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Azionario Europa vs azionario America

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 17.07.2018

Il price earnings ratio e’ il rapporto tra la quotazione (prezzo di mercato) dell'azione di una società e gli utili per azione. Si esprime anche come rapporto tra la capitalizzazione di borsa dell'emittente e gli utili conseguiti. E' noto sia come price/earnings (P/E) sia come prezzo/utile per azione (P/U). I titoli azionari dell’Europa quotano oggi a sconto di circa il 30% su quelli americani sulla base del rapporto prezzo/utili : si apre quindi un’opportunità per gli investitori di posizionarsi a medio lungo termine in fondi azionari europei ad alto rating. Gli investitori orientati al lungo termine dovrebbero tenere a mente che lo sconto valutativo dell’europa rispetto agli stati uniti non è al momento giustificato e che un giorno sara’ riassorbito ed è, con buona probabilità, destinato ad avere quindi vita medio breve. Con uno sconto del 30 % rispetto all’america l’azionario europa offre un’opportunità per costruire posizioni a lungo termine investendo in comparti gestiti dinamici e testati nel tempo per quel che riguarda il rapporto rischio rendimento ed il rating su piu’ anni. Lo sconto dei titoli azionari europei rispetto agli omologhi statunitensi e’ valutato sulla base del rapporto prezzo/utili (p/e): il differenziale tra le valutazioni azionarie di Europa e Wall Street è al livello più elevato registrato dal 2003 (quando si attestava addirittura vicino al 40 %)….. Le aziende che pubblicano risultati di bilancio superiori alle attese si moltiplicano e ci si aspetta un incremento medio dei profitti del 10-12% nel 2018, dopo che nel 2017 l’aumento era stato del 15 per cento. Dal punto di vista della politica monetaria ,mentre negli Stati Uniti la Federal Reserve sta procedendo sulla strada del graduale aumento dei tassi, la Bce nell’eurozona rimarrà accomodante almeno sino a marzo 2019, stando alle ultime parole del governatore dott. Mario Draghi. Le aziende che generano liquidità in eccesso in un contesto di bassi tassi d’interesse come quello europeo tenderanno probabilmente a incrementare i dividendi e ad effettuare acquisizioni strategiche, con ricadute positive sui listini del vecchio continente quindi nel lungo termine l’appeal dell’azionario europa sembrerebbe davvero concreto e piu’ interessante di quello americano. Al momento pero’molti investitori ritengono che l’europa sia priva di società tecnologiche in rapida crescita, che tenda a risentire del rafforzamento della sua valuta e che rischi di essere diviso da forze populiste-nazionaliste. Nella tecnologia, non è invece difficile trovare società europee di alta qualità con un solido vantaggio competitivo, inoltre il deprezzamento del biglietto verde rispetto alla moneta unica potrebbe subire uno stop ed un euro più stabile potrebbe contribuire a migliorare le percezioni della solidita’ delle azioni europee . Il populismo ( parola che a me non piace assolutamente perche’ denigratoria ex ante e parecchio superficiale nel giudizio delle forze in campo) spinge purtroppo gli investitori internazionali a restare erroneamente diffidenti sull’europa. Quest’anno il successo dei partiti come la Lega ed il Movimento 5 stelle era stato in gran parte previsto, (forse non cosi tanto da alcuni….) ma è platealmente improbabile che il governo costituitosi di recente ponga una minaccia all’esistenza dell’euro, come ribadito dallo stesso ministro prof.Savona e dal premier prof.Conte….semmai la nuova compagine governativa vorra’ rivedere, e lo sta gia’ facendo , i rapporti con gli alleati europei e le reciproche responsabilita’ soprattutto in ambito di politica immigratoria.

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Revisione delle imposte di successione ?

