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La tassazione dei dividendi delle società semplici.

Scritto il 10.12.2021

Gentili lettori, ben ritrovati, ben ritrovati. Ho ricevuto richieste di approfondimento da parte di alcuni lettori sulla convenienza ad utilizzare una società semplice, come holding capogruppo di società di capitali operative, al fine di beneficiare di una tassazione agevolata sui dividendi distribuiti. Pensando che la mia risposta possa essere utile a più di un lettore, ho strutturato il seguente articolo che ripercorre l’evoluzione della normativa che ha modificato nel corso del tempo il regime impositivo dei dividendi distribuiti alla società semplice. E’ un tema abbastanza tecnico che ho cercato di rendere comprensibile a tutti, utilizzando ove possibile un linguaggio semplice. L'attuale sistema impositivo, così come previsto a seguito del D.L. n. 124/2019, art. 32-quater “Modifiche al regime fiscale degli utili distribuiti a società semplici” ha stabilito l’importante principio secondo il quale i dividendi corrisposti alla società semplice da soggetti IRES (società di capitali) sono esclusi dalla formazione del reddito complessivo per il 95% del loro ammontare. La nuova normativa ha finalmente rimosso una distorsione che penalizzava fortemente l'adozione di tale veicolo societario qualora vi fossero conferite partecipazioni. Oggi, la fiscalità della società semplice è strettamente connessa alla "tipologia" di socio della stessa: soggetto IRES, imprenditore, persona fisica. Il mio parere personale è che la Società Semplice sia un ottimo strumento per la detenzione dipartecipazioni e attività finanziarie; in riferimento a queste ultime, infatti, non dimentichiamoci che se i soci sono Persone Fisiche si potrà continuare ad adottare il regime del risparmio amministrato o del risparmio gestito. Per comprendere l’assunto della legge odierna, dobbiamo partire da qualche anno fa. A tal proposito, ho cercato di riassumere i tre passaggi importanti. La disciplina ante Legge di Bilancio 2018. Prima dell’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2018 (Legge 205/2017) il regime di tassazione dei dividendi percepiti da società semplice era disciplinato dall’art. 47 comma 1 del TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi) in base al quale i redditi percepiti da società semplici concorrevano alla formazione della base imponibile in misura diversa in relazione al periodo di formazione. Più specificatamente i dividendi distribuiti a società semplici risultavano imponibili e imputabili per trasparenza in capo ai soci nella misura del:     40% se formatisi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2007;     49,72% se formatisi con utili prodotti dall’esercizio successivo in corso al 31 dicembre 2007 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2016;     58,14% se formatisi con utili prodotti successivamente al 31 dicembre 2016. In conformità al modello impositivo delle persone fisiche che detenevano partecipazioni qualificate. Pertanto, i dividendi derivanti da partecipazioni qualificate e non avevano sostanzialmente lo stesso trattamento fiscale, ovvero concorrevano alla formazione del reddito complessivo. La disciplina post Legge di Bilancio 2018 La Legge di Bilancio 2018, art.1, commi 999 – 1006, ha apportato modifiche al regime impositivo dei redditi di natura finanziaria conseguiti da persone fisiche non imprenditori, in relazione alle partecipazioni qualificate, introducendo la ritenuta a titolo di imposta sostitutiva del 26% anche su tali dividendi. La modifica normativa è stata effettuata mediante l’abrogazione del comma 1, primo periodo dell’art. 47 TUIR, partendo probabilmente dalla considerazione che tale disposizione, stante l’unificazione del regime fiscale tra partecipazioni qualificate e non, non avesse più ragione di esistere. Considerazione che si è rivelata erronea in quanto l’abrogazione della stessa ha comportato l’integrale imponibilità dei dividendi percepiti da società semplice, ancorché tassati per trasparenza in capo ai soci. La stessa Agenzia delle Entrate ha confermato tale tesi stabilendo l’integrale imponibilità dei dividendi, con l’eccezione dei dividendi da partecipazioni qualificate formatesi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, purché la distribuzione fosse deliberata entro il 31 dicembre 2022. La nuova disciplina fiscale: D.L. n. 124/2019. Art. 32-quater, “Modifiche al regime fiscale degli utili distribuiti a società semplici”. L’impostazione precedente aveva creato importanti problemi di doppia imposizione che sono stati risolti attraverso l’introduzione dell’art.32-quater, D.L. n. 124/2019 (convertito con modificazioni dalla legge n. 157 del 2019 e dal Decreto Liquidità). L'articolo di cui sopra ha introdotto, dal 2020, una nuova disciplina fiscale dei dividendi distribuiti alle società semplici. Tale disciplina consiste in un nuovo specifico regime di trasparenza fiscale, in virtù del quale i dividendi corrisposti a dette società si intendono “percepiti per trasparenza” dai relativi soci, (approccio “look-through”), con conseguente applicazione del corrispondente regime fiscale. Così, si dispone che i dividendi erogati alle società semplici si rendono imponibili presso i relativi soci secondo la disciplina fiscale ad essi riferibile in base alle relative caratteristiche soggettive (persone fisiche non esercenti attività d’impresa, imprenditori individuali, società di persone e soggetti IRES). In parole semplici, significa che è applicabile la stessa disciplina fiscale che si sarebbe applicata nel caso in cui i soci avessero percepito direttamente il dividendo. Ne consegue che, a partire dal 2020 (e salvo specifiche situazioni derivanti da disposizioni transitorie che non saranno qui analizzate), le distribuzioni di utili alle società semplici trovano il seguente trattamento: 1) per la quota “imputabile” a società di capitali residenti, i dividendi sono esclusi per il 95% del relativo ammontare e pertanto imponibili per il 5% del loro importo. Quindi, applicando l'aliquota Ires del 24%, subiscono una tassazione effettiva dell'1,20%; 2) per la quota “imputabile” agli imprenditori individuali e alle società di persone residenti, i dividendi sono esclusi per il 41,86% del relativo ammontare e quindi imponibili per il 58,14% del loro importo, con una tassazione effettiva del socio che dipende dall'aliquota ad esso applicabile; 3) per la quota “imputabile” alle persone fisiche non agenti nell'esercizio dell'attività d'impresa, i dividendi sono assoggettati a ritenuta d'imposta del 26%. E’ evidente che la trasparenza di cui all’art. 32-quater è una nuova forma di trasparenza integrale che fa dipendere il regime fiscale integralmente dal REGIME PROPRIO DEL SOCIO, come se la società non esistesse. Per concludere, allego una tabella che riassume la tassazione dei redditi della società semplice con soci Società di capitali.

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Bonifico ai figli: attenzione alla rilevanza fiscale!

