Donato Rossiello

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Consulente finanziario

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Chi sorveglierà i sorveglianti stessi? Rating, pagelle e titoli di Stato

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 22.05.2023

A cadenza fissa tornano preponderanti le voci secondo cui l’Italia, col suo debito pubblico, possa subire un declassamento di valutazione da parte delle tanto vituperate agenzie di rating. Venerdì 19 maggio era previsto il giudizio della Moody’s Investors Service. Tralasciamone per un attimo l’esito… Moody’s aveva anticipato da tempo l’evenienza di bocciare sotto la soglia di investiment grade (ovvero indicatori che stabiliscono la qualità e l’affidabilità degli strumenti finanziari) i titoli di Stato italiani, rendendoli di fatto junk bond (titoli spazzatura). Con tutta una serie di implicazioni; di natura tecnica, esistendo fondi obbligazionari che investono ad esempio solo in titoli di pregio e in caso di declassamento si dovrebbe provvedere alla rimozione del “rifiuto” dal proprio portafoglio. È altresì vera la tendenza a non basarsi in via esclusiva al giudizio di un’unica agenzia ma a quello di due o più per una migliore visione di insieme. Inoltre il sistema bancario per ottenere dei finanziamenti dalla Banca Centrale Europea deve fornire dei collaterali (ovvero titoli di Stato che rispettino degli standard) e la BCE monitora con costanza ben quattro società di rating. Retrocedendo per una, resterebbero altre tre a considerare il pacchetto italiano sopra il livello da scartare. Semmai dovesse accadere quanto temuto gli impatti tecnici sarebbero piuttosto limitati. Le agenzie di rating ponderano sì sul nostro elevato debito pubblico ma soprattutto sul fatto che i rendimenti italiani siano saliti in maniera esponenziale (basti pensare che fino a due anni fa i BTP erano sotto il 2% al decennale, oggi sopra al 4%), di conseguenza aumentano i costi degli interessi (ora intorno ai 70 miliardi), quindi gli oneri, i rischi. Il dato positivo del PIL (migliore persino di altri Paesi europei) viene attanagliato dal pesante rapporto debito/PIL e mancano in prospettiva dei radicali piani di rientro dello stesso. Dal punto di vista generale dei mercati un eventuale giudizio negativo potrebbe indurre qualcuno a liberarsi dei titoli di Stato, facendo dilatare i rendimenti. E poiché le banche compongono gran parte dell’indice FTSE MIB, nel breve periodo si avrebbe un qualche contraccolpo su Piazza Affari. Alla fine, come si è pronunciata Moody’s? Il nostro rating non è stato aggiornato, restando pari a “Baa3” con outlook negativo. Fughiamo inoltre ogni preconcetto per cui i titoli di Stato siano sicuri, poiché garantiti appunto dallo Stato. Troppi investitori, sia privati che istituzionali, sembrano dare per scontato che non si possano subire perdite. O che le ipotesi di default siano remote o ininfluenti. Eppure nella storia (dal IV secolo a.C. ad oggi) di insolvenze nazionali se ne contano circa 383! Non possiamo che concludere con una provocazione satirica: «Quis custodiet ipsos custodes?»

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Report Mercati finanziari settimana dal 17 al 24 aprile 2023

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 24.04.2023

Sorprende al rialzo il dato di marzo sull'#inflazione nel Regno Unito, con il l'IPC primario al 10,1% su base annua. Si prevede che la pressione inflazionistica complessiva britannica rallenti dal prossimo mese, considerando il deciso attenuamento dei #prezzi di #gas ed #elettricità da aprile 2023.    Tuttavia appare improbabile la "core" si indebolisca così prontamente, poiché i #salari esercitano ancora pressioni al #rialzo su #costi e prezzi. La Bank of England dovrà lavorare su questo. Uno sguardo ai principali indici #azionari, rispetto a una settimana fa: #DAX +0,51% / +14,1% da inizio anno #CAC40 +0,8% / +17,4% #FTSEMIB -0,5% / +17,7% #S&P500 -0,1% / +8,2% MSCI#EM -1,4% 7 +3,3% #MSCI AC World -0,1% / +8,2% Il rapporto Dollaro/barile del #brent scende di -5,4%, quello Dollaro/oncia dell'#oro -2,3%

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Fallimenti delle banche, cause e conseguenze Come agire tutelando i propri investimenti

