13 post - 18.107 letture


Mercati turbolenti: istruzioni per l’uso

  • 114
  • 0
  • Formazione/Educazione Finanziaria
Scritto il 22.02.2022

I dati dimostrano che sul lungo periodo i mercati tendono a crescere. Perché l’umanità è sempre in moto, alla ricerca di benessere e sviluppo, e genera ricchezza. Qualsiasi crisi abbia attraversato economia e finanza, i mercati si sono sempre risollevati. Altrettanto non si può dire degli investimenti di coloro che non hanno saputo affrontare con metodo gli alti e bassi fisiologici delle borse. Quando la strategia d’investimento è mal costruita, se non del tutto assente, e subentra anche il fattore emotivo, le conseguenze possono essere disastrose. È a causa di questa improvvisazione che vediamo indici con ottime performance e portafogli sottoperformanti. Ecco allora quattro fattori da tenere a mente per evitare di sbagliare. E un consiglio: affidarsi sempre a una consulenza esperta   Guardate il grafico qui sopra: è evidente come negli ultimi anni l’investitore medio abbia gravemente sottoperformato rispetto alle asset class più comuni, superando a malapena il tasso di inflazione. Ma perché l’investitore medio sottoperforma il mercato? Generalmente, perché gli investitori fanno scelte d’investimento sbagliate che danneggiano i loro rendimenti. Decisioni, incluso quando comprare e vendere, spesso guidate da emotività e bias comportamentali. E nonostante non siano mancate, lungo tutto l’arco dell’ultimo quindicennio, battute d’arresto più o meno dolorose per chi ha investito, gli indici hanno sempre mostrato una notevole capacità di recupero. Quindi? Come fare a mantenere la giusta rotta e a superare l’istinto prevaricatore dell’“investitore medio”? Ci sono quattro fattori da tenere a mente. Vediamoli uno per uno. Orizzonte temporale: di medio-lungo periodo e coerente con i nostri obiettivi È inutile negarlo. La maggior parte di noi è cresciuta all’ombra di un modello di risparmio tutto depositi e titoli di Stato, cassettista fino al midollo, con le banconote per le emergenze custodite gelosamente sotto la mattonella. Ma i risparmi fruttano meglio se facciamo chiarezza sui nostri obiettivi, fissiamo orizzonti temporali coerenti e li rispettiamo. Anche perché bisogna tener conto che ogni orizzonte ha la sua strategia e sul medio-lungo termine l’azionario offre rendimenti non paragonabili alle altre asset class. Per capire quanto il lungo termine lavori a favore degli investimenti, vediamo la simulazione effettuata dalla Stern, la business school della New York University. Quanto varrebbero 100 dollari USA investiti nel 1928 poco meno di un secolo dopo, ovvero nel 2021? I numeri della business school parlano chiaro: l’investimento decisamente più premiante sarebbe stato proprio quello azionario, seguito a lunga distanza da quello in obbligazioni societarie (corporate bond). Diversificazione: mettere sempre in portafoglio differenti fonti di rendimento Anche se l’economia mondiale cresce, un singolo Paese, una società o un settore possono sempre perdere valore, come ci conferma la performance registrata negli ultimi tre mesi del 2021 dai vari settori negli Stati Uniti: boom per l’immobiliare, decisamente meno brillanti i communication services. Una situazione che, teniamolo a mente, può ribaltarsi più o meno in ogni momento. Ragion per cui meglio esporsi a più di un settore (così come a più di un’area geografica e strumento finanziario). Al contrario, puntare tutto su una sola area geografica, asset class o emittente è un errore che può costare anche parecchio caro. Si sente spesso dire: meglio mettere le proprie uova in panieri diversi. E anche questo ha senso, se ci pensate: riponendole tutte in una cesta sola, se e quando poi quella cesta cade è decisamente più probabile che si rompano tutte quante. Ma c’è una cosa che serve per rendere davvero efficace la diversificazione, ed è il coefficiente di correlazione tra i vari tipi di strumento che si hanno in portafoglio. Questo coefficiente, in sostanza, ci dice se e quanto gli strumenti finanziari si muovono insieme sul mercato. Il suo valore può variare tra -1 e 1: • una correlazione positiva significa che i due strumenti si muovono sul mercato nella stessa direzione, e quando uno sale (o scende) l’altro fa lo stesso; • una correlazione negativa vuol dire che i due strumenti si muovono seguendo direzioni opposte, quindi se uno sale, l’altro scende (e viceversa); • quando il coefficiente oscilla attorno allo zero, abbiamo di fronte una sostanziale indipendenza. Per farla breve, il coefficiente di correlazione ci aiuta a individuare il giusto mix di strumenti da mettere in portafoglio, al fine di costruirne uno ben diversificato. Conoscere il proprio profilo di rischio: altra regola essenziale per investire Il profilo di rischio è in sostanza un mix tra possibilità finanziarie dell’investitore, sua propensione a rischiare e obiettivi di guadagno che vorrebbe raggiungere. Ognuno crede di conoscere il suo: ma è davvero così? Di fronte a mercati che vanno bene, non sono pochi gli investitori che credono di poter tollerare un maggior grado di rischio, mentre quando i mercati scendono si riscoprono tutti più prudenti. Ma alzare o abbassare in continuazione l’asticella della propria tolleranza al rischio non aiuta a proteggere il patrimonio. Perché se si è spaventati quando tutti sono spaventati ed euforici quando tutti sono euforici, si finirà per vendere ai minimi e comprare ai massimi, cosa che di certo non genera rendimenti soddisfacenti nel lungo periodo e porta alla sottoperformance che abbiamo visto inizialmente. La trappola dell’emotività: vendere sulle cattive notizie e comprare sulle buone Il che ci conduce al quarto fattore decisivo negli investimenti: l’emotività, che ci porta a movimentare il portafoglio più del necessario. È quindi essenziale prendere coscienza anche di questo aspetto. Quando tutto sale, vince l’euforia, quando tutto inizia a scendere, si fa spazio la paura. Ma l’euforia ci porta appunto – come dicevamo – a comprare quando tutti comprano e la paura ci spinge a vendere quando tutti vendono: il che significa comprare con un sovrapprezzo e vendere con uno sconto anche importante. Occorre invece tenere a mente che se le emozioni cambiano spesso e con rapidità, i bisogni finanziari rimangono relativamente costanti: e sono questi ultimi che non dobbiamo dimenticare mai. Troppe cose da tenere a mente? Affidarsi a un consulente finanziario può aiutare Sotto la guida di un bravo consulente finanziario, i rischi di sbagliare si riducono notevolmente. Non solo perché un bravo consulente conosce i mercati, ma anche e soprattutto perché conosce l’investitore e tutti i suoi limiti. Potete anche sforzarvi di tenere a mente tutto quello che ci siamo detti fin qui, ma siamo proprio sicuri che non lo getterete alle ortiche di fronte al prossimo boom o alla prossima correzione dei mercati? Più facile farne tesoro se vi affidate a un esperto che, oltre ad aiutarvi a mettere a fuoco obiettivi, orizzonte temporale e profilo di rischio, resti al vostro fianco per sincerarsi che non abbandoniate la strada tracciata per una qualche scorciatoia che all’inizio sembra conveniente, ma che può costarvi parecchio cara.  