Scritto il 02.12.2021

Gentili lettori, ben ritrovati. Oggi tratterò un tema che ho già affrontato precedentemente, perché purtroppo è sempre più oggetto dell’attenzione indesiderata del Fisco! Mi riferisco ai trasferimenti di denaro effettuati dai genitori ai figli, tramite bonifico bancario. Lo spunto me lo offre la sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria del Piemonte n.773 lo scorso 6 ottobre 2021 perché prende in esame la contestazione da parte del Fisco al contribuente di un maggior reddito derivante da un bonifico fatto, nel caso specifico, dal padre alla figlia, con causale "restituzione". Nello specifico, il caso riguardava una ragazza che, dopo aver beneficiato di un bonifico da parte del padre di 152.000 euro (che peraltro il padre stesso aveva trasferito da un conto intestato all’altro figlio, di cui aveva delega alle operazioni, e che aveva dotato in precedenza della relativa provvista) aveva omesso di fornire la prova che il movimento non fosse, per l’appunto, fiscalmente rilevante. Il ricorso inoltrato dalla contribuente è stato respinto dalla CTR piemontese, determinando di fatto la rilevanza del denaro sul piano reddituale. E, di conseguenza, una tassazione da applicarvi al momento della dichiarazione. La causale utilizzata dal padre nel bonifico “restituzione” non è sufficiente per la Commissione Tributaria a dimostrare il rapporto sottostante, ossia come sostenuto dalla figlia l'originario prestito fatto al padre in mancanza di idonea prova. La dicitura “Fiscalmente irrilevante” va applicata (nel suo concetto, non letteralmente) rigorosamente nel momento in cui si versa denaro sul conto dei propri figli. Sì, perché nemmeno un bonifico effettuato come aiuto da parte di un genitore verso la prole sfugge all’attenzione del Fisco. Specie se non viene fornita la prova, appunto, che tale importo non contribuisca a formare il reddito. In buona sostanza, la sentenza stabilisce che il bonifico dai genitori costituisce reddito e, di conseguenza, va dichiarato. Nella causale, infatti, non solo non compariva la definizione “donazione” ma addirittura era specificato “restituzione”. Per questo, la Commissione Tributaria ha considerato le somme accreditate come possibili redditi non denunciati. Per scongiurare tale ipotesi, l’unica soluzione sarebbe stata l’indicazione specifica che il movimento non fosse fiscalmente rilevante. La figlia, da parte sua, si è difesa sostenendo che si trattava di operazioni che nascevano da altrettanti versamenti in famiglia con riferimento a liquidazioni di attività riconducibili a società diverse di cui erano soci gli stessi componenti della famiglia. Proseguendo la sua difesa, la figlia argomentava che, se non fosse stata accolta la tesi della restituzione di un prestito, si sarebbe dovuto concludere per la liberalità da padre a figlia, liberalità che in quanto tale avrebbe dovuto essere ritenuta indenne da tassazione. Ma la Commissione Tributaria non condividerà neppure quest’ultima tesi sostenuta dalla figlia volta a ritenere tale operazione una donazione, essendo incompatibile con la causale usata, “restituzione” è incompatibile con l’animus donandi. Concludendo: dobbiamo sempre fornire la prova inconfutabile che il denaro ricevuto non sia fiscalmente di rilievo, altrimenti tali movimenti possono essere inquadrati come prove presuntive di ricavi maggiori e dunque operazioni imponibili!  

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Il RISCHIO DI ACCERTAMENTO FISCALE DEI BONIFICI BANCARI EFFETTUATI CON SPIRITO DI LIBERALITA’ SENZA ATTO PUBBLICO.

Scritto il 22.10.2021

Gentili lettori, ben ritrovati. Oggi vi parlo di un tema ricorrente nelle “abitudini” dei clienti: la donazione di denaro effettuata mediante bonifico bancario senza atto pubblico. La Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta sull’argomento con una sentenza storica, la n. 18725 del 27 luglio 2017. Partendo dal presupposto legislativo, art. 782 C.C. che recita “la donazione deve essere fatta per atto pubblico, pena la nullità”, la sentenza in oggetto ha classificato il bonifico di una somma di denaro effettuato per spirito di liberalità, come donazione e come tale è richiesto l’atto pubblico (notaio più due testimoni), pena la NULLITA’. Nullità vuol dire che la donazione non produce gli effetti suoi propri sul piano civilistico, tra donante e donatario, tra eredi, ecc. ma produce effetti (eccome se li produce!) sul PIANO FISCALE! Questo perché la Cassazione con altre sentenze, ultima la n. 6591 del 3 marzo 2021, ha stabilito che la donazione mediante bonifico bancario, in assenza di atto pubblico, è soggetta alla disciplina fiscale prevista per le liberalità indirette, in quanto produce un arricchimento del donatario. In questo caso, la Cassazione si è allineata ed ha confermato la tesi dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale al di fuori dell’ipotesi della liberalità indiretta registrata volontariamente dal donante, per la quale si applicano le diverse aliquote previste in funzione del rapporto intercorrente tra donante e donatario, (es. bonifico da padre a figlio, aliquota 4% oltre la franchigia di 1 milione), in caso di accertamentol’aliquota da applicare è in ogni caso l’8% , a prescindere dal legame donante/donatario. Perché l’aliquota massima? Perché se effettuo donazioni INFORMALI (cioè senza atto pubblico) non c’è nessuno che assolve agli obblighi fiscali. Viene a mancare la figura del notaio che annota la franchigia consumata ed eventualmente calcola l’imposta di donazione dovuta. Capite dunque che sotto il profilo fiscale viene fortemente penalizzata la mancata registrazione volontaria delle liberalità indirette che non consente di beneficiare delle aliquote ridotte e comporta l’applicazione dell’aliquota massima, l’8%, peraltro con possibilità di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate SENZA LIMITI DI TEMPO. Ma come accade che L’Amministrazione Finanziaria possa procedere ad accertamento in capo al donatario? E’ molto semplice, il trasferimento di denaro effettuato con bonifico bancario (se non riveste la forma dell’atto pubblico) produce un arricchimento “ingiustificato” in capo al donatario e dunque sospetto. Immaginate il padre che effettua un bonifico di 50.000 euro sul conto del figlio, lavoratore dipendente, con un reddito di 30.000 euro all’anno. Questo aumento improvviso ed ingiustificato di ricchezza desta “l’attenzione” dell’Agenzia delle Entrate che rileva una incongruenza tra reddito accertato e quello dichiarato dal figlio, pertanto lo convoca e chiede lumi! Il figlio si giustifica dicendo che la somma incriminata è un regalo del papà, e l’Agenzia notifica un avviso di liquidazione sulle donazioni con riguardo alle liberalità indirette effettuate dal padre ai sensi dell’art. 56 bis, comma 1 e 2, del DLgs. 346/1990 Testo Unico Imposta di Donazione e Successione. L’articolo in questione dice che quando vengono accertate delle liberalità, DIVERSE DALLE DONAZIONI FORMALI, l’Ade può applicare l’imposta di donazione a 2 condizioni (devono sussistere entrambe): Che queste vengano accertate in base alla dichiarazione rilasciata dall’interessato a seguito di accertamento fiscale in corso. Nel nostro esempio, il figlio che si giustifica dicendo che la somma è un regalo del papà. Quando queste liberalità (da sole o cumulate con quelle precedenti) superino la franchigia di 350 milioni di lire. Oggi 1 milione di euro. L’articolo è rimasto tale e quale al 1990, anche se l’imposta di donazione e successione ha subito varie modifiche nel tempo, pensate al governo Berlusconi che l’ha abolita e poi al governo Prodi che l’ha ripristinata. Quando è stato scritto la franchigia vigente era di 350 milioni di lire e l’aliquota massima applicabile era del 7% sulla parte eccedente. La Cassazione ha dato un’interpretazione attuale alla norma, pertanto oggi si paga l’8% sulla parte eccedente la franchigia di 1 milione di euro. La morale di questo mio breve scritto è che spesso i clienti si preoccupano di 1 punto in più o in meno dei rendimenti dei propri investimenti e commettono errori eclatanti nell’eseguire operazioni che sembrano banali, ma che possono avere delle conseguenze giuridiche e fiscali importanti. L’invito che vi rivolgo è quello di scegliere un Consulente che non si preoccupi solo dei vostri risparmi ma abbia a cuore tutto il vostro patrimonio con competenze non limitate al finanziario ma anche al civile e fiscale!