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 13.07.2018

Quotidianamente si discute in Italia del reddito di cittadinanza e della flat tax : ma come potranno essere finanziate queste misure economiche dato che anche da noi, non par vero, la matematica non e’ un ‘ opinione e la Ue giustamente esige l’equilibrio dei conti pubblici delle nazioni facenti parte? Oltretutto da questo punto di vista ina area euro (e non solo) possiamo al momento essere ancora considerati un vero e proprio paradiso fiscale : il coniuge ed i figli pagano oggi il 4 % oltre la franchigia di un milione di euro , e gli altri parenti il 6 % fino ad arrivare all’aliquota massima dell’8 %. In Inghilterra i discendenti diretti pagano il 40 % ed in Germania si paga dal 7 % al 30 % . In Francia le aliquote variano dal 5 % al 45 %. Cosa potrebbe succedere in caso di revisione delle nostre imposte di successione quindi ? Potrebbero alzare le aliquote oppure diminuire od azzerare le franchigie, od entrambe le cose? Il 70 % degli italiani pensa sia opportuno e salutare mettere a frutto i propri risparmi anche in funzione dei futuri eredi pero’ poi dimenticandosi (..portera’ male forse,….) che bisognerebbe anche iniziare a premunirsi per tempo in materia di pianificazione successoria . Si vocifera che alcuni importanti studi di fiscalisti italiani sarebbero al lavoro sul tema successioni per richiesta di ambienti di governo, …..quindi sara’ meglio prevenire che curare …o no ? L’ipotesi piu’ accreditata (sembrerebbe…) e’ un dimezzamento delle franchigie ed un ritocco (al rialzo, ovvio) delle aliquote. In vista di questi probabili prossimi futuri scenari il consulente finanziario , magari unitamente ad un fiscalista-commercialista, dovrebbe cercare di defi nire con il suo cliente la soluzione ideale attraverso il ricorso a contratti di natura assicurativa, donazioni e/o altri atti dispositivi andando quindi ad anticipare il passaggio successorio ed abbattere ex ante il carico impositivo. Sarebbero da evitare le frequenti ed imponenti donazioni indirette ( i cosiddetti “bonificoni”) senza passare dal notaio, onde evitare piu’ che altro le contestazioni prevedibii da parte del fisco italiano e le relative ammende. Sara’ opportuno piuttosto utilizzare in tempo le franchigie esistenti oggi sulla donazione e le agevolazioni sul passaggio generazionale di impresa, come per esempio il patto di famiglia. Non dimentichiamoci poi che nella pianificazione successoria le polizze vita di qualsiasi ramo ( quindi anche le polizze finanziario-assicurative come le unit linked e le multiramo) non pagano tasse di successione e la liquidazione avviene in tempi molto piu’ snelli dando cosi’ ossigeno agli eredi per poter far fronte alle eventuali necessita’ economiche di quella particolare fase. Con il recepimento della nuova direttiva europea in materia di distribuzione assicurativa (IDD = Insurance Distribution Directive) e dei PRIIPs (prodotti di investimento al dettaglio e assicurativo preassemblati) i contratti unit linked e di capitalizzazione perdono lo status di prodotti finanziari e vengono letteralmente definiti “prodotti assicurativi di investimento”. Quando i capitali del “de cuius” ( la persona defunta)sono depositati/investiti presso un intermediario finanziario gli adempimenti per sbloccare le somme sono molti e gli allungamenti dei tempi pure : il passaggio di ricchezza tramite invece un contratto assicurativo non si verifica per successione ma si verifica “iure proprio”, per diritto proprio, beneficio riconosciuto alla polizza vita, e quindi con tempistiche (ed imposizioni fiscali) ben differenti !!”