Continua a leggere

L’inflazione corre, ma le soluzioni ci sono

  • 139
  • 0
  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 20.12.2021

Pane, latte, gas ed elettricità: 475 euro in più rispetto al 2020 solo ad ottobre. Ma le ripercussioni di questa fiammata inflazionistica non si fermano qui: gli effetti si vedono anche sui risparmi, come stanno sperimentando sulla propria pelle Giorgio e Silvia. Che però stanno prendendo in considerazione alcuni strumenti per mettere il proprio capitale al riparo dall’inflazione…   L’inflazione continua a salire, in Italia e non solo. Secondo gli ultimi dati Istat, nel mese di ottobre i prezzi sono aumentati del 2,9% su base annua (+0,6% mensile), spinti in alto soprattutto dalle materie prime energetiche. A lanciare l’allarme sulla situazione dei prezzi in Italia ci ha pensato di recente Federconsumatori, che ha calcolato come, a questi livelli di inflazione, i rincari per una famiglia composta da quattro persone si aggirino in media sui 1.027 euro annui, con forti aumenti su settori fondamentali, come quello dei beni energetici e quello alimentare (pane e pasta in primis). Perché il costo liquidità è diventato un rischio troppo alto Anche se non eri più abituato a sentirne parlare, l’inflazione può avere delle ripercussioni molto concrete sul valore reale dei tuoi risparmi. Perché un aumento generalizzato dei prezzi significa che, per acquistare il medesimo prodotto, oggi ci vogliono più soldi di quanti ne servissero ieri. Anche se continui a vedere che la cifra esatta dei tuoi risparmi non cambia, è quella. Il valore reale è un’altra cosa ed è rapportato alla realtà, determinando il tuo potere di acquisto. Poniamo che con 10.000€ tu possa comprare una piccola city car elettrica nel 2021. Passano 5 anni e l’inflazione continua ad aumentare al ritmo del 2,5 annuo, mentre le mini-city car elettriche vanno a ruba sul mercato. Nel 2026 con quei 10.000 euro ti toccherà, verosimilmente, orientarti su un’utilitaria diesel usata e ben poco appetibile. In altre parole: sul tuo conto i 10.000 euro rimarranno 10.000, ma utilizzandoli comprerai meno. Come puoi far sì che il tuo potere d’acquisto rimanga stabile? Facendo fruttare quei 10.000 euro fermi sul conto non remunerato. Ad esempio, investendo. Il caso di Silvia e Giorgio: come bilanciare il rincaro dei prezzi Prendiamo l’esempio di Giorgio e Silvia, una coppia di 52 e 47 anni con due figli adolescenti. Poniamo che ciascuno dei genitori tenga sul suo conto corrente tremila euro – per le emergenze, non si sa mai – più quattromila sul conto comune dove sono domiciliate le bollette e la rata del mutuo, per un totale di diecimila euro parcheggiati su conti infruttuosi. Bene. Poniamo adesso che l’inflazione (ovviamente lo scenario è puramente ipotetico) si mantenga su una media del 2,5% di qui ai prossimi dieci anni – che è un livello ritenuto poco più che fisiologico dalle banche centrali. Cosa succederebbe ai soldi di Giorgio e Silvia in questo decennio? I diecimila euro di Giorgio e Silvia varrebbero, nel 2031, circa 7.500 euro. Quei 2.500 euro mancanti sarebbero stati erosi dall’inflazione – volatilizzati. E non è poco: con quei soldi Giorgio e Silvia avrebbero potuto pagare l’anticipo dell’auto per la figlia Sara che si avvicina ai 18 anni o una vacanza per tutta la famiglia. Bilanciare l’inflazione con un occhio alla sostenibilità Giorgio si è informato, ha parlato con i suoi amici e soprattutto con suo fratello Daniele, professione consulente finanziario: in un periodo come questo è importante mettere al riparo il vero valore dei propri soldi da aumenti inflazionistici troppo alti. Decide così, di comune accordo con la moglie Silvia, di destinare quel gruzzoletto di risparmi lasciati sul conto corrente non remunerato a un fondo d’investimento ESG, il quale contiene azioni e obbligazioni di società attente alle tematiche ambientali, sociali e di corretta gestione aziendale. Un’attenzione alla sostenibilità che non solo fa felice Silvia e la giovanissima Sara, ma che negli ultimi 10 anni ha realizzato performance importanti in Borsa, tanto che nel 2020 e nel 2021 i fondi Esg hanno resistito meglio alla crisi  posta dall’emergenza pandemica, sovraperformando le loro controparti “tradizionali”. Nel 2020, secondo ESG news, l’84% dei fondi Esg europei ha registrato un rendimento positivo. Il top performer è stato un fondo azionario che investe nel settore del climate change, il quale ha reso il 164%, mentre ben nove fondi hanno guadagnato più del 50%. Così, per almeno i prossimi 5-10 anni, i 10.000 di Giorgio e Silvia rimarranno in quel fondo, al riparo dall’inflazione e sulla via della rivalutazione. L’orizzonte di lungo periodo paga Insomma, l’andamento dei prezzi si riflette in modo tangibile sui tuoi risparmi. Ecco perché sarebbe importante fare in modo che i risparmi accumulati maturassero degli interessi almeno pari al tasso di inflazione – per evitare di perderci, se non altro. Ma si può anche ambire a guadagnare qualcosa dal meccanismo degli interessi composti. Spesso si pensa che investire sui mercati ci esponga a rischi troppo elevati, ma come abbiamo spesso precisato, non è così. O meglio, i rischi ci sono, ma non è vero che tenere i soldi “sotto il materasso” (o su un conto corrente, che poi non è tanto diverso) equivalga a non rischiare. Si rischia eccome, lo abbiamo visto: si ha la certezza che quei risparmi saranno erosi dall’inflazione. Sui mercati finanziari, invece, storicamente i risultati sono sempre stati positivi su orizzonti di lungo periodo.

Continua a leggere

Come calcolare il rendimento obbligazionario.