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CONTO COINTESTATO TRA CONIUGI ED APPROPRIAZIONE INDEBITA.

Scritto il 07.10.2021

Gentili lettori, ben ritrovati. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (22.09.2021, n. 25684) mi offre lo spunto per trattare un tema molto “caldo”, che tratto spesso in consulenza con i miei clienti ed a cui ho dedicato dei seminari aperti al pubblico. Il tema è quello delle liberalità indirette, ovvero tutti quei trasferimenti di ricchezza che le persone pongono in essere in modo informale, es. bonifici e conti correnti cointestati. Le conseguenze possono essere piuttosto blande per ciò che attiene alle imposte di successione e donazione, considerate le elevate franchigie di cui godiamo, (almeno fino a quando non interverrà una riforma!) ma piuttosto pesanti per ciò che attiene alle imposte sui redditi. Il caso concreto: conto corrente cointestato tra marito e moglie. Il marito si appropria indebitamente di una somma di denaro prelevata dal conto corrente cointestato ma versata dalla moglie e dunque appartenente esclusivamente alla stessa. Per la Cassazione, tale somma costituisce provento illecito per il marito e l’Agenzia delle Entrate ha diritto a chiedere le imposte sulla somma così illegittimamente prelevata (Irpef evasa!). Come si spiega una tale decisione direte voi, se il conto era cointestato, peraltro a firma disgiunta? Partiamo da un principio ormai sdoganato dalla Cassazione: il denaro depositato su un conto corrente cointestato si PRESUME di proprietà di entrambi, fatta salva la prova contraria. Principio questo contemplato nel nostro Codice Civile, art. 1298. Infatti, può accadere che durante la comunione uno dei due coniugi riceva delle somme di proprietà esclusiva (ad es. compensi professionali, somme derivanti dalla vendita di un immobile non soggetto al regime della comunione) e le depositi sul conto cointestato. In questo caso cointestazione non vuol dire comproprietà! Ciò che rileva, al fine di far sorgere in capo all’altro coniuge un diritto sulle somme cointestate, è lo SPIRITO DI LIBERALITA’ (Animus Donandi) che, ove esistente, è idoneo a qualificare l’atto come DONAZIONE INDIRETTA. In altre parole, l’atto di cointestazione, anche con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito che risulti essere appartenuta ad UNO SOLO dei cointestatari, può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificato e provato la volontà di donare. Per cui, il mero versamento da parte del coniuge di denaro personale sul conto cointestato non è idoneo a fondare una presunzione di appartenenza pro-quota all’altro coniuge. Lo spirito di liberalità, ovvero la volontà di donare, va provato o desunto da circostanze contestuali. In mancanza di tale animus donandi, il denaro continua ad appartenere al soggetto che lo ha conferito ed il cointestatario che lo utilizza per sé commette il reato di Appropriazione Indebita. Tornando al nostro caso concreto, il marito è stato condannato dal giudice civile al risarcimento dei danni subiti dal coniuge per l’arbitraria appropriazione della somma depositata sul conto corrente cointestato, che era stata perciò considerata derivante da FATTO ILLECITO, non essendo stato ravvisato alcun indizio della volontà di donare in capo alla moglie al momento del versamento del denaro di sua esclusiva proprietà. In aggiunta, l’Agenzia delle Entrate ha ripreso a tassazione le somme di cui si è appropriato il marito ai sensi dell’art. 14, comma 4, legge n. 537/1993 che ha incluso nelle categorie di reddito di cui all’art. 6, comma 1, TUIR, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo. Vi invito pertanto a valutare con oculatezza tutti i trasferimenti di ricchezza informali, possibilmente con un bravo consulente.

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DA RISPARMIATORE AD INVESTITORE: LA LIQUIDITA’ PER COSTRUIRE NUOVI MONDI.