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 24.04.2023

Il mese scorso i timori di un’eventuale crisi finanziaria hanno imperversato lungo le pagine dei report di settore; si rincorrevano notizie sul fallimento di numerose banche regionali statunitensi, scaldando animi e mercati. Eclatante il caso della californiana Silicon Valley Bank, un rinomato istituto in ambito di startup tecnologiche e investimenti venture capital, fallita il 10 marzo. Il modello di business ad alto rischio e la perdita di denaro hanno portato la SVB a gestire un flusso esiguo di prestiti e parecchi titoli di Stato a lunga scadenza. Investiva in ciò che potenzialmente potesse rendere più della media, sfruttando il periodo dei tassi di interesse bassi/nulli. Colta impreparata dalla stringente politica monetaria di innalzamento dei tassi da parte delle Banche Centrali (per contrastare la galoppante inflazione) s’è ritrovata a vendere in perdita. Titoli svalutati e corsa agli sportelli, soprattutto per i depositi di ammontare superiore ai 250 mila dollari, non garantiti. Una “emorragia” dilagante. Ad ogni modo la Federal Reserve è intervenuta con misure tempestive, volte a garantire una sorta di pieno rimborso agli investitori. In Europa abbiamo assistito al crollo di Credit Suisse, salvata il 19 marzo in extremis grazie ad un esborso di 109 miliardi di franchi da parte della Confederazione elvetica (9 miliardi a copertura delle cause legali, perdite da cessioni o esuberi, a cui si aggiungono ben 100 miliardi di liquidità messi a disposizione dalla Schweizerische Nationalbank). I titoli legati al comparto tecnologico, dopo un pessimo 2022 (in cui si è dimezzato circa un terzo del loro valore), registrano un primo trimestre 2023 entusiasmante e sovraperformante. Come avranno reagito i mercati alle recenti débâcle bancarie, quindi? Con un vero e proprio rally in salita, in altri termini una forte ascesa dei titoli tech. Basti pensare all’indice S&P 500 a +6% il giorno dell’annuncio della bancarotta SVB. Medesimo andamento in territorio positivo è stato innescato istanti dopo l’insorgere di preoccupazioni sulle sorti del colosso di Zurigo. Il settore della tecnologia in campo finanziario è considerato difensivo e avrebbe in qualche modo beneficiato dell’apprensione che le difficoltà nel bancario potessero ripercuotersi sull’economia. Affrontiamo ora il tema dal punto di vista degli investitori: ancora una volta ribadiamo l’importanza di preservare gli stessi comportamenti pianificati in precedenza alle fasi di rialzi o ribassi dei mercati, adeguando qualche dettaglio solo nel caso in cui si fosse già reduci da 10, 15 o 20 anni di investimento, sempre in proporzione/relazione all’età anagrafica e finanziaria personale (ad esempio i pensionati di lungo corso avranno una maggiore esigenza di spendere che non di risparmiare). Costanza, lucidità e lungimiranza premiano.

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Inflazione resistente, crescita resiliente Marzo di rivalutazioni e conferme

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 24.03.2023

L’avvio del 2023 è stato molto positivo per i mercati finanziari. Le proiezioni nel mese di febbraio indicano una maggiore debolezza, a causa principalmente di un nuovo riprezzamento delle aspettative riguardo le future mosse delle Banche Centrali. In altri termini viviamo una fase di rivalutazione: ci si interroga sulla durata o i termini effettivi del restringimento monetario da parte di Federal Reserve e BCE, alla luce dei segnali di resilienza dell’economia nonché di maggior persistenza dell’inflazione rispetto a quanto atteso fino a qualche settimana fa. A tal proposito si confermano le tendenze in discesa della pressione inflazionistica e l’ormai superamento del picco, ma i valori restano comunque elevati. In USA l’indice dei prezzi al consumo a gennaio è calato di poco su base annua (dal 6,5% al 6,4% – sotto le previsioni al 6,2%). Su base mensile lo stesso dato vede un incremento dello 0,5%, condizionato dai costi di energetici e alimentari. L’economia statunitense ribadisce la solida partenza dell’anno. Bene i consumi; riscontri ottimi per le vendite al dettaglio (a +3,0% in un mese, miglior progresso da marzo 2021), risultati discreti per la spesa personale a +1,8%. Il mercato del lavoro rappresenta un fattore trainante, con la creazione di 517mila nuovi posti (invece degli ipotizzati 189mila) e un tasso di disoccupazione ai minimi dal 1969 (3,4%). In Europa l’inflazione, secondo la stima flash di febbraio, segna un rialzo dello 0,8% su base mensile ovvero una discesa trascurabile del dato tendenziale (8,5% dall’8,6% di gennaio). Le pressioni di fondo sono ancora consistenti, in particolare nel comparto dei servizi. Il quadro macroeconomico del Vecchio Continente migliora oltre le prospettive degli analisti. La domanda viene sostenuta dai robusti flussi di consumi e una tenacia della forza lavoro. Colpisce il trend positivo dell’economia italiana, comprovato dal proseguimento del rimbalzo degli indici di fiducia di consumatori e imprese, anche in ambito industriale. Segnali importanti di recupero a seguito delle riaperture post-Covid provengono dagli indici di sentiment delle imprese cinesi, che registrano a febbraio un netto incremento nel settore manifatturiero e dei servizi. I livelli raggiunti oltrepassano addirittura quelli ottenuti nel 2020. Materie prime, il prezzo del petrolio Brent veleggia intorno agli 85 dollari al barile; il gas naturale europeo continua al ribasso, passando dai 59 euro/MWh di fine gennaio ai 47 di fine febbraio. Occhi puntati sulle Banche Centrali e il terminal rate (il punto di arrivo dei tassi). Con tutta probabilità nell’immediato ci aspettano ulteriori 3 rialzi da 25 punti base dalla Fed e intorno ai 150 pb complessivi dalla Banca Centrale Europea. Tra il secondo e il terzo trimestre dovrebbe esserci una pausa, mantenendo per un po’ i livelli raggiunti. Quando un “cambio di rotta”? Ci vorrà del tempo…