  • 11061
  • 2
  • Obbligazioni - investimenti obbligaz
Scritto il 27.11.2021

La formula per il calcolo del rendimento di un’obbligazione, nella sua versione più semplice, è pari a C/P* 100, dove C è la cedola netta e P il prezzo di acquisto del titolo. Quanto rendono le obbligazioni Le obbligazioni sono titoli di debito, emessi da un soggetto pubblico o privato, che di solito pagano interessi periodici sotto forma di cedola. Quest’ultima può essere di importo fisso o variabile. Esistono, infatti, titoli i cui interessi sono rapportati all’andamento di un parametro esterno come il tasso di inflazione o un saggio di interesse. Sebbene ogni emissione faccia storia a sé, di solito le cedole sono pagate una volta l’anno oppure ogni sei mesi. Ci sono, però, dei bond in circolazione che pagano interessi ogni tre mesi. Nonostante la cedola sia la forma più nota di interesse, alcuni titoli ne sono privi. È il caso, ad esempio, degli zero coupon bond. Si tratta, in questo caso, di titoli aventi durata breve o media la cui remunerazione deriva dalla differenza tra il valore di rimborso ed il prezzo di sottoscrizione o di acquisto. Di solito il guadagno di un bond deriva da due elementi: il flusso cedolare, ossia l’ammontare degli interessi periodici il guadagno in conto capitale, ossia la differenza tra il valore di rimborso e quello di acquisto. Un’ obbligazione, in breve, può essere emessa alla pari, sotto la pari o sopra la pari. Il primo caso, quello più semplice, si verifica quando il prezzo di emissione del titolo coincide con il valore di rimborso. In questo caso il rendimento deriverà unicamente dalle cedole pagate, oltre che dal tasso dell’eventuale reinvestimento delle stesse. Tuttavia se il titolo è acquistato sul mercato secondario, dopo la propria emissione, ad un prezzo inferiore al nominale cui verrà imborsato tra “enne” anni, tale differenza rappresenta un’ulteriore forma di guadagno. Essa, però, dovrà essere rapportata al tempo che manca alla scadenza, in modo da arrivare ad ottenere un valore annuale. Se, invece, il prezzo di acquisto supera quello cui il titolo sarà rimborsato, tale differenza andrà a ridurre il rendimento dell’obbligazione in modo corrispondente. Occorrerà, pertanto, dividere la perdita in conto capitale per gli anni di vita residua del titolo al fine di determinare il guadagno dell’investitore. Nel caso in cui il titolo fosse uno zero coupon il guadagno deriverebbe unicamente dal capital gain, a causa dell’assenza delle cedole periodiche. Formula di calcolo del rendimento di un bond Rendimento di un’obbligazione senza capital gain Nel caso più semplice la formula per il calcolo del rendimento di un’obbligazione è data da C/P* 100. C è la cedola annua, mentre P è il prezzo di acquisto. Immaginiamo, per semplicità, di comprare un bond che costa 100 (P), e che verrà rimborsato a 100. Se la cedola annua (C) è del 3%, il rendimento sarà pari a 3/100*100= 3%. L’esempio che abbiamo visto è volutamente semplice. In questo caso, infatti, non abbiamo differenze tra il prezzo pagato ed il valore di rimborso ad alterare il risultato. Il guadagno finale, quindi, dipenderà unicamente dalla cedola. In verità, però, la situazione reale è più complessa. Infatti raramente il prezzo di acquisto di un bond coincide con il valore di rimborso. Alla luce di ciò la nostra formula, che esprime il rendimento immediato, dovrà essere adattata nel modo che vedremo. Il rendimento in presenza di capital gain Immaginiamo, ad esempio, che il prezzo di acquisto sia di 95. In questo caso la cedola andrebbe rapportata ad un valore inferiore rispetto al nominale. Avremmo, quindi, 3/95*100=3,16%. Tuttavia il dato ottenuto non tiene conto del fatto che, alla scadenza, avremo un guadagno aggiuntivo di 5. Esso, infatti, è pari alla differenza tra il valore di rimborso e prezzo di acquisto. Se la quotazione avesse superato 100, al contrario, subiremmo una perdita al momento della scadenza. Inoltre un conto è avere un titolo che scade a 100 tra due anni. Altro discorso è avere un bond che rimborserà il capitale tra 5. La stessa differenza, in breve, dovrà essere divisa per il numero di anni che mancano alla scadenza. Nel nostro caso, ipotizzando un acquisto a 95 e una scadenza tra 5 anni dovremo dividere il guadagno percentuale di 5 per 5 anni. Otterremo così un reddito addizionale dell’1% l’anno che si andrà a sommare al 3,16%, arrivando ad un guadagno del 4,16%. Osservazioni conclusive Il tasso così calcolato non tiene conto di alcuni aspetti importanti. Ad esempio del fatto che le cedole sono tassate al 26% (o al 12,50% se si tratta di titoli di Stato), dei costi bancari e del fatto che gli interessi incassati possono essere reinvestiti. Chi volesse calcolare il rendimento effettivo, tenuto conto di tutte le variabili, potrà usare la formula TIR.X presente su un qualsiasi foglio di calcolo. Sarà sufficiente inserire in una colonna la data di acquisto del titolo, con a lato il prezzo di acquisto con il segno meno (-), seguite rispettivamente dalle date in cui saranno pagate le cedole con gli importi relativi. In breve avremo, nella colonna A, le date rilevanti in cui il titolo è comprato, paga cedole o rimborsa il capitale. Nella colonna B, invece, accanto ad ogni data avremo il flusso di cassa corrispondente. Il primo sarà l’esborso per l’acquisto del titolo. Seguiranno le cedole nette e, infine, il capitale rimborsato più l’ultima cedola. A questo punto si disporrà di tutti gli elementi utili per usare la funzione TIR.X e ottenere il rendimento dell’obbligazione che ci interessa.

Continua a leggere

Una possibile nuova bolla finanziaria?

  • 4041
  • 2
  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 26.10.2021

Bolla finanziaria: cos’è e come si forma La bolla speculativa è l’incremento repentino del prezzo di una determinata attività finanziaria che ne porta le quotazioni a valori insostenibili sulla base dei fondamentali sottostanti. Le bolle speculative si formano periodicamente sui mercati. Spesso, ma non sempre, esse sono bolle azionarie. Tuttavia la storia ci consegna un’ampia serie di bolle finanziarie che vanno dai tulipani agli immobili. Capire cosa sia e come si formi una bolla speculativa ci darà le conoscenze necessarie per comprendere cosa aspettarci oggi. Le fasi di una bolla finanziaria E se i bond fossero in bolla? È possibile estrarre valore dalle obbligazioni?  Affinché si formi una bolla speculativa occorre che vi siano alcune condizioni di base. Anzitutto ci deve essere un ottimismo dilagante che permette l’attecchimento della teoria dei castelli per aria. Questa afferma che gli investitori comprano azioni perché ritengono che, sebbene le quotazioni siano elevate, qualcun altro sarà disposto a comprarle a prezzi più alti. Le bolle speculative, in breve, hanno una forte connotazione psicologica. Esse, infatti, si basano sull’effetto gregge, che innesca un processo emulativo, e sull’avidità che spinge le persone a “gettarsi nella mischia” senza riflettere su cosa potrebbe accadere. Una bolla speculativa, di solito, si sviluppa attraverso queste fasi. Evento scatenante A scatenare la speculazione è un evento, o una serie di eventi, che canalizzano il risparmio verso una certa asset class. Ad esempio nel 2000 la sensazione di una “nuova era” fece esplodere i titoli TMT (tecnologia, media e telecomunicazioni). Nel 1600, invece, l’entusiasmo smodato per i tulipani, arrivati da poco in Olanda dalla Turchia, ne fece esplodere i prezzi. La fiducia smisurata nel potere salvifico delle banche centrali, i bassi tassi di interesse e la liberazione dalla pandemia da COVID-19 potrebbero aver innescato la formazione di una nuova bolla speculativa. Boom Gli investitori iniziano a cercare l’arricchimento facile. Essi proiettano la recente impennata dei prezzi nel futuro, creando un’aspettativa eccessivamente ottimistica (effetto recenza). La salita delle quotazioni diventa oggetto di copertura mediatica. I rialzi creano, per effetto delle curve di retroazione, altri rialzi. Questi, in definitiva, sono generati dai nuovi compratori attratti dalla salita precedente delle quotazioni. Euforia irrazionale Quando le quotazioni sono salite a livelli tali da non trovare corrispondenza nei fondamentali sottostanti, la bolla finanziaria è all’apice. Gli investitori considerano le sole notizie positive, mentre i segnali di un ribasso sono ignorati. Quando il mercato inizia a correggere le persone pensano che si tratti di una caduta normale, cui seguirà un nuovo boom dei prezzi. Panico Un evento esterno, solitamente irrilevante in quanto tale, scatena le vendite. È la fine della bolla speculativa. Gli investitori si svegliano dal torpore e si rendono conto che non ci sarà nessuno “stupido” che comprerà i loro titoli a prezzi più alti. In breve tutti corrono a vendere, facendo scendere le quotazioni oltre il livello giustificato dai fondamentali stessi (overshooting). Una sequenza simile si era osservata nel 1840 in occasione del boom delle ferrovie, nel 1920 per automobili e radio, nel 1950 rispetto ai transistor elettronici e nel 1980 per home computer e biotecnologie. Le conseguenze della bolla speculativa Le bolle azionarie hanno effetti devastanti sull’economia reale. La distruzione di valore creata a causa del crollo delle quotazioni, riduce i consumi. Dato che essi sono una parte importante del reddito nazionale, una bolla finanziaria sovente crea una recessione economica. Lo scoppio di una bolla sovente crea le premesse per quella successiva. Ad esempio le masse di denaro che escono dal mercato azionario gonfiano il mercato dei bond, o quello delle cryptovalute. La distruzione di ricchezza è aggravata dal fatto che gli investitori fuggono nel momento peggiore per poi rientrare quando le quotazioni saranno di nuovo elevate. I segnali premonitori dello scoppio della bolla finanziaria Secondo la Banca per i Regolamenti Internazionali (BIS) ci sono alcuni elementi cui occorre prestare attenzione. Ecco di che si tratta. Mercato obbligazionario e bolle speculative L’enorma massa di liquidità immessa dalle banche centrali ha spinto i rendimenti di molti titoli sotto zero. Gli investitori in fuga dall’obbligazionario si sono riversati sul mercato azionario. Tuttavia le quotazioni sono elevate ovunque. Che fare con i bond?  Se la bolla sui bond dovesse scoppiare i tassi offerti salirebbero immediatamente. Le tensioni che si notano, in tal senso, sono eloquenti. Nel momento in cui le obbligazioni renderanno di nuovo non ci sarà più motivo di tenere i soldi sull’azionario, che con price earning alti non è più competitivo. Ciò potrebbe innescare una reazione a catena. L’invasione dei traders La BIS osserva come, sul mercato americano, sia cresciuta la presenza di investitori “speculativi” attratti dai guadagni a breve termine. In un recente report, in breve, si legge: Segnali rivelatori della crescente attività di questo tipo di investitori sono emersi analizzando i volumi di scambio di azioni e i movimenti di prezzo. I piccoli trader sembrano essere spesso attratti dalla natura speculativa dei singoli titoli, piuttosto che dai vantaggi della diversificazione. Il livello di turnover per Exchange Traded Fund (ETF) che seguonol’S&P 500, ad esempio, in Usa si è appiattito negli ultimi quattro anni, mentre quello per i singoli componenti del paniere ha registrato una tendenza al rialzo nello stesso periodo Bank for International Settlements La distanza tra quotazioni e fondamentali Secondo il report della BIS i piccoli investitori, che stanno spendendo i soldi ricevuti con i sussidi (ndr), non guardano affatto i fondamentali delle società comprate. Ciò porta ad una sovrastima delle prospettive future degli utili, soprattutto per alcuni comparti. La situazione è simile a quella del 2000. Allora, tuttavia, la bolla finanziaria fu “mitigata” dall’assenza delle piazze virtuali e dai social dove le notizie si propagano in fretta, auto alimentando il fenomeno. Conclusioni e linee guida per il futuro Se i mercati finanziari non correggeranno, è probabile che una nuova bolla speculativa si prepari ad esplodere nei prossimi anni. Il persistente basso livello dei tassi di interesse, ed il progressivo rientro dalle politiche espansive, dovrebbe avvenire senza traumi, per lo meno in teoria. Le azioni, quindi, dovrebbero ancora performance bene per i prossimi mesi. Tuttavia se le quotazioni non si raffredderanno è possibile che una notizia negativa funga da detonatore per le vendite. Se queste avvengono in un mercato euforico, dove tutti hanno già comprato, i venditori non troveranno una controparte per le proprie operazioni. Questo potrebbe portare ad una variazione selvaggia dei prezzi (Mandelbrot) e allo scoppio della bolla finanziaria del nuovo secolo. Tuttavia siamo ancora lontani da quel livello. Molto dipenderà da cosa succederà nei prossimi mesi. Una correzione salutare, magari seguita da un periodo di stabilità, potrebbe evitare l’esplosione di una dolorosa e pervasiva bolla azionaria.