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 21.09.2021

Gentili Lettori, ben ritrovati. Si è da poco conclusa l’XI Edizione dell’evento più importante dell’anno per chi, come la sottoscritta, opera nel settore della Finanza: il Salone del Risparmio e desidero condividere con voi alcune riflessioni. Il Salone del Risparmio è il più grande evento del settore, organizzato ogni anno da Assogestioni, per consentire ai vari attori del mercato di fare il punto della situazione, condividere esperienze e nuove idee, aggiornare la propria conoscenza su tematiche normative, fiscali ed operative riguardanti l’industria del risparmio gestito. Il primo e secondo giorno sono riservati agli “addetti ai lavori”, vale a dire che l'ingresso è consentito solo ad operatori di settore, mentre la terza giornata è solitamente aperta anche al pubblico dei risparmiatori. Il titolo dell’evento conteneva già le premesse dei temi importanti che sono stati trattati in questi tre giorni a Milano: “Da Risparmiatore a Investitore: la liquidità per costruire nuovi mondi”. La pandemia, che ha stravolto le nostre abitudini e da cui stiamo uscendo a fatica, ha fatto emergere nuove esigenze, prima fra tutte il tema della sostenibilità che va ricercata anche negli investimenti. Stiamo utilizzando un sistema economico che non è rispettoso né dell’ambiente né delle componenti sociali. Il modello va rivisto e ripensato per evitare che i nostri figli paghino un prezzo troppo alto. Al centro dunque il dibattito su sostenibilità e innovazione, temi chiave del Green Deal europeo e fondamenta della ripartenza dell'economia reale post-pandemia. Ma anche la necessità di trasformare i risparmiatori in investitori, scoraggiando l'uso improduttivo della liquidità e canalizzando il risparmio verso impieghi più produttivi in linea con le aspirazioni di crescita sostenibile. Bellissimo il progetto “Alberi Infiniti”, per testimoniare l'importanza del tema ambientale e l'attenzione che l'industria del risparmio gestito riserva alla sfida ambientale ed al cambiamento climatico. L'iniziativa, promossa da Assogestioni, prevede la costruzione di uno spazio verde di 600 metri quadrati nell'area antistante il suo ingresso. Inoltre, grazie al sostegno di cinque tra i maggiori asset manager operanti in Italia - Amundi, Arca Fondi Sgr, BlackRock, Eurizon e J.P. Morgan Asset Management - e all'adesione al progetto Forestami, il Salone donerà alla città di Milano 625 piante, in grado di assorbire oltre 9 tonnellate di CO2 all'anno. Il Direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, ha evidenziato nel suo intervento il nesso importante tra finanza e risparmio, richiamando i pilastri indicati dalla presidenza italiana del G20 “creazione di nuovi mondi sostenibili, inclusivi e prosperi”. L’obiettivo è quello di trasformare il risparmio in investimenti, innovazione e crescita, ovvero un impiego fruttuoso del risparmio per sostenere la ripresa post-pandemica. Su questo c’è molto lavoro che spetta ai Consulenti Finanziari. Le famiglie italiane hanno un rapporto tra ricchezza e reddito disponibile superiore alla media europea e sono caratterizzate da un basso livello di indebitamento. Con la pandemia il tasso di risparmio delle famiglie italiane è aumentato comprensibilmente a causa delle restrizioni alla mobilità ed ai contatti sociali che hanno ridotto le esigenze di consumo. Questo risparmio forzoso si è accumulato su conti correnti e depositi che a giugno 2021 sono aumentati di circa 145 miliardi di euro rispetto all’anno precedente. I risparmiatori italiani adottano questa strategia di “immobilismo” reputando che essa risponda adeguatamente ad un loro bisogno di sicurezza e la forte avversione al rischio, dettata sia dalla paura che dalla poca conoscenza in ambito finanziario, li induce a preferire soluzioni di “parcheggio” a breve della liquidità, che non offrono alcuna prospettiva di rendimento. Questa situazione può essere mitigata sia dal miglioramento del quadro regolatorio che dall’attività di Educazione Finanziaria svolta dai Consulenti. Mai come oggi il ruolo del Consulente, già da tempo orientato anche ad una funzione sociale, diventa ancora più centrale in un processo di sensibilizzazione delle persone, che hanno bisogno di “capire per fare”. Con il rispetto del profilo di rischio di ciascuno, investire la liquidità in eccesso rispetto a quella detenuta per scopi prudenziali consente di programmare per il futuro e rendere raggiungibili gli obiettivi di vita che comportano un esborso finanziario. La sfida è dunque quella di veicolare questo risparmio privato verso l’economia reale per supportarne la crescita e per evitare che venga eroso dall’inflazione che tende a crescere a livelli più vicini alla normalità. Il nostro governo sta promuovendo iniziative che tutelano maggiormente il risparmio delle famiglie e che possano facilitare l’incontro tra risparmio e opportunità di investimento. L’Edufin, ovvero il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria, ha il compito di programmare e promuovere iniziative di sensibilizzazione ed educazione finanziaria per migliorare in modo misurabile le competenze dei cittadini italiani in materia di risparmio, investimenti, previdenza, assicurazioni. La proposta del comitato Edufin sarà incentrata nel mese di ottobre sul tema del prendersi cura del proprio futuro. Fare scelte finanziarie consapevoli e pianificare il percorso previdenziale per ambire ad un futuro sereno ed un maggiore benessere finanziario.

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LA FISCALITA’ DEGLI STRUMENTI FINANZIARI IN PAROLE SEMPLICI!

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  • Consulenza patrimoniale
Scritto il 07.05.2021

L’intento che mi sono proposta con questo mio breve scritto è quello di far comprendere ai lettori il trattamento fiscale delle attività finanziarie, cosa tutt’altro che facile data la complessità della materia ed i limiti della trattazione in poche righe. Proviamoci! Partiamo dall’entrata in vigore della Riforma Visco, nel 1998. Questa legge ha stabilito un principio fondamentale: i guadagni di carattere finanziario non rientrano tra i redditi soggetti ad IRPEF,ma sono soggetti ad un’Imposta Sostitutiva, che vuol dire in sostituzione dell’imposta per eccellenza, che è l’Irpef. Il Testo Unico Imposte sui Redditi (la Bibbia della legislazione fiscale italiana) classifica tassativamente i redditi di natura finanziaria in due categorie: redditi di CAPITALE e redditi DIVERSI, entrambi tassati con imposta sostitutiva del 26% e del 12,5% (per i titoli di stato). La domanda che sorge spontanea è, perché occorre dividerli in due categorie se sono tassati nello stesso modo? Perché le due categorie di reddito hanno presupposti e natura diversi. I Redditi di Capitale sono quelli derivanti dall’impiego di capitale finanziario, cioè i redditi con cui uno strumento finanziario nasce, i “frutti” del titolo, ad esempio le cedole delle obbligazioni, i dividendi delle azioni, gli interessi, ecc, potremmo dire che fanno riferimento al Codice Isin dello strumento. Sono CERTI, cioè possono essere quantificati, poiché lo strumento finanziario incorpora già al momento dell’emissione, le regole che lo contraddistinguono. Questi redditi non possono essere negativi, ma solo positivi o nulli. I Redditi Diversi sono legati a eventi aleatori, da cui si può ottenere sia un utile che una perdita dipendente dal comportamento dell’investitore e/o dall’andamento dei mercati, come le plusvalenze o minusvalenze realizzate con la negoziazione (cessione o rimborso) di strumenti finanziari. Quindi non riguardano lo strumento finanziario, ma la Persona che compra o vende, cioè riguardano il Codice Fiscale. Sono INCERTI nel tempo (non so quando li realizzerò) e nell’ammontare (non so quanto ci guadagnerò o perderò). Possono essere positivi, nulli o negativi, cioè Plusvalenze o Minusvalenze. Questa classificazione non è solo nozionistica, ma incide direttamente sul tema fiscale, dal momento che le minusvalenze possono essere PRODOTTE attraverso tutti gli strumenti finanziari, mentre, al contrario, possono essere COMPENSATE solo con gli strumenti finanziari che producono Reddito Diverso. Quali sono gli strumenti finanziari che producono Reddito di Capitale? (Art. 44 e 45 TUIR) Gli strumenti finanziari che generano reddito di capitale, e che quindi non sono utili per compensare minusvalenze, sono gli ETF, i fondi comuni di investimento ma anche le cedole delle obbligazioni e i dividendi delle azioni. Quali sono gli strumenti finanziari che producono Reddito Diverso? (Art. 67 – 71 TUIR) Gli strumenti finanziari che generano reddito diverso, e che quindi permettono di recuperare minusvalenze, sono leazioni, le obbligazioni, gli etc e i certificates. La tabella sottostante riassume la tipologia di reddito prodotto dai principali strumenti finanziari e se sono in grado di recuperare minusvalenze:  