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Recessione scongiurata? Prosegue il trend positivo per i mercati finanziari

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 27.02.2023

Il 2023 è iniziato con i migliori propositi, certo, ma le rosee aspettative sono state sostenute dai dati confortanti – il mese di gennaio ha infatti registrato un buon andamento per i principali indici azionari, soprattutto in Europa (Eurostoxx a +9,3%) e nelle economie emergenti (MSCI Emerging Markets a +7,9%); queste ultime trainate dal grande rimbalzo cinese (+12,3% del MSCI China). Tra i listini del Vecchio Continente si sono distinti quello italiano (+12,7% il FTSE MIB) e spagnolo (+10,3%), seguiti da Francia e Germania (+9,5% il CAC40 e +8,6% il DAX). Più contenuto il recupero di Stati Uniti (S&P 500 a +6,3%), Giappone (Nikkei 225 a +4,7%) e Gran Bretagna (+4,3% il FTSE 100). Dopo i picchi record dell’anno appena trascorso il prezzo del gas naturale europeo ha continuato a scendere nelle recenti settimane, riportandosi sotto quota 60 euro/MWh, ovvero sui minimi da settembre 2021. La discesa del gas continentale ha dissipato i timori di una crisi energetica e conseguenti razionamenti o ripercussioni a livello produttivo/industriale; complice in tal senso anche il clima favorevole, con l’inverno mite a determinare un livello elevato di scorte. Da noi restano l’incertezza geopolitica, limitazioni delle condizioni finanziarie delle famiglie e una pressione inflazionistica ancora tenace, elementi che concorrono a frenare spesa e produzione. Eppure ci sono degli elementi che fungono da contrappeso: i “colli di bottiglia” nelle catene produttive si stanno man mano risolvendo, i salari aumentano e si registra un’ottima tenuta del mercato del lavoro. Poi risulta comunque migliore delle attese (-0,1%) la modesta crescita a +0,1% del PIL nell’Eurozona. Tornando all’inflazione, a gennaio per il terzo mese consecutivo è proseguito il calo del valore complessivo, sino all’8,5% dal picco di 10,7% toccato ad ottobre. Un esito tuttavia da imputare principalmente alla succitata discesa dei prezzi energetici, non è un caso che il dato core si attesti stabile sulla cifra record del 5,2%. Da qui l’approccio implacabile della BCE, che nella riunione datata 2 febbraio annuncia l’innalzamento dei tassi di riferimento di ulteriori 50 punti base e mostra l’intenzione di attuare una mossa simile anche nel meeting di marzo. Cautela. In USA il presidente della Federal Reserve Jerome Powell ha riconosciuto l’avvio di un processo di disinflazione, pur ribadendo la necessità di maggiori conferme/progressi affinché la Fed possa ritenersi soddisfatta dell’efficacia dei propri interventi. Potremmo riassumere che il recupero evidenziato sino a febbraio è significativo. Sono probabili imminenti pause nel rialzo dei tassi da parte della Banche Centrali. Prematuro risulta parlare invece di tagli e “pivot” [ricordate?]. La percezione degli investitori sul quadro macroeconomico appare quindi decisamente migliorata se rapportata a qualche mese fa. La solida tenuta dell’economia globale e i chiari segnali di decelerazione dell’inflazione sembrano aver sortito effetti sull’umore generale. Con prospettive incoraggianti non resta che attendere inneschi cruciali.

