel mercato azionario. La possibilità di costruire periodicamente un capitale partendo da piccoli versamenti mensile consente a chiunque di metter da parte denaro.   Quanto destinare all’investimento? Sicuramente una quota parte del proprio reddito che si è sicuri di riuscir a risparmiare senza grossi patemi. Perché la cosa peggiore è quella di chiamare la banca dopo qualche mese e chiedere di sospendere le rate per un periodo determinato o ancora peggio indeterminato. Si tratta di costruire un capitale mattone per mattone, per cui è fondamentale esser puntuali nei versamenti.   Qual è lo scenario migliore di mercato per iniziare unpiano d’accumulo? Domanda banale ma non proprio di facile risposta. Il fatto di investire periodicamente dovrebbe rendere ininfluente il momentum di mercato, però lo scenario perfetto è quello di accumulare il capitale in una fase ribassista di mercato, magari procedendo anche con versamenti aggiuntividi più rate di volta in volta, per poi liquidarlo nella successiva fase rialzista quanto si è riusciti ad accumulare giù un gruzzolo importante.   Qual è la durata idealeper un PAC? Non meno di 5 anni. Ipotizziamo di versare 150,00 euro al mese per 10 anni. Si tratta dunque di 120 versamenti che porteranno ad un capitale investito di 18.000 euro. Se si gestisce con attenzione un PAC difficilmente nel periodo considerato non si registreranno rendimento soddisfacenti.   E’ importante infatti una gestione attenta. Quello che succede molto spesso invece è che vengono sottoscritti e abbandonati a loro stessi. E’ importante infatti procedere a versamenti aggiuntivi nei momenti di maggior ribasso in modo da comprare con il medesimo versamento (nel caso sopra 150,00 euro) più quote rispetto a quelle che si acquisterebbero in momenti di stabilità o rialzisti.   Il dollar cost average. Si tratta di una modalità di investimento di cui grandi investitori già parlavano diversi anni fa, come Warren Buffete Benjamin Grahammaestri dell’analisi fondamentale. E’ dimostrabile infatti che attraverso questa tecnica è possibile ottenere rendimenti superiori rispetto ad un investimento in modalità Pic (versamento unico) sul medesimo asset finanziario. Leggere un caso empirico (clicca qui)

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Investire nei PIR conviene?

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 24.06.2019

Dopo due anni dall’emissione dei Pir i tempi sono maturi per trarre conclusioni su  questa soluzione di investimento, anche alla luce delle caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono. I piani individuali di risparmio sono stati voluti dal governo Renzi per favorire l’afflusso di liquidità alle piccole e medie imprese italiane attraverso il risparmio dei cittadini.   I PIR: in cosa investono In coerenza all’obiettivo di finanziare le imprese italiane, i Pir devono investire almeno il 70% in strumenti finanziari quali azioni, obbligazioni, quote di fondi comuni di investimento emessi da imprese italiane. Di questo 70, il 30% deve essere investito in strumenti emessi da imprese diverse da quelle presenti nel  Ftse Mib quindi di taglia più piccola.   Vantaggi fiscali Per incentivare gli investitori alla sottoscrizione dei Pir è previsto un’importante incentivazione fiscale. Le plusvalenze su investimenti mantenuti in portafoglio per almeno 5 anni sono esenti da tassazione. Questo comporta il risparmio dell’imposta sul capital pari al 26%.   Novità legislative La manovra di bilancio 2019 ha previsto novità sul tema Pir. È stato infatti previsto che del 21% extra Ftse Mib (il 30% del 70%) almeno il 3,5% deve esser investito in strumenti emessi da piccole e medie imprese quotate sull’AIM.   Analisi operativa Per consentire confronti utili all’analisi operativa è stato costruito un Pir benchmark. Si tratta di uno strumento molto utile perché permette di analizzare la qualità dello strumento nelle mani dell’investitore. Si tratta di un’analisi che richiede particolare attenzione, alla luce del fatto che oltre i rendimenti va analizzato il livello di rischio dello strumento finanziario considerando che diverse banche propongono strumenti che hanno all’interno una componente obbligazionaria importante. Con questi distinguo andiamo ad analizzare l’andamento del benchamark nell’ultimo anno.     In linea con l’andamento dei mercati finanziari il PIR Benchmark ha registrato una discesa nell’ultimo trimestre dello scorso anno contraddistinta come visibile dalla parte bassa del grafico da bassi volumi, per poi riprendersi da inizio anno accompagnata da volumi importanti.   La mia opinione sui PIR è costruttiva. Tengo a precisare che sono investiti nel nostro bellissimo Paese che tuttavia in questo momento storico ha alcune problematiche non di secondo piano: Instabilità politica e possibile procedura di infrazione; Crescita anemica e debito pubblico elevato;   Il vantaggio dell’esenzione della fiscalità è un elemento che potrebbe rilevarsi deleterio se non gestito con cognizione. Seppur rappresenta un vantaggio non di poco conto, c’è il rischio di voler attendere necessariamente il quinto anno per liquidare un investimento in buon guadagno, per poi registrare magari una perdita l’anno successivo. L’esenzione va utilizzata in modo intelligente: può rappresentare un plusma è fondamentale considerare che principalmente l’investimento va liquidato quando realizza un buon guadagno (anche a costo di dover pagare le tasse).   Altra considerazione è sul peso in portafoglio. Ho verificato una sovraesposizione ai Pir in numerosi portafogli. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di uno strumento molto esposto al mercato azionario quindi soggetto a oscillazioni notevoli.   Valutazione dei costi associati al prodotto è un altro fattore da considerare. Trattandosi di gestione attiva, i costi di gestione sono comprensibili ma è fondamentale verificarne la congruità anche rispetto all’attività messa in campo dal gestore.  La mia considerazione finale è che il PIR, sempre dopo averne valutato la qualità anche alla luce dei fattori esposti nell’articolo,  può esser una componente del portafoglio ma non da sovrappesare.    Per info e chiarimenti contattatemi attraverso l’apposita funzione del portale 