Continua a leggere

I destini dell’indice americano sono sempre più dipendenti da pochi Big. Ma chi ha scommesso contro l’S&P 500 è stato sconfitto dai rialzi.

  • 217
  • 0
  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 13.09.2021

L’S&P500 è uno degli indici azionari più importanti in assoluto. Esso, in breve, misura l’andamento del mercato Usa attraverso cinquecento azioni di società a larga capitalizzazione. L’indice copre, pressappoco, il 75% dell’intero tessuto produttivo statunitense. Logico, quindi, pensare che un investimento su un indice così ampio rappresenti una grande diversificazione. Il recente boom dei titoli tecnologici ha alterato profondamente la struttura dell’indice. Poiché esso si basa sulla capitalizzazione, e dato che alcune società sono cresciute di valore a dismisura, il loro peso è aumentato all’interno dell’indice. Un recente studio di JPMorgan ha acceso i riflettori su due aspetti che meritano l’attenzione dell’investitore accorto. Rischio concentrazione I primi dieci titoli dell’S&P 500 rappresentano il 30% circa del totale. Ciò significa che l’indice è molto meno diversificato di quanto si creda. Dal 1 gennaio 2001 al 31 agosto 2021 l’indice di correlazione tra l’S&P 500 ed il NASDAQ è stato dello 0,88 (pari, cioè all’88% circa). Tuttavia se esaminiamo l’andamento della correlazione su base annua notiamo come la stessa sia cresciuta negli ultimi anni: In breve ciò comporta la necessità di monitorare attentamente il mercato Usa. Di fatto investire nell’S&P 500, oggi, implica una grande concentrazione nei soliti noti (Apple, Alphabet, Amazon, Facebook, ecc). In particolare il titolo della mela copre oggi il 6% dell’intero indice. Solo alla settima posizione troviamo un titolo non appartenente al settore finanziario. Si tratta, in breve, della Berkshire Hathaway, cassaforte di Warren Buffett. Il primo titolo bancario, invece, è JPMorgan, ma si trova al decimo posto. Inoltre il peso del titolo sull’indice è di appena l’,2%. Poco, in confronto al 6% di Apple.   Il peso degli utili Gli utili per azione dei primi dieci titoli dell’S&P 500 rappresentano il 34% circa del totale. Ciò implica che eventuali segnali di rallentamento nei profitti aziendali dei big della tecnologia avranno effetti immediati sull’intero indice Usa. Rispetto al passato, quindi, l’S&P 500 è potenzialmente più volatile, nel bene e nel male. Occhi puntati sull’S&P 500 Investire nella borsa Usa oggi significa concentrarsi prevalentemente sulle azioni di società ad alta tecnologia. Ciò può essere fonte di diversificazione apparente. Infatti nel caso in cui si abbia al tempo stesso un ETF o un fondo sul NASDAQ e uno sull’S&P entrambi “insisteranno” sui medesimi titoli. Infine l’S&P 500 è dominato da società i cui fondamentali sono più cari in assoluto. A titolo di esempio il rapporto prezzo/utili dei primi dieci titoli si avvicina a trenta. Al contrario il rapporto di tutte le azioni comprese nell’inidce è di circa 22 (fonte: IlSole24Ore). Questo significa che sia tempo di uscire dall’America? 