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Duemilaventitré, era ora! L’inflazione cede, la crescita respira

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 26.01.2023

Quello appena trascorso è stato archiviato dagli analisti in ambito finanziario come uno degli anni più complessi della storia. Alla vigilia infatti, dopo gli squilibri innescati dalla pandemia di Covid-19, ci si aspettava un periodo di normalizzazione dei mercati… Eppure il 2022 è risultato eccezionale. Sullo scenario geopolitico ed economico si sono abbattuti “shock”, fra tutti lo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina oppure la complessa gestione pandemica in Cina. Da non trascurare nemmeno l’ulteriore impennata inflazionistica che ha indotto le Banche Centrali di mezzo mondo ad inasprire con polso fermo le proprie politiche monetarie. Di conseguenza molte asset class ne risultano ridimensionate nel valore, basti pensare ai Treasury 10Y con la performance annuale peggiore dal 1788 o l’S&P 500 con il quarto peggior risultato dal 1945! E avremmo segnato dati ancora più eclatanti se non fosse per quei sussulti negli scampoli di 2022. Sul fronte delle materie prime segnaliamo intense oscillazioni nei grafici. Protagonista in tal senso il gas naturale europeo, tracciando un’ascesa senza precedenti con il picco d’agosto sopra i 300 euro/MWh, salvo rientrare a livelli pre-conflitto (merito degli sforzi nel sostituire gran parte delle forniture russe e il raggiungimento di un accordo sul price cap tra i Paesi UE, non da meno il clima invernale finora mite che ha consentito il mantenimento di un elevato livello di scorte). Ma dove c’eravamo lasciati? Nell’ultimo periodo l’inflazione ha iniziato a mostrare segnali di affievolimento, sostenuti dal calo delle materie prime nonché dalla graduale risoluzione degli squilibri nelle catene di fornitura. A dicembre la variazione annua dell’indice dei prezzi al consumo è scesa, in USA al 6,5% (il picco toccato a giugno segnava 9,1%), nell’Eurozona al 9,2% (prima flessione dal 10,6% di ottobre). Le previsioni indicano poi un rientro di circa il 3% entro la fine dell’anno; ciò consentirebbe alle Banche Centrali di moderare il passo dei rialzi dei tassi, viste le recenti riunioni di Federal Reserve e BCE. Nel frattempo la crescita, pur subendo una frenata sostanziale, risulta sorprendentemente resiliente. Negli Stati Uniti è scesa sotto il potenziale ma viene sostenuta dal solido mercato del lavoro e dalla tenuta dei consumi. L’economia del Vecchio Continente, più vulnerabile alla crisi energetica, ha continuato comunque a progredire a buon ritmo. Oltre le aspettative anche l’Italia, con un incremento PIL pari al 3,9% a fine del terzo trimestre. Il succitato rallentamento dovrebbe avere un’entità piuttosto moderata – lo confermano gli indicatori del sentiment delle imprese (considerati importanti anticipatori del ciclo economico) in parziale miglioramento sia a novembre che dicembre. Stando a quanto osservato il 2023 inizia quindi con timidi recuperi e delle evidenze positive, alcune ancora in divenire.

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Prosegue la fase di recupero dei mercati. Si attenua l’inflazione, risorse e prospettive