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Investire in gestione separata: caratteristiche, punti di forza e debolezza

Scritto il 28.05.2019

L’investimento in gestione separata è tornato in voga negli ultimi anni e sempre più richiesto dai risparmiatori.    La politica accomodante delle banche centrali, ha provocato una riduzione dei rendimenti favorendo l’apprezzamento di asset obbligazionari. Ma negli ultimi due anni la situazione si è capovolta e l’innalzamento dei rendimenti ha fatto registrare performance negative all’obbligazionario.   La ricerca di stabilità di portafoglio è quindi andata su strumenti meno dipendenti da oscillazioni di mercato ed in questo la gestione separata rappresenta sicuramente un valido alleato.   La gestione separata altro non è che una gestione finanziaria creata e gestita da compagnie assicurative in cui vengono investiti i premi versati dai clienti. Si tratta di polizze definite di Ramo I.   Si tratta di denaro di proprietà dei sottoscrittori, che non può essere intaccato in caso di eventi negativi che colpiscono la compagnia. Qui la definizione di “separata”.   In passato, in presenza di tassi particolarmente elevati, queste gestioni riuscivano a garantire da contratto anche un rendimento minimo. Si tratta tuttavia di contrattualizzazioni che avevano anche costi elevati che andavano e ridurre poi notevolmente la performance (netto costi) distribuita al sottoscrittore. Ad oggi, nella stragrande maggioranza dei casi viene garantito un rendimento pari allo 0% (quindi non può andare negativa).   La possibilità di non andar negativa è possibile grazie fatto che la gestione è investita in strumenti che finché non vendono venduti non comportano variazioni di prezzo. Si tratta del cosiddetto criterio di contabilizzazione a costo storico. La posizione viene quindi se mantenuta a scadenza (come normalmente avviene) non viene contabilizzata a mercato.    Tutto ciò è possibile anche grazie al fatto che come previsto da normativa la gestione deve esser fatta acquistando prevalentemente titoli di Stato o obbligazioni, questo al fine di garantire alla gestione la maggiore stabilizzazione possibile.   Al di là della gestione separata al fine di valutare la convenienza al prodotto è fondamentale la lettura del prospetto informativo della polizza di riferimento. Un aspetto fondamentale è costituito dai costi associati all’investimento e dai vincoli temporali. I costi applicati sono generalmente di ingresso e di gestione. I primi vengono sostenuti al momento della sottoscrizione del contratto mentre i secondi sono ricorrenti e vanno a ridurre il rendimento di gestione annuale.   Per quanto riguarda i vincoli temporali possono essere di due tipi: penali di uscita o consolidamento del rendimento. Nel primo caso per un intervallo di tempo definito dal contratto (generalmente non oltre i 5 anni) il cliente nel caso in cui dovesse riscattare la polizza subirebbe una penalizzazione in termini economici. Nel secondo caso invece il contratto può prevedere che qualora il cliente riscattasse entro un determinato arco temporale, non sostiene penali ma non ha il consolidamento del rendimento. Quindi riprende il capitale investito.   Ci sono infine altri vantaggi relativi alla gestione separata, che lo rendono un investimento attraente: Esenzione da imposta di bollo; Tassazione agevolata (dipende dalla composizione del portafoglio sottostante. Per la parte dei titoli di Stato che generalmente la fa da padrona in queste gestioni la tassazione è del 12,5% contro il 26% degli altri investimenti); Impignorabilità e insequestrabilità Esente da tassa di successione   Veniamo ora ai punti di debolezza: primo su tutti la possibilità di perder un innalzamento dei rendimenti di mercato in quanto, la permanenza all’interno della gestione può comportare la perdita di opportunità di acquisto sul mercato. Questo perché il rendimento delle gestioni separata è piuttosto stabile, quindi da privilegiare in contesti di mercato caratterizzati da bassi rendimenti.    Infine come accennato vanno considerate le caratteristiche del contratto (vincoli, costi, caratteristiche della gestione). 