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VINCITRICE ASSOLUTA DI CATEGORIA CONSULENZA PATRIMONIALE, PRIMA IN ITALIA

Scritto il 09.04.2021

Gentili lettori e lettrici, oggi voglio condividere con tutti voi un importante traguardo che ho raggiunto. Mi sono classificata VINCITRICE ASSOLUTA DI CATEGORIA CONSULENZA PATRIMONIALE, PRIMA IN ITALIA, nell’ambito dei PFAwards2021! E’ questo un concorso prestigioso che si tiene ogni anno, organizzato da Professione Finanza, società leader in formazione, e che vede partecipanti, i migliori Consulenti Finanziari d’Italia, appartenenti a tutte le banche e reti. Vengono messe alla prova le conoscenze e le competenze di ogni consulente finanziario in materia giuridica, fiscale, finanziaria e patrimoniale. Comprenderete la mia soddisfazione per questo risultato, che premia la passione e lo studio che dedico a questa affascinante materia! I PFAwards sono una fantastica iniziativa nel mondo della consulenza finanziaria, che ho scoperto solo due anni fa. Si tratta di una vera e propria gara tra professionisti che hanno la possibilità di mettere in luce la loro preparazione nell’ambito della categoria di riferimento. E’ una sfida, in primis con sé stessi, poi con i colleghi, che consente di mappare le proprie competenze e soprattutto applicarle ai casi concreti. Perché non è solo una sfida del sapere, ma del saper fare! Ho scelto di gareggiare nell’ambito della Consulenza Patrimoniale ed ho ottenuto il riconoscimento più prestigioso: vincitore assoluto della categoria: PFExpert2021!  Questo straordinario risultato mi rende orgogliosa e consapevole che in questi anni ho lavorato nella direzione giusta per offrire al cliente una risposta di qualità a tutti i suoi bisogni in ambito patrimoniale. Sarà il mio vissuto professionale, ho svolto l’attività di dottore commercialista, prima di approdare alla consulenza finanziaria, ma sono profondamente convinta cheil Consulente Finanziario non può servire al meglio la clientela se si limita a gestire il patrimonio da un unico punto di vista, come faceva in passato, cioè quello finanziario. I clienti richiedono ai loro consulenti assistenza su tutto il loro patrimonio: immobiliare, mobiliare, aziendale e reale e lungo tutto il ciclo di vita: dalla creazione, allo sviluppo, al mantenimento sino alla trasmissione ed alla successiva creazione di nuovo patrimonio. Questo senza dimenticare l’importante attività di tutela personale, familiare e patrimoniale presente in ogni fase del ciclo. In una parola, la Consulenza Patrimoniale! Se foste interessati a seguire la Premiazione in diretta live che si terrà lunedì 12 Aprile, potete scrivermi e vi invierò il link per il collegamento. Grazie a tutti voi!

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LA PAURA IRRAZIONALE DI INVESTIRE!

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  • Finanza Comportamentale
Scritto il 27.03.2021

Oggi dedico questa mia a tutti coloro che “Investire è rischioso, meglio tenere i soldi sul conto corrente”. Come dico sempre attenti a ciò che definite come “rischio”, perché spesso è qualcosa di molto diverso da ciò che pensate. La sicurezza costa, la non conoscenza ancora di più. La notizia più commentata di questi giorni è che FINECO provvederà a chiudere i conti correnti con liquidità superiore a 100.000 euro, perché troppo onerosi per la banca stessa. Non occorre essere dei geni per capirne il motivo: con i tassi negativi, le banche non solo non guadagnano ad avere tanti depositi, ma devono sopportare un costo per versarli presso la Banca Centrale, per cui cercano di disincentivare in tutti i modi questa modalità improduttiva di risparmio tanto amata nel nostro Paese! Negli ultimi 10 anni, 10.000 Euro investiti sul mercato azionario, nella peggiore delle ipotesi hanno generato un rendimento del 5.4% annuo, il che significa che nella peggiore delle ipotesi oggi 10.000 Euro sarebbero diventati circa 17.000. Nello stesso periodo, i soldi non investiti a causa dell’inflazione (in un decennio dove l’inflazione comunque è rimasta ai minimi storici) avrebbero perso circa un 10%, quindi 10.000 Euro oggi sarebbero 9.000 Euro (in termini reali). Negli ultimi 10 anni le persone a cui mi riferivo prima hanno lasciato sul tavolo quasi il doppio del proprio capitale, la mia domanda è a questo punto la seguente: Quanto volete lasciare nei prossimi 10 anni con l’inflazione che molto probabilmente sarà anche più elevata? Oggi il tradizionale portafoglio 60/40 (o 50/50) bond/equity è paradossalmente molto rischioso (per la parte bond). Le obbligazioni (specie di Paesi Sviluppati) hanno vissuto 40 anni di bull market ed i prezzi sono ai massimi storici (quindi i rendimenti ai minimi). La mole di debito globale e la stampa ininterrotta di Moneta ha portato il valore della liquidità e delle obbligazioni in negativo in termini reali (corretti per l’inflazione). Gli economisti ed analisti finanziari spiegano esattamente quello che vado dicendo da mesi ai miei clienti, ovvero state molto attenti a  COSA SIGNIFICA OGGI IL “RISCHIO” PER I VOSTRI INVESTIMENTI. NON È RISCHIO la volatilità (oscillazioni) del mercato azionario. È RISCHIO mettere i vostri soldi (o lasciarli nel caso dei conti correnti) su QUALCOSA CHE DOMANI VI RENDERÀ PIÙ POVERI e su qualcosa che vi permetterà di rientrare del vostro capitale dopo appena 150 anni. La liquidità è a livelli record, nel nostro paese, a fine febbraio, i depositi da clientela residente erano pari a 1.746 miliardi, il 10% in più del dato registrato un anno prima. L’aspetto più incredibile di tutto ciò (e che dovrebbe indurre ad una seria riflessione) è che spesso la motivazione di questa scelta è la PAURA… di perdere i soldi! Si sceglie cioè una PERDITA CERTA per paura della volatilità che, se sfruttata correttamente ed investendo in modo diversificato, ha sempre premiato nel tempo. Questa paura irrazionale di investire fa di noi dei GRANDI RISPARMIATORI E dei PESSIMI INVESTITORI. Le cause delle basse performance degli investitori italiani vanno ricercate appunto nella bassa partecipazione al mercato azionario, in errori nella percezione rischio/rendimento, alla scarsa diversificazione ed eccessiva movimentazione del portafoglio. Per correggere questo approccio non corretto, ritengo sia molto importante, cercare di far capire alle persone l’importanza di essere seguiti da professionisti in grado di supportarci nella scelta di comportamenti virtuosi e dunque performanti. Far capire la differenza fondamentale tra rischio di default e oscillazioni di prezzo è il punto di partenza, perché chi non sopporta la volatilità dell’azionario (correttamente pesato in portafoglio in base al profilo di rischio individuale) dovrà subire la perdita certa di valore della liquidità. P.S. Sulla scia del successo dell’iniziativa dell’anno scorso, Deutsche Bank ha riproposto anche quest’anno (con scadenza 30 giugno) la campagna INVESTI CON NOI, che prevede l’erogazione di un BONUS dell’1% sulle somme che i clienti decideranno di trasferire (da altre banche) o investire ex novo con noi, vedi allegato. Potresti approfittarne per scoprire una consulenza diversa per i tuoi risparmi ed ottenere come regalo di benvenuto una carta prepagata, caricata con la somma che ti verrà regalata dalla mia banca proporzionale al capitale trasferito/investito. Ricordandovi che sono a disposizione di chi volesse condividere un’analisi gratuita del proprio portafoglio, auguro una SERENA PASQUA a tutti.    