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Successioni e donazioni

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 11.07.2018

Quella della donazione non può certo essere considerata come una scorciatoia per aggirare la successione, che prevede che, in Italia, una parte di eredità venga comunque assegnata ai cosiddetti legittimari e ad alcuni parenti stretti. La successione legittima e’ la successione regolata dalla legge, quando manca in tutto o in parte il testamento. Successori legittimi sono quei soggetti che, in caso di morte di una persona che non abbia fatto testamento o non abbia disposto di tutti i suoi beni, hanno titolo a succedere in base alle norme. Rientrano in questa categoria il coniuge, i figli, gli ascendenti, i fratelli o i loro discendenti; in assenza subentrano gli altri parenti fino al sesto grado. Invece la successione testamentaria e’ regolata dal testamento, cioè dall'autonomia della persona che muore. La legge riconosce, anche in presenza di testamento, dei diritti ai cosiddetti legittimari e ad alcuni parenti stretti (coniuge, figli e, in mancanza, agli ascendenti) una quota del patrimonio. Se, all’apertura della successione, gli eredi legittimari vengono a conoscenza del fatto che il testatore ha preso delle decisioni relative a quella parte di eredità su cui per legge non aveva alcun diritto, si verifica una lesione della quota di legittima. I legittimari possono quindi intervenire con quella che è definita l’azione di riduzione: l’obiettivo è la reintegrazione della quota di legittima riducendo dapprima quanto disposto dal testamento e, se questo non risultasse sufficiente, le donazioni fatte in vita. Le disposizioni lesive dei diritti dei legittimari avranno piena efficacia fino al momento in cui il legittimario leso non ne dia dimostrazione, quantificando la lesione della propria quota di legittima. È bene ricordare che con la donazione non si possono aggirare le norme che regolano la successione. Donazione e testamento, nella grande maggioranza dei casi, arrivano alla stessa conclusione: dividere il patrimonio tra gli eredi, secondo le volontà del donante o di colui che redige il testamento, nel rispetto della quota di legittima. Per il testamento non serve un notaio, mentre per la donazione è necessario l’intervento del notaio, con costi non proprio irrisori, mentre invece con la redazione di un testamento olografo, cioè scritto di proprio pugno, non è necessario rivolgersi ad un notaio. La donazione, inoltre, non consente di tornare indietro, mentre il testamento può essere modificato o riscritto in qualsivoglia momento. Piu’ precisamente, la donazione non può essere revocata su iniziativa del solo donante, ma è necessario l’accordo di entrambe le parti. La legge prevede, però, una deroga: la revoca può essere richiesta all’autorità giudiziaria, per ingratitudine (quando il donatario abbia commesso reati gravi nei confronti del donante e dei suoi congiunti) e per sopravvenienza di figli. Ciò significa che, fatta eccezione per questi casi, una volta che si sceglie di donare, non si può più tornare indietro. A breve pubblichero' un nuovo articolo sulle imposte di successione italiane.....

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la Volatilita' : tipologie e caratteristiche

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 10.07.2018

La volatilita’ puo’ essere considerata come l’intensita’ della variazione dei prezzi di un’attivita’ finanziaria (titolo, fondo, ecc…)nel corso di un determinato periodo di tempo, ed e’ fondamentale per valutare il rischio di quest’ ultima. Un’ elevata volatilita’ implica potenziali opportunita’ ma segnala anche che l’investitore si espone ad un rischio nel breve periodo piu’ elevato rispetto a strumenti con volatilita’ inferiori. Esistono sostanzialmente due tipi di volatilita’ : la volatilita’ storica, che consiste nella stima della variabilita’ di un certo strumento finanziario, attraverso l’esame storico delle variazioni fatte registrare dai prezzi.La sua ipotesi di fondo e’ che il futuro comportamento della volatilita’ dipendera’ dal suo andamento passato, il che puo’ essere una stima abbastanza attendibile se lavoriamo nel campo della pianificazione finanziaria di medio lungo termine; la volatilita’ implicita, che rappresenta invece l’aspettativa circa i futuri movimenti dei prezzi in base ai prezzi che si formano sul mercato delle opzioni: e’ la volatilita’ che gli operatori professionali si attendono in fututo su un determinato mercato. Piu’ gli operatori si aspettano variabilita’ nei prezzi piu’ l’acquirente di opzioni dovra’ pagare per poter vendere/comprare il sottostante. Per quanto invece riguarda le sue caratteristiche la volatilita’ puo’ essere : Ciclica : a periodi di bassa volatilita’ (Goldilocks Economy appena trascorsa, per intenderci…) ne seguono altri con volatilita’ piu’ pronunciate. In virtu’ della sua ciclicita’ la volatilita’ e’ ritenuta piu’ prevedibile rispetto ai prezzi ; Persistente : cioe’ ha la capacita’ di persistere di giorno in giorno sui suoi valori ; Ritracciante verso la sua media : dopo aver raggiunto picchi estremi, positivi e/o negativi che siano, ha storicamente la tendenza a tornare nel medio lungo periodo sui suoi valori medi (la cosiddetta “mean reversion”, e questo vale per tutte le asset classes,….) : questo aiuta a controllare e gestire l’emotivita’ ma anche l’avidita’ nel breve termine , soprattutto dove serve, soprattutto sulle attivita’ piu’ volatili,….come l’azionario. Determinando il valore medio storico della volatilita’ saremo in grado di confrontarlo con quello di breve termine e stabilire/capire se quest’ultimo e’ piu’ basso o piu’ alto rispetto al valore storico di medio termine , e prendere quindi le giuste misure e pesi di portafoglio(eventuale sovrappeso /sottopeso di un’attivita’, in primis lavoro precipuo dell’asset manager che gestisce in maniera attiva….) Finisco col dire che nello studio di portafoglio la volatilita’ e’ solo una delle varie misure del potenziale rischio, alla quale l’attento consulente finanziario affianchera’ lo studio del var ,dell’indice di Sharpe, del maximum drawdown, del recovery period,..ecc… Non lo fa?.....chiedetevi come mai……e poi magari cambiate anche consulente finanziario : oggi , piu’ che mai , non ci si improvvisa sui risparmi altrui,….!!!