Continua a leggere

Riflessioni attuali

  • 312
  • 1
  • Consulenza finanziaria
Scritto il 14.06.2021

L’inflazione fa comodo agli Stati per ridurre il debito. Ma l’investitore farà bene a prendere delle contromisure per proteggere i suoi soldi.   L’inflazione destabilizza i mercati I ribassi dei listini azionari delle scorse settimane dipendono dai timori di un ritorno dell’inflazione. In modo particolare gli investitori temono che un rialzo eccessivo dei prezzi costringa le banche centrali ad un rapido aumento dei tassi di interesse. Il rientro dalle politiche monetarie espansive, in definitiva, metterebbe sotto pressione le borse azionarie come avvenne nel 2013. Tuttavia, al momento attuale, gli investitori sono convinti che l’inflazione sarà un fenomeno passeggero. Se l’inflazione avrà vita lunga l’effetto sui listini potrebbe essere a forma di J. In altri termini un ribasso iniziale delle borse potrebbe essere recuperato da rialzi successivi.   Perché l’inflazione dovrebbe rientrare a breve? Sebbene l’inflazione, per le ragioni che vedremo, rappresenterà un problema per il lungo periodo, nel breve termine essa dovrebbe rientrare. Infatti l’impennata nei prezzi deriva in prevalenza dal fatto che le quotazioni delle materie prime hanno rialzato la testa dopo un 2020 disastroso. Basti pensare, a titolo di esempio, a ciò che accadde al petrolio. Dopo aver toccato il livello zero lo scorso anno, una risalita delle quotazioni era inevitabile. Il rialzo dei prezzi, a giugno 2021, è concentrato e limitato ad alcuni settori: auto a noleggio tariffe aeree turismo ristoranti. Inoltre l’inflazione può significare un’economia forte, in cui la domanda di beni e servizi è in ripresa. Questo potrebbe favorire il mercato azionario. Inoltre una volta che la situazione si sia stabilizzata anche i prezzi dovrebbero tornare a crescere in modo meno impetuoso. Ciò, tuttavia, non significa che l’investitore non corra pericoli.   Inflazione e debito pubblico Le banche centrali, supportando la politica fiscale con l’immissione di un oceano di liquidità, gettano le premesse per un ritorno voluto dell’inflazione. Se il controllo dei prezzi, noto come inflation targeting, è stato l’obiettivo degli istituti negli ultimi 30 anni, nel 2020 qualche cosa è cambiato. Nel simposio autunnale di Jackson Hole, trasmesso in videconferenza, Jerome Powell ha affermato che la Fed sta allontanandosi dall’obiettivo di controllo dei prezzi. In breve l’istituto cerca di supportare la crescita economica, anche se ciò creerà inflazione. Ciò è strumentale ad un consolidamento strisciante del debito pubblico? L’inflazione, di fatto, diminuisce il potere di acquisto del denaro. In pratica essa avvantaggia i debitori che restituiscono meno soldi, in termini reali, di quelli che presero a prestito. Per gli Stati si tratta di un’ottima notizia ma l’investitore dovrà prendere opportune contromisure. A titolo di esempio un tasso di inflazione del 2% dimezzerà l’importo reale del debito pubblico in “soli” 35 anni. Il tutto senza che l’investitore se ne accorga, finendo con il perdere soldi in modo inconsapevole.   Consigli pratici per investire 1 – attenzione alle obbligazioni I bond a tasso fisso e a lunga scadenza sono i titoli più soggetti a perdite per effetto dell’inflazione. Infatti un rialzo dei tassi di interesse, naturale conseguenza di un livello dei prezzi più alto, ne abbatterà il valore. Se l’inflazione toccherà anche solo il 2%, soglia “tollerata” dalle banche centrali, qualunque remunerazione inferiore servirà solo a difendere in parte il potere di acquisto del capitale. Il raggiungimento di un elevato tasso di crescita del proprio portafoglio, pertanto, non potrà essere ottenuto solo dai bond.   2 – investire in strumenti anti-inflazione Ci sono alcune asset class che non possono mancare nel tuo portafoglio per spingerne la redditività. Ecco, in breve, quali sono: Azioni Sebbene la loro reattività nel breve periodo non sia necessariamente legata all’andamento dei prezzi, in quanto beni reali le azioni proteggono da una svalutazione monetaria. Certo, nel breve periodo esse saranno volatili. Tuttavia nel lungo andare il mercato azionario è un buon posto dove cercare protezione. Oro La correlazione tra l’andamento generale dei prezzi e il metallo non è perfetta. L’oro, però, è da sempre considerata la moneta per eccellenza ed una buona riserva di valore. Avere dell’oro in portafoglio, se nella giusta quantità, è un rimedio efficace contro il ritorno dell’inflazione. Bond indicizzati I titoli inflation linked permettono il recupero, al lordo dell’imposizione fiscale, della svalutazione della moneta. Al momento in cui scrivo le quotazioni sono ancora “abbordabili”. Prendi seriamente in considerazione l’acquisto di inflation linked bond, perché salveranno il tuo capitale. Immobili I Real Estate sono un investimento immobiliare fatto attraverso il mercato finanziario. Si tratta di una protezione efficace contro l’inflazione grazie al fatto che il valore delle “cose” (e delle case) probabilmente crescerà in un contesto inflativo. Metti in pratica questi suggerimenti e il tuo portafoglio sarà in gran parte immunizzato per il futuro.

Continua a leggere

I consigli per investire pullulano: banche, consulenti finanziari, blog, media, amici e giornali. Ma pochi sono quelli che funzionano davvero.

  • 81
  • 1
  • Consulenza finanziaria
Scritto il 01.06.2021

Tutti guru con i mercati in crescita Quando i mercati crescono tutti sono bravi a dare consigli sui migliori investimenti finanziari. In definitiva nessuno sarà smentito, fino a che il vento è favorevole. Tuttavia il passato ci ha insegnato ad essere prudenti e guardinghi. L’esplosione della bolla high tech del 2000 è stata amplificata dalle conseguenze dell’attacco terroristico dell’11/9. A distanza di pochi anni è arrivata la crisi dei mutui immobiliari. Infine una terribile pandemia ci ha travolti. Il mio augurio è che i nostri consigli ti siano utili e ti permettano di ottenere risultati diversi e migliori di quelli che hai avuto fino ad ora. Il fatto è che non esistono solo mercati toro. Prima o poi anche gli orsi arrivano. Ed è bene saperli fronteggiare per prosperare e accrescere la propria ricchezza. Consiglio # 1: accetta l’incertezza Il futuro è imprevedibile per tutti. Chi basa le proprie decisioni sulla capacità di conoscere in anticipo ciò che accadrà sui mercati verrà presto spazzato via. Il futuro prevedibile semplicemente non esiste. Per questo motivo il consiglio più importante è di basare la propria strategia di investimento su cosa sappiamo di non sapere, invece di fare affidamento su cosa crediamo di conoscere. Mettere in conto che ci sarà incertezza evita di paralizzare le nostre decisioni di investimento. Non saremo, infatti, più attagliati dal dubbio se sia o meno il momento di investire. Allo stesso modo l’avidità non prenderà il sopravvento su di noi, perché avremmo messo in conto una certa volatilità. Consiglio # 2 : pianifica l’asset allocation L‘allocazione ottimale del proprio portafoglio è l’aspetto cui gli investitori dedicano il minor tempo possibile. Essa, tuttavia, determina il 90% circa dei guadagni che otterremo (o che non avremo). Esistono tre ragioni per cui l’asset allocation è messa in secondo piano. L’incertezza è indigesta Gli investitori preferiscono pensare di essere in grado di prevedere cosa farà il mercato. O si illudono che qualche esperto super pagato sia in grado di farlo al posto loro. Ammettere la nostra ignoranza in rapporto a cosa capiterà in futuro è difficile. Ma paga. Eccesso di fiducia in sé Molti investitori credono che “seguendo” i mercati usciranno prima di un crollo. Oppure ripongono una fiducia eccessiva in quei consulenti che vendono la propria capacità di battere il mercato. Così finiscono per concentrare i propri investimenti, ricordando che i grandi investitori non diversificano. Ma scordano cosa accadde nel 2001 alla Enron, e non solo. Prodottocentrici La scarsa cultura finanziaria degli italiani, insieme con l’informazione pilotata dalle banche, spinge gli investitori a credere che il successo stia nella scelta dei prodotti migliori. Accade così che l’asset allocation diventa il risultato di scelte stratificate nel corso del tempo, e non la base di partenza per investire con successo. Ecco, allora, alcuni consigli per un’allocazione efficace. Per prima cosa ripartisci il tuo capitale tra classi di attivo poco correlate. Ad esempio prendi in considerazione questi investimenti: azioni a larga, media e piccola capitalizzazione, azioni europee ed estere, obbligazioni ad elevato rating, bond high yield e titoli indicizzati all’inflazione. Soprattutto in questo momento di mercato crea un portafoglio a prevalenza di azioni globali. Con i tassi ai minimi investire in sole obbligazioni è pericoloso e poco redditizio. Infine ricorda che l’asset allocation ottimale non deve, per nessuna ragione, dipendere dalle tue aspettative circa il futuro andamento dei mercati. Al contrario basati sul livello di rischio che puoi sopportare e tollerare. E lascia perdere il livello raggiunto dai mercati e tutto il resto. Consiglio # 3: ascolta la tua pancia Si dice che tutte le strade portino a Roma. Allo stesso modo esistono diverse filosofie di investimento che producono rendimenti simili. Tuttavia è importante scegliere quella che più ti fa sentire a tuo agio. Ossia la strategia che ha meno probabilità di venire abbandonata quando le cose andranno male. E stai certo che i tempi difficili arriveranno. Inutile, ad esempio, che tu scelga un approccio basato sull’individuazione del trend se, di fronte ad un ribasso, vorresti comprare ancora per mediare i prezzi. Al contrario se quando i mercati crescono vorresti incrementare le posizioni, “piramidando“, un approccio contrarian basato sul ribilanciamento non funzionerà. Tutto questo ti suona strano?  Per quanto sia controintuitivo, ascolta il tuo stomaco nel momento in cui scegli una strategia. Ma non ascoltarlo nell’implementazione. A quel punto sii freddo e distaccato.