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Lasciare TFR in azienda o investirlo su fondo pensione?

Scritto il 11.04.2019

Lasciar il TFR in azienda o investirlo su un fondo pensione rappresenta una decisione molto importante che tuttavia viene presa con assoluta leggerezza da parte dei lavoratori.   In questo articolo esamineremo in maniera analitica cosa comporta una scelta rispetto all’altra, sperando di offrire ai lettori spunti obiettivi per le loro scelte.   Cos’è il TFR?   È il trattamento di fine rapporto che spetta a lavoratori del settore pubblico o privato accumulato attraverso un accantonamento mensile del 6,91% della retribuzione. Il versamento avviene 12/24 mesi dopo la cessazione del rapporto di lavoro da parte dell’Inps a seconda della motivazione.   La scelta del lavoratore   Il lavoratore, dopo la legge di stabilità 2015 ha di fronte a sé tre scelte:   Lasciare il Tfr in azienda o Inps; Versare il Tfr in un fondo di previdenza complementare; Riscuotere in busta paga il Tfr maturato   Riscuotere il TFR in busta paga Ognuna di queste scelte ha delle implicazioni specifiche. Sul terzo punto, va specificato che si tratta di un intervento limitato nel tempo, valido nel triennio (2015/2018) anche se non si esclude possa esser poi esteso, ma che è limitato alla relativa quota mensile accumulata non andando quindi ad intaccare le risorse già accumulate in passato in azienda, Inps, fondo pensione ..   In realtà questa misura, assunta con l’obiettivo di incrementare i consumi non ha avuto l’effetto sperato tanto che è stato richiesto da meno dell’1% degli aventi diritto. In realtà la scelta risulta piuttosto onerosa, portando poi ad assoggettamento delle quote ad aliquote ordinarie Irpef   Lasciare il TFR in azienda: rendimenti   Èpossibile lasciare Tfr in azienda se questa ha meno di 50 dipendenti, altrimenti sono versate al fondo tesoreria Inps. Entrambe queste scelte da diritto a rendimenti predeterminati, pari all’1,5% annuale + lo 0,75% dell’inflazione. La tassazione della rivalutazione è stata innalzata al 17% a partire dal 1° gennaio2015 (in precedenza era dell’11%).    Destinare Tfr a Fondi pensione  Innanzitutto la scelta di sottoscrivere un fondo pensione deve prescindere dalla destinazione del Tfr in quanto per mantenere inalterato il proprio tenore di vita è indispensabile integrare i contributi su base volontaria. Il tasso di conversione stimato, cioè il rapporto tra ultimo stipendio e la prima pensione è stimato a circa il 50% per le generazioni che andranno in pensione tra 15/20 anni. Di conseguenza chi arriverà a guadagnare 2.000 euro andrà in pensione con 1.000 euro. Proprio in piena coscienza di quanto sopra, il legislatore ha previsto una serie di vantaggi fiscali per chi deciderà di integrare il proprio cuneo pensionistico. È prevista infatti la possibilità di dedurre i contributi fino a € 5.164,57. Considerando le aliquote ordinarie versando il massimo consentito per la deduzione il risparmio fiscale (ricevuto in busta paga a giugno se si è dipendenti oppure come minore tassazione in caso di lavoratore autonomo oscilla tra un minimo di 1.187 ed un massimo di 2.220 euro La tassazione è al 20% dal 2014 (in precedenza era fissata all’11%).  