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Market timing or Buy and hold ?

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 06.07.2018

Il market timing è la strategia d'investimento attraverso la quale gli investitori decidono di investire o disinvestire un determinato strumento finanziario per trarre beneficio dalle oscillazioni del mercato, ... e’ la “capacità” di individuare il momento migliore per effettuare operazioni di compravendita sul mercato…vendo, compro, vendo, compro,……capacita’ ????...io qui vorrei parlare di investire,…non di “tradare”….intrecciando le dita stringendo un amuleto,…. Il buy and hold (letteralmente compra e tieni) è la strategia di investimento a medio lungo termine che per definizione implica una bassa rotazione degli assets in portafoglio. E’ la strategia totalmente contrapposta al day-trading che consiste invece nell’acquisto e vendita di un titolo una o più volte nell’arco addirittura della stessa giornata…..fino ad arrivare allo scalping…..il trading sui minuti,… Spesso i risparmiatori, in particolare quelli senza particolari competenze in ambito finanziario e privi dell’assistenza di un attento consulente , tendono a comperare sui massimi (spinti dall’euforia dei mercati) e a vendere sui minimi (travolti dalla turbolenze dei listini). Non a caso si raccomanda di adottare la vecchia ma difficilmente applicabile nella realta’ regola empirica “compra ai minimi e vendi ai massimi”…….certo, peccato sia impresa improba e colma di insidie ! Ed aggiungo peccato sia troppo semplicistica, dal momento che solo a posteriori gli investitori possono sapere quando si è arrivati “ad un punto di minimo” o “di massimo”. Ed anche vendere un fondo azionario considerato sopravvalutato, ma con un mercato che si muove ancora al rialzo, potrebbe causare mancati guadagni significativi…capisco consolidare le laute plusvalenze…ma l’intero capitale….e poi ?....quando rientriamo ?? o li teniamo sul conto corrente a vita poi ?....ma forse era meglio rimanere investiti,….accidenti,… Quando gli investitori vendono le azioni a valutazioni elevate come quelle attuali, l’aspettativa di acquistare su valutazioni più basse di solito viene disattesa. Il risultato è una significativa sotto-performance rispetto a quella ottenibile con un approccio molto più semplice : rimanere semplicemente investiti! Infatti, le valutazioni su livelli elevati possono persistere per periodi di tempo prolungati. Ad esempio, un investitore che avesse venduto azionario su valutazioni elevate (al novantesimo percentile) con l’intenzione di riacquistarle a prezzi “più convenienti” sarebbe dovuto uscire dal mercato nel marzo 1992 e nel febbraio 1998. La strategia “vendi ai massimi, compra ai minimi” storicamente ha registrato performance inferiori rispetto a una strategia attendista, la strategia “buy and hold”. Dal momento che le valutazioni possono mantenere valutazioni elevate, gli investitori rischiano di lasciarsi sfuggire dei potenziali rendimenti mentre aspettano che il mercato scenda. Nel periodo che va dal gennaio 1954 al settembre 2017, una strategia che prevedesse la vendita delle azioni dell’indice azionario americano al novantesimo percentile delle valutazioni per poi rientrare quando le azioni scambiano nella metà inferiore delle valutazioni (cinquantesimo percentile) ha sotto-performato rispetto ad una strategia attendista (ovvero che rimane investita per lo stesso periodo di tempo senza soluzione di continuità nell’indice suddetto) di 100 punti base (-1,0%) in termini di rendimenti annualizzati: il sottorendimento si sarebbe attestato a 90 punti base (-0,9%) se il rientro fosse avvenuto al sessantesimo percentile e a 80 punti base (-0,8%) nel caso in cui il ritorno nell’indice fosse avvenuto al settantesimo percentile. Consolidare periodicamente le extra( o meno ) plusvalenze la ritengo invece cosa saggia e giusta (come saggio e giusto puo’ essere mediare il prezzo di carico comprando tranches nei momenti di mercati al ribasso) , ma prendere intere parti del portafoglio, intere asset classes (esempio l’intero azionario del portafoglio ) e muoverle tentando il colpaccio di centrare “ il giusto tempo” , il momento perfetto (market timing) di uscita totale e di entrata totale puo’ irrimediabilmente portarci ad aumentare le percentuali di maximum drawdowns e di underperformances delle componenti del nostro portafoglio rispetto ai mercati di riferimento , come abbiamo visto nell’esempio di cui sopra. Una corretta pianificazione c’entra ben poco con quest’ultimo (all’apparenza scaltro) modo di operare, credetemi….