Continua a leggere

Cos’ è un cigno nero?

  • 649
  • 1
  • Consulenza finanziaria
Scritto il 21.05.2021

Nella Londra del 16-esimo secolo l’espressione cigno nero designava un evento impossibile. Poiché tutti i cigni scoperti fino ad allora erano bianchi, si riteneva che non esistessero animali di un colore diverso. Tuttavia la convinzione basata su un procedimento induttivo–deduttivo cadde pochi anni dopo. Nel 1697, infatti, una spedizione olandese guidata dall’esploratore Willem de Vlamingh scoprì un esemplare di cigno nero in Australia. Ciò comportò un cambio di paradigma. In breve l’osservazione dei soli dati passati non permette di escludere che eventi mai visti prima si verifichino in futuro. Se si tratta di mercati finanziari, eventi non noti e non considerati a priori possono produrre risultati disastrosi nei nostri portafogli. Il punto è che il rischio di un portafoglio finanziario è misurato attraverso la deviazione standard. Il modello, in breve, ipotizza che i rendimenti siano distribuiti intorno alla media secondo la curva a campana di Gauss. Ciò implica che l’andamento dei mercati presenta un valore medio positivo, e valori effettivi non troppo distanti da esso. La storia, però, ci mostra una realtà del tutto diversa. I cigni neri passati Negli ultimi venti anni ci sono stati ben tre eventi rari. Si tratta di tre episodi che, nella loro imprevedibilità, hanno avuto conseguenze devastanti per gli investitori. Esaminarli ci aiuterà ad assumere il corretto atteggiamento mentale nei confronti dell’ignoto. In tale modo prenderemo in considerazione l’ipotesi che un nuovo focolaio stia già bollendo sotto la cenere. Attacco terroristico L’11 settembre del 2001 ci fu un attacco terroristico di portata epocale. Dopo lo schianto degli arerei dirottati contro le Torri Gemelle di New York, il mondo entrò nel panico. A crollare non furono solo i mercati azionari, che persero il 55% circa dai massimi precedenti. Al contrario collassò la fiducia nel fatto che il mondo fosse un luogo sicuro. Chi non era preparato a questo tipo di rischio perse davvero molti soldi. La Grande Crisi Nella calura estiva del torrido agosto 2007 accadde qualcosa, laggiù negli Stati Uniti. Qualcosa che avrebbe fatto sprofondare il mondo in una terribile recessione economica, i cui strascichi ed effetti sono tutt’oggi visibili. Per la prima volta sentimmo parlare dei mutui sub-prime. Si trattava di prestiti garantiti dal valore degli immobili, il cui crollo mise a rischio la tenuta del sistema finanziario globale. Il mercato azionario crollò, bruciando i soldi degli investitori inconsapevoli. La Pandemia Globale Mentre il mondo era impegnato a festeggiare il Natale 2019 e l’arrivo del nuovo anno un pericoloso virus stava diffondendosi pericolosamente in Cina. Quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò che eravamo in una pandemia globale, il mercato azionario perse il 30% circa in tre settimane. Le lezioni che ci hanno consegnato i cigni neri Capire il passato ci aiuterà ad essere pronti ad un futuro ignoto. Non sappiamo quale sarà il prossimo evento raro dagli effetti devastanti, ma sappiamo che prima o poi esso arriverà.  1 – l’anormalità dei rendimenti azionari L’osservazione di 29.190 variazioni giornaliere dell’indice Dow Jones porta ad un rendimento medio dello 0,020% ed una volatilità dell’1,07%. Se le variazioni fossero distribuite secondo la curva di Gauss 39 giorni avrebbero avuto performance superiori al 3,22% e 39 giorni perdite superiori al 3,17%. Tuttavia il numero effettivo di variazioni “anomale” è di sei volte superiore: ben 253 giorni in cui l’indice perse di più del dovuto e 208 giorni in cui guadagnò “troppo”. La curva che mostra l’effettiva distribuzione dei rendimenti è asimmetrica verso sinistra ed ha una curtosi elevata. In pratica i mercati hanno mostrato di essere più rischiosi di quanto appaia a prima vista.  2 – le variazioni anomale sono troppo frequenti Mandelbrot definì il fenomeno “Effetto Noè“. Si tratta della tendenza che hanno i mercati di deviare dalla normalità, fino ad esibire delle variazioni selvagge che i modelli di presidio del rischio ignorano. Mentre il rendimento medio giornaliero del Dow Jones era dello 0,020%, il guadagno medio dei migliori 10, 20 e 100 giorni fu dell’11,10%, del 9.37% e del 5,92% rispettivamente. Ovvero 10,4, 8,8 e 5,5 deviazioni standard oltre la media. Al contrario, la perdita media dei peggiori 10, 20 e 100 giorni fu di -10,46%, -8,73% e -5,87%. In definitiva 9,8, 8,2 e 5,5 deviazioni standard sotto la media.  3 – la perdita dei giorni migliori fa decadere la performance Se si fossero persi i 10, 20 e i 100 giorni con i rialzi maggiori avremmo avuto un decadimento della performance rispettivamente del 65%, 83% e 99,7%. Nell’ultimo caso, in particolare, avremmo avuto un valore finale inferiore a quello iniziale.   Tre strategie di difesa contro il prossimo attacco Per fortuna i cigni neri non capitano tutti i giorni. Di solito i mercati finanziari sono un luogo sicuro in cui investire. Per lo meno nel senso che le loro variazioni non sono così “selvagge”. Tuttavia è bene essere pronti a governare l’incertezza. I consigli che seguono saranno particolarmente utili. 1 – corazza il portafoglio contro eventi estremi Non limitarti ad una diversificazione geografica. Anche usare una diversificazione settoriale può non essere sufficiente. Infatti i ribassi colpiscono trasversalmente tutti i Paesi e tutti i settori. Diversifica anche attraverso classi di attivo poco correlate. Ad esempio l‘oro, gli immobili e gli asset alternativi rappresentano una buona forma di protezione contro il prossimo cigno nero. 2 – definisci bene il rischio che puoi sopportare Si tratta di un elemento importantissimo. Solo se ti esponi ai rischi che hai concretamente ipotizzato di subire non correrai a vendere tutto nel momento peggiore. Questa fase è la più delicata di tutto il processo. Essa, infatti, presuppone che tu abbandoni l’idea della prevedibilità dei mercati e impari a convivere con il rischio. 3 – ascolta il tuo stomaco Tra le varie opzioni disponibili scegli la strategia di investimento che più si confa al tuo stomaco, ovvero al tuo modo di essere. Inutile essere un trend folllower se ti piace “mediare” quando i prezzi scendono. Allo stesso modo è inutile essere un investitore contrarian se vorresti comprare quando le cose vanno bene e vendere quando le quotazioni scendono.