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 28.12.2022

I dati in ambito macroeconomico pubblicati nell’ultimo periodo hanno sorpreso al rialzo, negli Stati Uniti ma soprattutto in Europa. L’impatto dell’inflazione e la stretta monetaria sono stati in parte controbilanciati dalla resilienza del settore privato nonché dal progressivo allentamento degli shock post-pandemici sul fronte dell’offerta. Al contempo le pressioni inflazionistiche stanno iniziando a mostrare segnali più concreti di attenuazione, prospettando quindi un ammorbidimento delle politiche adottate dalle Banche Centrali. Durante il terzo trimestre la crescita del PIL nell’Eurozona risulta ancora positiva e superiore alle attese (+0,2%); un andamento particolarmente buono per Germania (da +0,3% a +0,4%), per il contributo oltre le aspettative dei consumi privati o degli investimenti fissi. Persino meglio fa l’Italia con +0,5% (stime allo 0%). Questo dimostra l’elevata capacità di risposta dell’economia europea alla crisi energetica e al rialzo dei tassi, merito della liquidità accumulata in pandemia, unita al buon andamento del mercato del lavoro e ai supporti fiscali governativi. È interessante riflettere sugli indici per loro natura anticipatori del ciclo economico, come quelli relativi al sentiment di imprese e consumatori. Ad esempio il PMI manifatturiero di novembre, pur restando sotto la soglia di espansione, segna il primo piccolo progresso da gennaio. Salgono poi i sottoindici legati ai nuovi ordini e alla produzione futura. Si scorgono ulteriori miglioramenti dei vincoli sul lato dell’offerta, accorciandosi i tempi di consegna da parte dei fornitori e alleggerendosi le pressioni sui prezzi. Dal recente picco sono diminuiti i costi energetici, scongiurando il rischio di razionamento del gas per l’inverno corrente. Torniamo all’inflazione… Il mese scorso – per la prima volta da un anno e mezzo – è scesa, al 10% dopo il picco di 10,6%. Il rallentamento più incisivo è avvenuto in Germania e Spagna, marginalmente da noi (12,5% dal 12,6% di ottobre). Oltreoceano appaiono finora indeboliti il settore immobiliare (contratto da mesi di incrementi dei tassi) e la produzione industriale (vedasi la discesa degli indici di fiducia delle imprese manifatturiere). Tuttavia crescono gli ordini di beni durevoli, le vendite al dettaglio e si attenuano gli squilibri nelle catene di fornitura. Le proiezioni sul CPI USA superano le aspettative d’inflazione, passando dall’8,2% di settembre al 7,7% di ottobre. La Banche Centrali stanno mitigando la propria retorica, eppure sembra prematuro parlare di un effettivo cambio di rotta monetario. Si attende il sospirato “pivot”. Dai recenti verbali Federal Reserve emerge la propensione di numerosi componenti del FOMC a rallentare il ritmo dei rialzi. E nel Vecchio Continente, come segnalato da Christine Lagarde e dagli altri membri del Comitato Esecutivo della BCE, si ritiene necessario mantenere alta la guardia, sebbene a dicembre potrebbe inaugurarsi la fase meno aggressiva di interventi. Prudenza. A termine di questo 2022 si riesce a intravedere uno scenario costruttivo per il 2023, per quanto molto incerto. Le attuali previsioni dell’OCSE prospettano una crescita globale in rallentamento dal 3,1% di quest’anno al 2,2% stimato per il prossimo, ma ancora positiva in quasi tutte le principali aree geografiche.

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Mercati incerti e volatili, in attesa di un calo significativo dell’inflazione

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 28.11.2022

I dati macro continuano a riflettere un clima di decelerazione dell’economia. L’inflazione resta su livelli elevati, il conflitto in Ucraina prosegue, il restringimento delle condizioni finanziarie permane, così come la politica zero-Covid in Cina. Tali fattori sono però controbilanciati della resilienza di consumi e occupazione, nonché dalle politiche fiscali di supporto attuate dai Governi. Negli Stati Uniti la crescita viaggia sotto il suo potenziale e fa capolino il rischio recessione a fronte della stretta monetaria della Federal Reserve; nonostante questo l’economia si è dimostrata in grado di ammortizzare i colpi a cui è sottoposta, grazie agli ingenti risparmi accumulati dalle famiglie durante la pandemia a sostenere la capacità di spesa. La domanda di lavoratori è elevata (sebbene in leggera diminuzione) e la produzione cresce. Ne consegue un PIL nel 3° trimestre a +2,6% annualizzato, in recupero rispetto ai negativi due trimestri precedenti. Per quanto riguarda gli utili societari la reporting season è apparsa meglio delle attese. La maggior parte delle aziende ha infatti riportato dei risultati superiori alle aspettative, con una crescita media non eccellente ma comunque positiva (+3,4%). Progressi ancora limitati in termini di inflazione. Calo marginale da 8,3% a 8,2%. A farla breve, si muovono lenti passi nella direzione auspicata dalla Fed: gli aumenti dei tassi stanno raffreddando l’economia (soprattutto in alcuni settori sensibili, anzitutto l’immobiliare), di conseguenza si riduce gradualmente il gap tra domanda e offerta di lavoro, che a sua volta dovrebbe tradursi in una decelerazione dei salari e prezzi in generale. E come previsto, nell’ultima riunione del 2 novembre è stato determinato un ulteriore rialzo dei tassi sui fed funds di 75 punti base. I mercati pronosticano un picco dei tassi intorno al 5% nel primo semestre del 2023, seguito poi da alcuni mesi di stabilità. In definitiva, è ancora troppo presto per parlare di tagli. In Europa permane l’annosa questione dei costi energetici a frenare i consumi delle famiglie e limitare le scelte di produzione/investimento delle imprese. Gli indici PMI di ottobre segnano una discesa in territorio di moderata contrazione – più accentuata nel comparto manifatturiero, soprattutto in Germania. Sorprende in positivo la tenuta del PIL nell’Eurozona, con +0,2% nel terzo trimestre. L’Italia si è distinta con una crescita dello 0,5% rispetto allo 0% supposto. Ad ogni modo le stime parlano di recessione europea per i prossimi due mesi. Gli effetti saranno comunque di lieve entità in quanto la situazione economica di partenza è piuttosto solida (vedasi il vivace mercato del lavoro e un’occupazione record nel secondo trimestre del 2022), il prezzo del gas è sceso a circa 100 euro/MWh e i supporti fiscali posti in essere riducono [ridurranno] l’impatto della crisi. Nel frattempo l’inflazione del Vecchio Continente sale al 10,7%. Lo scenario economico dovrebbe rimanere debole nei prossimi mesi. Le Banche Centrali non sembrano dar cenni di un cambio rotta decisivo delle politiche monetarie. Si attende con trepidazione il cosiddetto “pivot”…