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MUTUO, RENDITA VITALIZIA, NUDA PROPRIETA’, PRESTITO VITALIZIO IPOTECARIO, OVVERO COME “MONETIZZARE” LA CASA SENZA VENDERLA.

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  • Consulenza patrimoniale
Scritto il 26.02.2021

Nel corso dell’ultimo anno la pandemia, con la crisi economica che ha portato soprattutto in alcuni settori, ha costretto le persone a trovare delle fonti alternative di reddito, per mantenere inalterato il proprio tenore di vita. Una delle possibilità è quella di monetizzare l’immobile di proprietà che può avvenire utilizzando: il mutuo liquidità, la rendita vitalizia, la vendita della nuda proprietà o l’accensione del prestito vitalizio ipotecario. Il mutuo di liquidità è una particolare forma di finanziamento che permette di ottenere una somma in prestito a fronte della garanzia di un immobile di proprietà. L’importo del finanziamento può giungere fino al 70% del valore e non è necessario dichiarare le modalità di impiego della quota ricevuta. Questo strumento viene usato più frequentemente quando il soggetto richiedente abbia la necessità di dover affrontare una spesa ingente, ma sia anche in grado di far fronte al rimborso con i propri redditi. La rendita vitalizia è un contratto con il quale un soggetto (vitaliziante) si obbliga a corrispondere ad un altro soggetto (vitaliziato) una prestazione periodica, normalmente una somma di denaro (la rendita), per tutta la durata della vita del beneficiario della rendita o di una o più persone indicate, in cambio del trasferimento della casa. La rendita può essere costituita a favore di più persone o di un terzo. Il vantaggio della rendita vitalizia consiste, per il vitaliziato, nel potersi garantire per tutta la durata della sua vita (o della/e persona/e da lui indicate) una prestazione vitalizia di denaro, periodica e continuativa, destinando le somme per il soddisfacimento delle proprie esigenze e necessità, ad es. arrotondare la pensione, pagare le spese di gestione della propria casa, eccetera, mentre per il vitaliziante il vantaggio consiste nel diventare proprietario di un bene senza dover pagare il prezzo al momento della conclusione del contratto, dovendo, per contro, corrispondere una rendita periodica, costituendo, pertanto, un indubbio vantaggio per coloro che non dispongono di immediata liquidità e hanno difficile accesso al credito. Con la vendita della nuda proprietà e il mantenimento del diritto di usufrutto, il soggetto cedente può cedere la proprietà del proprio immobile, traendone liquidità immediata, e mantenendo allo stesso tempo il diritto di abitarvi vita natural durante. In pratica viene a crearsi una situazione in cui sullo stesso immobile vengono a coesistere due diritti reali distinti e separati, il diritto di piena proprietà si scinde in due diritti minori: l’usufrutto e la nuda proprietà. L’usufruttuario ha pertanto il possesso dell’immobile. Il nudo proprietario è invece il proprietario dell’immobile che però non può goderne fin quanto dura l’usufrutto. Il nudo proprietario ha quindi in pratica solo una un’aspettativa di poter usare e godere dell’immobile al termine dell’usufrutto.  In caso di due venditori (marito e moglie) è consigliabile stipulare un atto che preveda la clausola di accrescimento reciproco, che consente all’usufruttuario superstite di avere l’usufrutto a proprio favore sull’intero bene. La valutazione dell’usufrutto avviene in conformità a tabelle, con dei coefficienti, redatte periodicamente dal Ministero delle Finanze e che servono per il calcolo delle imposte da applicare all’acquirente al momento del trasferimento, basate sulle aspettative di vita statistica in Italia. È evidente che più il soggetto cedente è anziano tanto più il controvalore incassato sarà alto, perché minore l’aspettativa di vita. Il prestito vitalizio ipotecario è un finanziamento a medio - lungo termine, attraverso il quale un proprietario di età superiore a sessant’anni ottiene un finanziamento da una banca parametrato al valore peritato dell’immobile, mantenendone la proprietà piena. Con questa formula, il mutuatario non è obbligato a corrispondere, durante il suo ciclo di vita, né capitale né interessi (ha comunque una facoltà in questo senso). La scelta se riscattare l’immobile o venderlo sul mercato per saldare il prestito con l’istituto di credito sarà opzionale per gli eredi. Entro 12 mesi dalla morte del mutuatario, la banca potrà vendere l’immobile a un prezzo di mercato, determinato da un perito indipendente, ed estinguere, così, il prestito. Gli eredi, comunque, possono sempre procedere direttamente alla vendita, d’accordo con l’istituto di credito, purché l’operazione si perfezioni entro 12 mesi. Nella prassi, le banche erogano prestiti d’importo variabile compreso tra il 15% e il 50-55% del valore dell’immobile. Tutti questi strumenti presentano vantaggi e controindicazioni, da tenere in debita considerazione, caso per caso.

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LA RIFORMA DEL CATASTO e L’IMPATTO SUL TUO PATRIMONIO!