Continua a leggere

Bolla a Wall Street?

  • 374
  • 1
  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 05.05.2021

Mentre in Cina sono preoccupati per l’andamento dell’azionario Usa, l’ex capo della Fed di New York, Bill Dudley, è abbastanza sereno. I suoi timori, infatti, sono rivolti per lo più al mercato obbligazionario, le cui quotazioni non sono sostenibili. Tutti, però, condividono lo stesso pensiero: le quotazioni iniziano a mostrare uno scollamento rispetto all’economia reale. Ciò è vero in particolare per il mercato del debito pubblico, drogato dagli stimoli monetari, ma anche per Wall Street. Il modo migliore per risolvere la questione, sapendo esattamente cosa fare, è affidarsi a degli esperti. Le azioni Usa sono sopravvalutate? Molti investitori sono sovrappesati sull’azionario Usa. Essi, in definitiva, sono abbagliati dalle performance passate. Queste, tuttavia, potrebbero non ripetersi nel futuro, il che rende indispensabile una grande diversificazione. Il Buffett Indicator Il rapporto tra la capitalizzazione di borsa e il PIL, noto come indicatore di Buffett, segnala che l’azionario Usa è in una bolla speculativa. Tuttavia due economisti di Invesco, John Greenwood e Adam Burton, ammettono che l’indicatore è impreciso e superato. In primo luogo nell’era della globalizzazione molte aziende con sede negli Usa sono in realtà imprese estere. Ne segue che il confronto tra il loro valore e il PIL statunitense è disomogeneo e privo di significato. Inoltre il valore delle attività sottostanti tende a crescere nel tempo. Infine l’indicatore ignora ciò che succede sul mercato obbligazionario. Se archiviamo l’utilità del Buffett Indicator, chi ci aiuterà a capire se l’azionario Usa è in bolla? Il guru degli investimenti, nonché fermo sostenitore dell’approccio contrarian, Jeremy Grantham, afferma che gli Usa sono in una bolla finanziaria colossale pronta a scoppiare. L’esperto, in sintesi, identifica tre focolai di rischio: 8 indicatori su 10 dicono che il mercato azionario statunitense è in una bolla speculativa a causa di valutazioni più elevate di quanto lo fossero nel 2000; il tasso di crescita delle borse è anomalo. Le quotazioni, infatti, sono schizzate verso l’alto ad una velocità impressionante; si sta diffondendo un comportamento irrazionale (vedi eventi come Game Stop, o l’arrivo in massa dei piccoli investitori durante il periodo del lockdown). Quando crollerà l’azionario Usa? I più timorosi devono tenere presente quanto segue, prima di correre a vendere tutte le azioni americane che hanno in portafoglio. L’esplosione della bolla Ammesso che le azioni siano davvero in una bolla speculativa nessuno sa quando essa finirà. Al contrario gli ultimi anni di un trend rialzista, ci insegna la storia, sono i più redditizi. Inoltre alcuni titoli, protagonisti dei rialzi sono già caduti. Sto parlando, ad esempio, di Snowflake, Tesla, Teladoc, Zoom e Peloton, colpiti da ribassi del 30%. Negli anni ’90 il mercato azionario continuò a crescere prima di scendere. E quando crollò le quotazioni si fermarono su livelli più alti rispetto al passato. Chi attende il crollo potrebbe dover comunque comprare su livelli maggiori degli attuali. Se anche ci sarà un crollo in un futuro indefinito, le autorità pubbliche interverranno a sostegno dei mercati. Il bazooka della Fed, ad esempio, pose fine al ribasso delle borse il 23 marzo del 2020. L’indicatore Excess CAPE yield, elaborato da Robert Shiller, oscilla intorno alla media dell’ultimo decennio: Esso dimostra, in definitiva, che le azioni sono ancora convenienti rispetto ai bond. In sintesi sull’azionario Usa è bene essere neutrali. Pessimisti sì, ma non troppo. Anche perché in finanza le sorprese non mancano mai.

Continua a leggere

La diversificazione geografica conta poco ai fini della performance. Questi due portafogli sono diversi, ma hanno rendimenti del tutto simili.

  • 407
  • 1
  • Consulenza finanziaria
Scritto il 26.04.2021

C’era una volta la diversificazione La diversificazione di portafoglio in generale, e quella geografica in particolare, è uno dei concetti più semplici e fraintesi della finanza. Dietro ad una faccenda banale si nascondono insidie che pochi conoscono. Ad esempio affinché sia efficace, una buona diversificazione deve essere fatta nel modo corretto. Occorre, inoltre, essere consapevoli dei limiti dello strumento. In particolare quando si tratta di suddividere l’investimento tra aree geografiche. Per questo motivo le tecniche usate conducono a risultati spesso simili, a parità di livello di rischio, a dispetto del tipo di investimento fatto. Quella che segue è la comparazione di due diversi portafogli che investono nelle stesse aree geografiche, ma con pesi diversi. Ci si aspetterebbe una differenza sostanziale delle performance. Invece i risultati convergono nel tempo. Perché alla fine l’unica cosa che conta realmente è l’asset allocation, ossia la ripartizione del totale tra azioni e obbligazioni. I limiti della diversificazione geografica Il principale vantaggio della diversificazione sta nella riduzione dei rischi complessivi, grazie alla de-correlazione dei titoli che compongono i portafogli. Tuttavia diversificare non significa restare immuni dai ribassi. Magari fosse così. Quando i mercati finanziari sono oggetto di fenomeni di panico collettivo, tutto scende a precipizio. Ne segue che la diversificazione, in apparenza, serve a poco proprio quando dovrebbe rappresentare un paracadute efficace. La nuda verità è che la diversificazione serve nel lungo periodo, quando gli andamenti delle varie economie e, soprattutto, degli asset class, si muovono in modo asincrono. Portafogli diversi, risultati simili L”investitore dovrebbe concentrarsi sulla scelta ottimale della quota da investire in azioni, trascurando la ripartizione geografica. In definitiva, se si rispettano determinati criteri, portafogli diversi avranno rendimenti simili. Portafoglio Alpha Il primo portafoglio che andiamo ad esaminare è composto nel seguente modo: azioni Europa: 15% azioni globali: 25% azioni mercati emergenti: 10% immobili: 20% titoli di stato: 30%. Caratteristica peculiare è che la parte azionaria è pari al 70% del totale, mentre i bond prendono solo il 30%. Portafoglio Beta Il secondo portafoglio, invece, è assortito in modo abbastanza diverso: azioni Usa: 15% azioni Europee: 25% azioni Far East: 10% azioni Paesi Emergenti: 10% immobili: 5% oro: 5% bond: 30%. Verrebbe da pensare che i risultati ottenuti nel tempo divergano. Invece non è così, come mostra il grafico che segue: Naturalmente il confronto su base annua diverge in alcuni casi: Tuttavia, su periodi, lunghi, i rendimenti tendono a coincidere. Non è un caso. Infatti entrambi i portafogli hanno una quota azionaria pari al 70%. Punti deboli ed obiezioni Prima di concludere, rimarcando l’importanza dell’asset allocation, è necessario fare una precisazione. I portafogli di cui parlo sottendono ad una filosofia ben precisa, ovvero quella secondo cui il miglior investimento è quello che massimizza le probabilità di ottenere guadagni equi nel lungo periodo, in diversi scenari ignoti. In definitiva l’accettazione della “non conoscenza” di ciò che accadrà è la vera forza dell’investitore consapevole. In verità, portafogli “70-30” basati sull’utilizzo dell’indice MSCI World negli ultimi 10 anni hanno ottenuto guadagni superiori. Tuttavia questo approccio risulta dipendente dal passato. La predominanza degli Usa ha fatto sì che l’MSCI World fosse un ottimo indice. Il futuro però potrebbe essere meno generoso con gli Usa. L’investitore accorto farà bene a “spacchettare” l’MSCI World e dare un peso equo alle differenti aree geografiche, senza preoccuparsi troppo della loro suddivisione.  