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Giugno, tra resilienza e decelerazione: la tenuta dei mercati, oltre l’inflazione e l’instabilità

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 28.06.2022

Come evidenziato già nel nostro precedente report, a maggio si conferma l’ipotesi di un rallentamento della crescita economica globale piuttosto che una brusca frenata. E nonostante i numerosi “ostacoli”. A ben guardare i dati emerge, infatti, quanto l’elevata inflazione non stia affatto frenando i consumi. Negli Stati Uniti la spesa si sta espandendo ad ritmo superiore al 3% (nei primi due trimestri), grazie ai redditi da lavoro e al calo dei tassi di risparmio. Anche la produzione industriale prosegue a buon ritmo. Il mercato del lavoro appare poi molto forte, con un tasso di disoccupazione ai minimi storici degli ultimi 50 anni – seppur mostrando primi accenni di riduzione dello squilibrio tra domanda e disponibilità di lavoratori. In Europa, nonostante il considerevole aumento dei prezzi dell’energia e i timori per la guerra russa in Ucraina, è in corso un modesto rimbalzo dell’attività economica, sostenuto dalle misure fiscali di sostegno e dalle riaperture coincidenti con l’avvio della stagione estiva. Nell’ultimo periodo in Cina la flessione dei contagi da Covid-19 sta consentendo al Governo di allentare le misure restrittive e il peggio sembra essere ormai scongiurato, come dimostrato dal pieno recupero degli indici PMI (seppur contratti sotto soglia 50). L’economia globale sta tutto sommato reagendo bene a questa difficile prova di resilienza ma i rischi geopolitici permangono all’orizzonte. L’idea che il conflitto russo-ucraino si prolunghi alimenta il pericolo di gravose interruzioni di forniture energetiche e alimentari. Ergo: ulteriori aumenti nei prezzi delle materie prime. A proposito di pressioni inflazionistiche, negli USA il picco potrebbe essere stato raggiunto a marzo, quando la variazione annua dell’indice CPI ha toccato l’8,5% (8,3% ad aprile). Nel Vecchio Continente la situazione in materia è parzialmente diversa, considerando il non raggiungimento del succitato picco (complice una maggiore dipendenza energetica e un’esposizione diretta alle relative implicazioni belliche); i dati sull’inflazione a maggio hanno sorpreso al rialzo, indicando un’accelerazione all’8,1% nell’area euro. L’ISTAT registra il 6,9% in Italia. Cosa aspettarsi dal recente futuro, allora? È plausibile il proseguimento del trend di decelerazione della crescita, per via della costante erosione del potere di acquisto dovuta all’inflazione, dell’incertezza geopolitica ad est e del restringimento delle condizioni finanziarie da parte delle Banche Centrali.

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La ripresa rallenta ma non si arresta Maggio: crescita globale in ribasso, sorprese dal mercato del lavoro