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  • Consulenza patrimoniale
Scritto il 31.01.2021

Gentili Signori, ben ritrovati. Diceva un vecchio proverbio: UOMO AVVISATO MEZZO SALVATO! Mentre eravamo “distratti” dalle note e tristi vicende del nostro governo, forse ci è sfuggito che con il Provvedimento n. 20143 del 26 gennaio 2021, il Fisco ha provveduto a disciplinare la consultazione degli atti e degli elaborati catastali e ha formulato nuovi criteri per eseguire le visure. IL 1° FEBBRAIOentrerà in vigore il nuovo software dell’Agenzia delle Entrate, chiamato SIT (Sistema Integrato del Territorio), che raccoglierà in un unico archivio digitale tutte le informazioni, dagli atti ai valori catastali, dalle mappe alle immagini satellitari, di oltre 74 milioni di immobili in tutto il Paese. Si tratta di un ARCHIVIO INTEGRATO dove verranno mappati tutti gli immobili. Grazie a questa piattaforma online sarà possibile accedere a tutte le informazioni di tipo fiscale relative ad un determinato immobile. E’ lo strumento (che fino ad oggi mancava) che consentirà di procedere con celerità alla tanto annunciata riforma del Sistema Catastale. Tramite il SIT, infatti, l’Agenzia delle Entrate è in grado di assegnare un livello indicativo del valore di mercato di qualsiasi immobile, utilizzando i dati disaggregati di tutti i rogiti in suo possesso, le rilevazioni di prezzo e sistemi cartografici dettagliati, dei quali è arrivata a dotarsi fino a oggi. Tutti strumenti utili a rendere tecnicamente corrispondenti valori immobiliari e valori fiscali. In parole povere, il valore catastale verrà aggiornato al valore commerciale, abbandonando il vecchio criterio del numero dei vani e passando ai metri quadrati. L’impatto a livello fiscale sarà enorme, poiché la Rendita Catastale costituisce nel nostro sistema tributario, la base imponibile di una lunga lista di imposte e tasse. In questa foto avete un’idea del prelievo fiscale sul “Mattone”, suddiviso nelle varie imposte e tasse. Alcune di queste sono legate al REDDITO (es. Irpef per le case in affitto), altre legate ai SERVIZI ( es. Tasi), altre ancora collegate a TRASFERIMENTI (es. Successioni e Donazioni),  altre semplicemente PATRIMONIALI ( es. Imu). Nel nostro Paese, la ricchezza complessiva degli italiani è composta per il 68% da immobili, distribuiti in tutti gli strati sociali della popolazione. Ebbene, questo patrimonio immobiliare, nei prossimi 35 anni, verrà trasmesso gradualmente agli eredi, i quali si troveranno a pagare, in occasione del passaggio generazionale, le imposte di successione vigenti tempo per tempo, in base alla franchigia (oggi pari ad un milione di euro per coniuge e figli, 100.000 euro per fratelli e sorelle). C’è da dire che oggi l’Italia, oggettivamente, è una sorta di “paradiso fiscale delle successioni”, del tutto disallineato agli altri paesi dell’U.E.. Infatti, mentre in Italia le aliquote vanno dal 4 all’8%, in Francia vanno dal 5 al 40% e per gli altri eredi fino al 60%; in Inghilterra l’aliquota è del 40%, mentre in Germania varia dal 7 al 30% per parenti in linea retta e dal 15 al 43% per fratelli, sorelle, nipoti (dal 30 al 50% per altri soggetti). Le franchigie previste in questi paesi, poi, sono nettamente inferiori a quelle previste in Italia. Però, non sono solo le aliquote a determinare lo status di “paradiso fiscale successorio” del nostro Paese, bensì la BASE DI CALCOLO, ossia il valore attribuibile al patrimonio soggetto a successione e, in particolar modo, quello immobiliare, calcolato in base al valore catastale (numero di vani) e non al valore venale o commerciale (basato sui metri quadri e sulla zona). Lo so che rischio di diventare noiosa, ma l’invito a valutare (fino a che siamo in tempo) la vostra situazione patrimoniale (pianificando le opportune strategie di efficienza fiscale, anche in ottica di trasmissione del patrimonio) fa parte del servizio di consulenza che mi pregio di offrire ai miei clienti. Non solo finanziario, ma protezione del patrimonio, di cui il finanziario costituisce solo una parte.  

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IL RECOVERY PLAN: L’IMPATTO SULLA GOVERNANCE AZIENDALE.

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  • Consulenza patrimoniale
Scritto il 12.01.2021

Il Recovery Plan costituisce la risposta dell’Europa alla crisi indotta dalla pandemia che stiamo vivendo. E’ uno stimolo non solo per una stagione di riforme, ma per ripensare il modello di sviluppo, che dovrà basarsi su un’economia sostenibile non solo ambientale ma anche economica e sociale. La crisi ha messo in discussione alcuni fattori di governance aziendale. La stabilità che si credeva fosse insita nel sistema ha mostrato segni di fragilità, soprattutto per le aziende con limitati flussi di reddito e strutture di capitale non sostenibili. Mai come ora assume importanza una governance solida per preservare il patrimonio e la continuità aziendale, anche in caso di imprevisti. La realtà imprenditoriale italiana è caratterizzata da imprese a conduzione familiare ove spesso si sovrappongono due sistemi: quello della famiglia e quello dell’impresa. Occorrerà sviluppare la capacità di distinguere l’azienda dalla famiglia, poiché se è naturale che i due sistemi si sovrappongono, bisognerà trovare il giusto equilibrio per affrontare i nuovi scenari post Covid. Il più evidente tra questi scenari è che la pandemia ha assegnato un ruolo sempre più importante al livello dimensionale dell’impresa sotto il profilo competitivo. Tutte le operazioni straordinarie, di acquisizione, fusione, conferimento, che facilitino il passaggio generazionale o l’apertura del capitale verso nuovi investitori, potranno essere attuate da un management moderno, solo dopo aver separato organi familiari da organi aziendali. Una delle soluzioni potrebbe essere quella di creare una holding di famiglia per separare la proprietà dalla gestione. La separazione passa, a mio avviso, anche attraverso la creazione di un CdA indipendente dalla famiglia, valutando la competenza più dell’appartenenza, poiché se è vero che la proprietà si tramanda per diritto, la capacità manageriale si acquisisce per formazione. Si dovrà poi definire un accordo di famiglia definendo le regole per la successione nella proprietà. Ci si dovrà preparare ad affrontare l’imprevisto, prevedendo che una parte del patrimonio sia sempre disponibile per poter liquidare le quote dei soci che intendano recedere, che il patrimonio sia frazionato tra i familiari per ridurre i rischi in caso di morte improvvisa di uno di essi. Infatti, se nella fase di avvio dell’attività è giusto accumulare capitale nell’impresa per farla crescere, in seguito occorrerà frazionare il capitale tra i familiari, anche attraverso una attenta politica di distribuzione dei dividendi. Infine, sarebbe auspicabile che le imprese italiane compiano questo sforzo di ristrutturazione patrimoniale, sfruttando le agevolazioni che attualmente la legge offre, dal conferimento di partecipazioni di maggioranza in società holding sino alla normativa sulle rivalutazioni dei beni, di cui l’ultima è contenuta nel D.L. n. 104/2020 che offre l’opportunità alle aziende di patrimonializzarsi a costi contenuti.