Continua a leggere

Growth o Value, dove è meglio investire?

  • 179
  • 2
  • Consulenza finanziaria
Scritto il 21.04.2021

Un’azione di una determinata società può essere classificata come “value” o come “growth” a seconda del suo rapporto price/earning, insieme con la maggiore o minore velocità del tasso di crescita del business sottostante. Su periodi di tempo molto lunghi le value stocks sono state più redditizie di quelle growth. Non è sempre così, ovviamente. Non dimenticare, poi, che il value investing è noioso e richiede molta pazienza per apprezzarne i frutti. La cosa importante è che tu scelga lo stile di investimento adatto al tuo modo di essere e di pensare. Solo così hai la ragionevole certezza di non abbandonare la strada intrapresa perdendo gli inevitabili profitti che il tempo ti porterà. Sappi inoltre che non è nemmeno necessario scegliere uno stile in particolare. Puoi ottenere ottimi guadagni semplicemente costruendo un portafoglio diversificato di ETF a basso costo. Che Cosa Sono le Azioni Value? Le value stocks, o azioni value, sono titoli di società che operano in settori merceologici piuttosto stabili, nei quali il tasso di crescita degli utili è limitato. Per questa ragione i titoli presentano bassi multipli di bilancio, in modo particolare modesti rapporti Prezzo/Utili e Prezzo/Valore Contabile. Esse presentano un margine di sicurezza elevato grazie alla stabilità dei profitti aziendali e del numero relativamente modesto di anni per rientrare in possesso della somma investita grazie agli utili prodotti. Nell’ambito dei titoli value è possibile scovare veri e propri affari quando il pessimismo dilagante sui mercati deprime le quotazioni, portando il prezzo di una determinata azione a livelli di Price Earning molto basso. Le azioni Enel, quando la loro quotazione è particolarmente bassa rispetto agli utili, sono un buon esempio di titolo “di valore”. Cosa Sono le Azioni Growth? Le azioni growth sono titoli che presentano una quotazione piuttosto elevata rispetto agli utili prodotti. In occasione delle bolle speculative nella categoria rientrano anche società che di fatto non generano utili, poiché il fatturato è interamente assorbito dai costi di gestione. Gli alti rapporti Prezzo/Utili e Prezzo/Valore Contabile mostrano come gli operatori finanziari siano particolarmente ottimisti circa il futuro andamento della società. Il punto debole sta nel fatto che qualora il tasso di crescita degli utili dovesse rallentare i titoli perderebbero subito di valore. Le growth stocks sono più adatte al trader che all’investitore. Le società relative operano in settori in rapida espansione, in grado di catturare l’immaginario collettivo che le vuole portatrici di una nuova era. Amazon e Netflix, con i loro multipli elevati, fanno parte della categoria. Spesso accade che un titolo growth diventi un’azione value quando il prezzo scende a livelli molto bassi rispetto agli utili prodotti. Quelli sono i momenti migliori per investire in azioni growth. Meglio Investire in Azioni Value o Growth? Il grafico che segue ti mostra l’andamento comparato degli indici MSCI World rispettivamente calcolati sulle azioni Value e sulle Growth dal 1975 ad oggi: Come puoi vedere le azioni Value hanno performato meglio delle growth e ottenuto rendimenti migliori dell’indice MSCI World. Inoltre l’indice MSCI World Value ha una deviazione standard del 16,19% e un total return annualizzato del 4,40%, mentre l’indice MSCI World Growth ha una deviazione standard del 16,29% e un total return annualizzato del 2,19% (Dati storici). Da inizio 2018 a fine anno tuttavia l’indice MSCI Europe Growth ha performato del MSCI Europe Value. Il primo ha perso il 6% mentre il secondo il 9%. Negli Usa l’MSCI Growth in dollari è positivo per il 3% mentre quello value è negativo per circa il 3%. Il 2018 è stato però un anno difficile, guidato dai titoli high tech (tipicamente growth). Escludendo questi i rendimenti sarebbero caduti velocemente. Negli ultimi dieci anni in Europa ha vinto lo stile growth con l’indice di Morgan Stanley in crescita del 100% contro il 40% di quello value. Su periodi di tempo molto lunghi lo stile value è quello più redditizio e al tempo stesso il meno rischioso. E potrà esserlo in futuro qualora la crescita economica rallentasse.

Continua a leggere

LA FORZA DI UN PAC

  • 424
  • 2
  • PAC Piano accumulo capitale
Scritto il 08.04.2021

Innanzitutto che cosa è un Piano di Accumulo? E’ una tipologia di investimento che ci consente di acquistare un particolare strumento finanziario in maniera rateale. Nasce come tecnica d’investimento per permettere anche alle persone che non avevano grossi capitali di crearseli nel tempo attraverso un investimento mensile di una stessa quantità di denaro. Adesso è diventato un modo per investire anche per chi i capitali li possiede già. Questa tecnica serve a differenziare il timing, ovvero la tempistica di entrata a mercato, evitando il c.d. ‘rammarico del giorno dopo’, quella classica spiacevole situazione di essere entrati sui massimi e poi aver visto i mercati scendere. Facciamo un esempio numerico. Ipotizziamo di iniziare un PAC investendo 100€ al mese su un determinato fondo d’investimento. Al tempo T (oggi) una quota del nostro fondo ha un valore di 100€ quindi per cui noi acquisteremo 1 sola quota. Ipotizzando che in T+1 (il mese dopo) il mercato abbia subito un ribasso e che il valore della quota si sia dimezzato, investendo sempre 100€ questo mese saremo in grado di acquistare 2 quote del fondo. Si evidenzia subito un altro punto di forza di questa operatività: il nostro prezzo medio di carico si assesta ad un valore che è più vicino al prezzo minimo. In T+2, a seguito di un rialzo del mercato, il valore di una quota sale a 120€ quindi per cui, questo mese, noi riusciamo a comprare 0,83 quote. I piani di accumulo ben si applicano su mercati dove ci sono oscillazioni importanti (tipicamente quello azionario). Mercati che sul lungo periodo tendono sempre al rialzo, dentro i quali si alternano periodi ribassisti, di stabilità e di rialzo. Ovviamente la logica si applica bene su un arco temporale medio-lungo (nell’esempio è stato sintetizzato a titolo di esempio) Il PAC è efficace sempre ma particolarmente se effettuato poco prima di un ribasso. Può sembrare poco intuitivo ma cercherò di spiegarmi meglio. Se la fase di ribasso avviene subito dopo l’inizio del programma di accumulo si ha il grande vantaggio di avere un periodo di tempo piuttosto esteso durante il quale vado a comprare a prezzi via via decrescenti. Quando il ribasso sarà finito saremo carichi di quote il cui prezzo di carico sarà stato mediato in maniera sempre più prossima a quello che è il prezzo minimo. Il PAC tra l’altro è simmetrico. Nel senso che se il mercato sale anziché scendere io, dal momento che investo sempre la stessa quantità di denaro, comprerò sempre meno quote divenute più costose.  

Continua a leggere

Condividi