Per quanto riguarda i rendimenti, a differenza del Tfr in azienda dove sono predefiniti dipendono dalla scelta del risparmiatore. Personalmente consiglio di privilegiare la linea capitale garantito, proprio perché bastano già gli importanti vantaggi fiscali a rendere conveniente la sottoscrizione... ma è possibile anche sottoscrivere linee miste dando magari maggior consistenza alla parte garantita rispetto ad una parte meno importante investita sul profilo bilanciato e dinamico.   La tassazione al riscatto della posizione Un altro straordinario vantaggio dei fondi pensione è costituito dalla tassazione al momento del riscatto della posizione maturata: a differenza del Tfr in azienda/Inps che viene tassato con aliquota ordinaria (quindi minimo al 23%), i fondi pensione prevedono una tassazione del 15% che viene ridotta dello 0,30% per ogni anno successivo al quindicesimo di permanenza del fondo fino ad un massimo del 6%, portando di conseguenza la tassazione al 9%... su livelli ben più bassi rispetto a quelli previsti dalla tassazione ordinaria. Parlando di cifre piuttosto importanti la differenza è molto sensibile.   La tabella sotto riassume l’ipotesi di un dipendente con stipendio lordo annuale di 25.000 per prendere un caso piuttosto comune. La differenza di tassazione al termine del periodo incide al 50% sul controvalore.      Le anticipazioni al confronto La tabella sottostante mostra la legislazione relativa alla decisione di lasciare il Tfr in azienda/INPS oppure destinarlo ad un fondo pensione.  Su ciascuno dei casi di anticipo ci sono dei vantaggi, che vanno ad esempio nel caso dei motivi di salute dalla possibilità di richiedere subito l’anticipo e non dopo 8 anni e fino al 75% e non al 70%. Caso più frequente quello dell’anticipazione possibile per il 30% nei fondi pensione dopo 8 anni. Nei fondi pensione non viene richiesta motivazione specifica, mentre nell’ipotesi di Tfr in azienda/INPS è circoscritto a ipotesi predefinite.     La prestazione Per richiedere la prestazione è necessario che siano passati almeno 5 anni dall’iscrizione ad una qualsiasi forma di previdenza complementare ed aver maturato i requisiti per la pensione previsti dalla normativa vigente.  La prestazione può essere di tre tipi: Rendita al 100% Metà capitale e metà rendita Tutto capitale (se ci sono determinati requisiti) Può esser richiesto tutto in forma di capitale in caso di iscrizione ante 29 aprile 1993. In alternativa nel caso in cui convertendo il 70% della posizione individuale in rendita si ottiene un importo inferiore al 50% dell’assegno sociale Inps.

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Recuperare le minusvalenze coi BTP