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 06.06.2022

Il conflitto tra Russia e Ucraina ha innescato non solo una crisi di natura umanitaria ma anche un significativo “shock” economico. E proprio quando le distorsioni generate dalla pandemia di Covid-19 stavano gradualmente attenuandosi, mettendo ancora una volta sotto pressione le catene di fornitura globale – soprattutto se legate all’approvvigionamento di cruciali materie prime. Le ripercussioni sull'inflazione Questi sviluppi generano ulteriori ripercussioni sull’inflazione. Nell’Eurozona la variazione annuale dei prezzi al consumo ha raggiunto il livello record del 7,5% a marzo, con un’elevata incidenza del comparto energetico (escludendolo infatti l’inflazione si fermerebbe al 4,2%). Meno esposti al conflitto gli Stati Uniti, i cui rapporti commerciali e finanziari con la Russia sono molto più limitati. Oltreoceano l’incremento dei costi per l’energia è sostanziale (+32% su base annua nel mese di marzo) ma le pressioni inflazionistiche appaiono estese, sottraendo la componente energetica l’inflazione sarebbe comunque pari al 6,8%. l mercato del lavoro è in pieno recupero Come è facile intuire il potere di acquisto delle famiglie ne risulta contratto, registrando un sensibile calo nella fiducia dei consumatori. Eppure il quadro economico generale si dimostra resiliente. La ripresa è in rallentamento, non inversione di tendenza. Ciò è da attribuire ad alcuni fattori che stanno sostenendo la domanda e controbilanciando in parte l’impatto negativo delle nuove scosse sul piano dell’offerta. In primis, le riaperture post-pandemia stanno stimolando le attività legate ai servizi. Prosegue imperterrito il ciclo di investimenti da parte delle imprese con bilanci mediamente in salute, grazie all’incremento dei profitti/margini registrato negli ultimi mesi. Il mercato del lavoro è in pieno recupero, come dimostrato dal considerevole calo dei tassi di disoccupazione nelle economie sviluppate: 6,8% nel Vecchio Continente, 3,6% negli USA; la domanda di lavoratori da parte delle aziende è salita, in molti casi superando persino i livelli pre-pandemia. Un altro importante elemento di supporto ai consumi in un tale contesto di incertezza è rappresentato dal risparmio delle famiglie accumulato dal fatidico marzo 2020. Non vanno infine trascurate le misure fiscali introdotte dai Governi per mitigare l’impatto negativo dell’aumento dei costi energetici e alimentari.   Gli analisti Al momento lo sguardo degli analisti è rivolto all’evoluzione del conflitto e la sua intersecazione con altre complesse variabili, tra cui il processo di normalizzazione monetaria delle Banche Centrali e l’evoluzione del quadro macroeconomico cinese (alle prese con stringenti lockdown in svariate zone del Paese).   Il Fondo Monetario Internazionale ha quindi rivisto al ribasso la crescita globale nel 2022, portandola dal 4,4% al 3,6%. Contribuiscono alla revisione gli Stati direttamente coinvolti nelle ostilità e l’area europea (con una stima di crescita ora del 2,8%, contro il 3,9% atteso a gennaio). Più ottimista il quadro statunitense.   Guardando in prospettiva, nel 2023 l’economia globale dovrebbe continuare ad espandersi del 3,6%; con una (ri)accelerazione delle economie emergenti a fronte di un rientro su livelli più moderati delle economie avanzate.

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Uno sguardo rivolto a est Tramutare i conflitti in opportunità di cambiamento

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 22.04.2022

Lo scenario economico/geopolitico mondiale dallo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina (il 24 febbraio scorso) è profondamente cambiato. L’Occidente ha imposto forti sanzioni, le quali stanno di fatto estromettendo la Russia dal sistema finanziario e dagli scambi commerciali internazionali con USA, Europa e svariati altri partner. Numerose multinazionali hanno già abbandonato del tutto le attività all’interno del Paese. Buona parte delle riserve in valuta estera della Banca Centrale russa è stata congelata, costringendo quest’ultima ad alzare i tassi d’interesse dal 9,5% al 20% e introdurre pressanti controlli sui capitali nel tentativo di contrastare il deprezzamento del rublo, il deflusso di capitali o l’aumento dell’inflazione. Molte società russe (e lo Stato stesso) sono a rischio di default. Gli effetti sull’economia russa appaiono drammatici quindi. L’attenzione degli analisti si estende alle possibili ripercussioni su scala globale. Sebbene Russia e Ucraina “pesino” insieme soltanto il 2% del PIL globale, i potenziali canali di trasmissione del conflitto sono diversi. Da un punto di vista finanziario i legami tra il governo di Mosca e il resto del mondo sono modesti, se consideriamo che gli investimenti diretti reciproci rappresentano solo l’1-1,5% del totale complessivo. Il Fondo Monetario Internazionale tranquillizza persino sull’eventuale default sovietico, sostenendo che tale occorrenza non comporterebbe alcun rischio sistemico. In ambito commerciale ed energetico la più esposta Europa registra una quota di export verso queste due nazioni per meno dell’1% del PIL. Di contro, i due Paesi rivestono un ruolo più rilevante come produttori ed esportatori di materie prime – basti pensare che sommati essi coprono circa il 30% dell’export globale di farina e il 20% di quello di mais nonché di minerali fertilizzanti. Il Vecchio Continente appare ancora dipendente dalla fornitura di materie prime energetiche e cruciale è il ruolo del Cremlino, con il suo 40-45% delle esportazioni di gas naturale, il 27% di quelle di petrolio e 46% di carbone. Non è un caso che l’Europa non si sia del tutto allineata ad USA e altri Paesi NATO nell’applicazione di un embargo sull’import di prodotti energetici russi (tranne per il poco influente carbone), poiché c’è il rischio che l’aumento dei prezzi energetici si ripercuota su famiglie e imprese, portando a un rallentamento dei consumi e delle attività produttive. La condizione di incertezza sulle prospettive future rimanda alcune decisioni di spesa e di investimento. Nell’Eurozona il sentimentdei consumatori a marzo registra un calo, inficiato dall’aumento dei prezzi dei beni di consumo (in particolare carburanti); migliori delle attese sono apparsi invece gli indici PMI e gli indicatori relativi alle imprese. La crisi in atto, come spesso accade, potrebbe far rallentare alcuni trend (soprattutto nel breve termine) ma allo stesso tempo accelerarne altri, come la sicurezza energetica, cibernetica o militare, la tanto agognata transizione ecologica, stimolare una maggiore cooperazione in Europa, creando significative opportunità per l’economia reale e non solo.