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CESSIONE DELL’IMMOBILE CON OBBLIGO DI MANTENIMENTO: PRECISAZIONI.

Scritto il 21.12.2020

A seguito delle richieste di informazioni ed approfondimenti che mi sono pervenute dai lettori di Money Controller, reputo utile aggiungere alcune considerazioni di carattere civilistico e fiscale, in merito all’argomento in oggetto, poiché se è vero che può costituire una valida alternativa alla donazione, è altrettanto vero che, se l’atto non è costruito correttamente, può sconfinare nella SIMULAZIONE, con tutte le conseguenze del caso! Rivediamo cos’è il Contratto di Mantenimento; è il contratto con il quale un soggetto cede la propria casa ad uno degli eredi o ad altri soggetti a condizione che questi ultimi si prendano cura di lui negli ultimi anni della sua vita. In questo caso, il soggetto acquirente non paga il corrispettivo ma si obbliga ad eseguire prestazioni di mantenimento del donante in termini di dare (alimenti, medicinali, vestiario) e di fare (compagnia, assistenza, pulizia della persona e della casa). Questa alternativa alla donazione prevede anche la possibilità di estendere l’obbligo del versamento di una retta ad un istituto per anziani o disabili se il cedente dovesse accedervi. La scelta di stipulare un contratto di mantenimento va ben ponderata poiché il bene oggetto di trasferimento con obbligo di mantenimento non rientrerà nell’asse ereditario, a differenza di quanto accade nella donazione che può essere fatta oggetto di azione di riduzione, da parte dei legittimari lesi nella quota di legittima.  Proprio perché la cessione con obbligo di mantenimento, non scavalca la normativa inerente l’asse ereditario, ogni situazione andrebbe valutata attentamente da un notaio. Una volta che l’accordo è stato raggiunto dalle parti, si formalizza l’atto davanti al notaio alla presenza di due testimoni. Nel contratto devono essere individuati, in modo chiaro specifico e dettagliato, impegni ed obblighi ed una clausola risolutiva espressa che, in caso di inadempimento degli obblighi di assistenza, preveda lo scioglimento dello stesso. Elemento essenziale del contratto è l’ALEA, ossia l’incertezza. In mancanza di tale elemento, il contratto è NULLO per mancanza di causa. L’alea deve essere collegata a due fattori di incertezza iniziale: incerta deve essere la durata della vita del beneficiario ed incerte devono essere le prestazioni in relazione allo stato di bisogno e di salute. La prestazione assistenziale deve pertanto essere suscettibile di subire modifiche nel tempo in ragione di vari fattori non predeterminabili, tra cui quelli inerenti alle condizioni di salute del beneficiato. Diversamente il contratto di mantenimento è nullo per mancanza di causa. Quindi, l’alea presuppone una situazione di incertezza circa il vantaggio economico a favore di una delle parti. Proprio per questo suo carattere di aleatorietà, onde evitare la strumentalizzazione di questa ipotesi contrattuale, occorre che le prestazioni a carico delle parti siano caratterizzate da omogeneità e proporzione. Criteri base per effettuare tale comparazione sono, ad esempio, la rendita generata dall'immobile trasferito comparato al vitalizio erogato periodicamente dall'onerato. La Cassazione ha ribadito con varie sentenze il suo orientamento costante secondo cui nel contratto di mantenimento, caratterizzato essenzialmente dall’incertezza delle prestazioni, l’individuazione di detto elemento richiede una comparazione effettiva delle prestazioni, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione, con riferimento al momento di conclusione del contratto. Tradotto in termini concreti: il contratto di mantenimento è valido a condizione che il proprietario dell’immobile non sia, al momento della cessione, prossimo alla morte sia per età che per condizioni di salute. In questo caso, si verificherebbe una sproporzione tra le due prestazioni contrattuali (la cessione dell’immobile da un lato, l’assistenza per un brevissimo tempo dall’altro), sproporzione che renderebbe nullo il trasferimento del bene. Chiarita l’impostazione giuridica, passiamo alla parte fiscale. Con la Risoluzione n. 113/E del 25 agosto 2017, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti sul regime di tassazione dei cd. “Contratti atipici di mantenimento” (in cui rientra a pieno titolo il nostro). In particolare, viene precisato che, in presenza delle specifiche condizioni, deve ritenersi applicabile il regime agevolato di determinazione dell’imponibile per le imposte di registro, ipotecaria e catastale col criterio del prezzo – valore. Tale criterio, introdotto dalla Finanziaria 2006, rappresenta una deroga al sistema ordinario di determinazione della base imponibile previsto dal Testo unico dell’imposta di registro: per le cessioni di abitazioni e relative pertinenze nei confronti di persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, la tassazione dell’atto (quindi, l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale) può avvenire, a seguito di opzione espressa dall’acquirente al notaio e riportata in atto, sulla base del valore catastale dell’immobile, ossia moltiplicando la rendita per determinati coefficienti, diversificati a seconda della tipologia di fabbricato. Ciò, a prescindere dalcorrispettivo pattuito, benché lo stesso vada obbligatoriamente indicato nell’atto.  Il prelievo fiscale, in tal modo, risulta meno oneroso rispetto al criterio generale, secondo cui la base imponibile è rappresentata dal valore commerciale del bene trasferito ovvero, in mancanza o se superiore, dal corrispettivo concordato tra le parti. Nell’atto deve essere altresì dichiarato il valore della controprestazione assunta dal cessionario, determinata in via presuntiva; se poi nel corso dello svolgimento del contratto emerge che il valore effettivo della controprestazione è differente rispetto all’importo precedentemente indicato e ciò comporta l’applicazione di un’imposta maggiore (in quanto il valore della prestazione è superiore al valore del bene ceduto), il contribuente deve denunciare il valore definitivo del corrispettivo. In altri termini, l’imposta è applicata in base al valore dichiarato dalla parte che richiede la registrazione, salvo conguaglio o rimborso dopo la determinazione definitiva del corrispettivo. Ricordo, per concludere, che il beneficiario, se in presenza dei requisiti, potrà godere delle agevolazioni per l’acquisto prima casa.

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