Scritto il 08.04.2019

Il recupero fiscale delle perdite derivanti da investimenti finanziari è un tema che crea molta confusione tra i risparmiatori e spesso non trova risposte puntuali neppure dagli addetti ai lavori. Di seguito uno schema molto utile che riassume la possibilità di compensare o meno ciascun rendimento associato ad un investimento finanziario:     Oggi tratteremo il tema prendendo come riferimento i Btp.   I titoli di Stato possono generare due tipologie di rendimenti: quello derivante da flusso cedolare (i Btp staccano cedola ogni semestre) e quello dalla differenza tra valore di acquisto e valore di vendita. Se viene acquistato in collocamento e viene venduto a scadenza non c’è questo secondo rendimento. Il sottoscrittore infatti prende esclusivamente il flusso cedolare.   Il rendimento cedolare viene considerato reddito da capitale. Quello derivante da compravendita reddito diverso.  Qui la differenza più importante: il reddito cedolare non è compensabile con le perdite pregresse. Sono invece compensabili quelle derivanti da capital gain.   TEMPESTICHE DI RECUPERO: È possibile recuperare le minusvalenze maturate nell’anno in corso e nei 4 anni successivi.   QUANTO SI RECUPERA?Qui un’altra particolarità del trattamento fiscale dei Btp. Come noto, i titoli di Stato italiani e in generale quelli in whitelistsono trattati con maggior vantaggio dal legislatore scontando una tassazione del 12,5% rispetto al 26% di tutti gli altri strumenti finanziari.   Naturalmente questo ha implicazioni anche sull’entità del recupero. Le minusvalenze da Btp vengono abbattute del 48,08% (che poi è la differenza tra 12,5 e 26%).   A titolo esemplificativo.Prendiamo come riferimento il Btp (isin: IT0005170839) quotazione odierna 96,50 e cedola dell’1,60% (distribuzione lorda dello 0,80% a giugno e dicembre). Immaginiamo di chiudere l’operazione a gennaio prossimo con quotazione 100.    Il cliente avrà cosi incassato due cedole dello 0,80% e un capital gain (dato dal differenziale di vendita e acquisto) di 3,50 euro per ogni quota acquistata. Da un punto di vista fiscale, le due cedole rappresentando redditi da capitale verranno entrambe tassate. Il capital gain (essendo redditi diversi) è invece compensabile con perdite pregresse presenti nello zainetto fiscale.   STRATEGIE DI RECUPERO: L’utilizzo di Btp come di obbligazioni (attenzionando bene il rating) è una modalità molto consigliata di recupero delle perdite presenti nello zainetto fiscale in quanto non assoggetta a particolari rischi. Questo perché si acquista strumenti (escluso chiaramente eventuali default) che rimborsano capitale nominale. Bisogna esser abili nell’acquistarli in momenti di particolare volatilità e gestire le scadenze in quanto come sottolineato precedentemente è possibile recuperare perdite nei 4 anni successivi.   Vengono purtroppo commessi errori comuni nella gestione del recupero delle minusvalenze. Uno su tutti quello di disfarsi di titoli in forte perdita congiuntamente anziché attendere la maturazione di guadagni. Questo comporta il decorrere dei 4 anni in maniera anticipata.   Oltre ai Btp ci sono altri strumenti che permettono un recupero più veloce ma con maggior volatilità come i certificati, che tratteremo successivamente.   Per info e chiarimenti contattatemi

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Bluerating Awards, i cf in gara di Bnl Bnp Paribas Life Banker

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 20.09.2018

Nome per nome, tutti i 21 cf della rete del gruppo Bnl Bnp Paribas che saranno in competizione per i premi organizzati da BFC, la casa editrice di Bluerating e Bluerating.com Nome per nome, tutti i cf di Bnl Bnp Paribas Life Banker che saranno in competizione per i BLUERATING Awards 2018 la manifestazione organizzata da Blue Financial Communication e riservata ai migliori consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, che si terrà mercoledì 28 novembre (a conclusione dei lavori dell’ITForum) al Palazzo delle Stelline di Milano. La compagine della rete del gruppo Bnl Bnp Paribas (guidata da Ferdinando Rebecchi) parteciperà a sette delle otto categorie previste dalla competizione per un totale di 21 partecipanti. A seguire, categoria per categoria, tutti i nomi dei consulenti finanziari in concorso. Customer Relationship: Andrea Barontini, Luigi Elia Nicola Galli Education: Alfonso Donadio, Gianrocco Mecca, Michele Menditto Junior: Giulia Catani, Alessio Laspina, Alessandra Nolano Manager: Luca Campi, Andrea Lustrì, Maurizio Mezzavilla Woman: Danila Beccacece, Lorenza Bedenghi, Rosa Falco Team: Luca Campi, Andrea Lustrì, Maurizio Mezzavilla Top Entry: Davide Petrone, Angelo Allamprese Manes Rossi, Luca Restelli

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