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Marzo, mese pazzo? Inflazione, conflitti e incertezze non fermano la crescita

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 23.03.2022

L’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo ha esasperato il clima generale di forte volatilità e di incertezza del mercato. Il mese di febbraio era stato già abbondantemente condizionato dai timori relativi all’inflazione e dai piani risoluti delle Banche Centrali per contrastarla. Tale rialzo della volatilità si è tradotto in un deciso “ritracciamento” dei mercati: l’indice azionario globale MSCI All Country ha segnato un sonoro -2,6% nel mese. Un calo che coinvolge tutte le macro-aree geografiche ma, come era lecito intuire, a farne le spese sono state soprattutto le azioni russe (crollate a febbraio del -52,7% per l’indice MSCI Russia). La risposta occidentale al conflitto, materialmente concretizzatosi tra il 21 e il 24 febbraio scorso, è stata contenuta dal punto di vista militare, limitandosi alla fornitura di attrezzature all’esercito ucraino e un atteggiamento di difesa formale dei confini NATO. Si è agito però con pesanti sanzioni incrementali nei confronti di Russia e Bielorussia, volte ad isolarne il sistema economico-finanziario. Tali sanzioni colpiscono di fatto tre settori; quello finanziario, impedendo alla maggior parte delle banche russe e a molte delle principali aziende l’accesso ai mercati di capitali internazionali o al sistema SWIFT, nonché bloccando le riserve in valuta estera per la Banca Centrale della Federazione Russa; inoltre sono stati interrotti strategici scambi commerciali e un gran numero di beni da esportare, blindando lo spazio aereo UE a qualsiasi mezzo russo; non risultano indenni nemmeno gli oligarchi, i politici e svariate personalità sovietiche di spicco. La situazione è critica da un punto di vista umanitario/sociale. Le ripercussioni saranno complesse, probabilmente prolungate. In Russia gli effetti della mole di sanzioni appena esemplificate si stanno palesando. La Banca Centrale di Mosca si è trovata costretta ad alzare i propri tassi d’interesse dal 9,5% al 20% e ha dovuto bloccare la vendita di titoli da parte dei non residenti. Ha inoltre richiesto la conversione forzata della maggior parte dei ricavi (80%) in valuta estera delle aziende per limitare i deflussi di capitale e il crollo del rublo. Stiamo assistendo a una letterale corsa agli sportelli. L’inflazione è destinata a impennare. A livello mondiale aggregato l’impatto dovrebbe essere molto ridotto, in quanto entrambi i fronti pesano insieme meno del 2% degli scambi commerciali globali. La problematica risiede nella composizione delle esportazioni dalla Russia, che rappresenta uno dei principali produttori di materie prime energetiche come petrolio e gas naturale, ma anche agricole (metalli, legno e fertilizzanti). L’Europa risulta più esposta degli Stati Uniti non solo geograficamente, in quanto dipendente dall’estero per i beni energetici. Basti pensare che il Cremlino è il principale fornitore per l’Unione Europea di gas naturale (circa il 40% del gas importato), petrolio (circa il 27%) e carbone (circa il 47%)². Nonostante l’attenzione sia catalizzata dagli sviluppi geopolitici del conflitto e i risvolti appaiano incerti, nell’ultimo periodo sono emerse comunque delle evidenze positive. Sul piano economico il netto miglioramento del quadro sanitario ha consentito riaperture graduali, riflettendosi nella ripresa della mobilità e dei livelli di attività. I consumi si dimostrano resilienti e i dati di vendita stupiscono al rialzo. La produzione industriale è persino arrivata a superare i volumi pre-pandemia sia nell’area euro che negli USA.   Per ora, non ci resta che auspicare il ritorno a un clima di distensione.

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