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Azioni od obbligazioni ?

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 05.07.2018

Ma che razza di domanda e’ questa che ripropongono vari media ogni qualvolta il vento dei mercati finanziari sembra cambiare a favore di un`asset class rispetto ad un’altra? E questo dilemma viene riproposto da testate specializzate, non dal giornalino di parrocchia, attenzione… Guardiamo per esempio alla situazione attuale: negli ultimi anni il dividendo medio derivante dall’investimento azionario (senza contare la rivalutazione da capitale) ha doppiato se non di piu’ il rendimento dei bonds decennali ed una fonte di informazione finanziaria televisiva molto qualificata oggi prevede un incremento ancora molto forte dei dividendi entro i prossimi tre anni. Ora pero’, “America First”, i tassi di interesse sono attesi in progressivo rialzo (rialzo gia’ iniziato…) e lo scenario potrebbe cambiare ed iniziare ad avvantaggiare l’asset class obbligazionaria…anche qui tutto da dimostrare. Una storica “regola” racconta che si dovrebbe “passare” dalle azioni ai bonds quando il rendimento del titolo governativo decennale supera quello dell’azionario, ed a oggi non sembrerebbe ancora il caso, se non forse in America. In europa poi il “quantitative easing” ha compresso i rendimenti dei titoli di stato dando cosi’ un forte vantaggio alle cedole da dividendo ed alle azioni a loro collegate. Il trade-off quindi sarebbe quando il T-bond americano supera il rendimento azionario dei listini Usa? Negli Usa il processo e’ appena iniziato e la differenza tra i due “income” (cedole e dividendi) si sta assottigliando, l’economia americana e’ in un punto avanzato del ciclo economico ed il rialzo dei tassi e’ gia’ in corso d’opera, mentre da noi la Bce ha dichiarato che prima del 2019 la politica monetaria rimarra’ ancora accomodante. Dopo queste brevi considerazioni, pero’, l’appunto da fare e’ un altro, e non irrilevante, anzi… Preso atto che si iniziano ad avvertire segnali di cambiamento, la decisione tra investimento in obbligazioni ed azioni (mai assoluta ma personalizzata, mai troppo ovvio,…) ha a che fare prima di tutto con la propria propensione al rischio-volatilita’, con i propri progetti di vita, con i propri orizzonti temporali e non solo con questi calcoli di immediata e presunta massimizzazione di convenienza economica. Anche se le prospettive dei prezzi sembrano tuttora favorevoli al mercato azionario (magari non americano…) andranno fatte le valutazioni per ogni singolo cliente tenendo conto del portafoglio in essere e delle scelte di pianificazione attuate. Sono le esigenze personali che determinano buona parte dell’asset allocation, non i continui cambiamenti dei mercati: la domanda “azioni od obbligazioni?” e’ quindi mal posta e puo’ avere una sola risposta: entrambi, nella maggior parte dei casi ed, a ragion veduta, “ad personam”….”personal”.

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I costi dei fondi comuni e delle sicav

Scritto il 02.07.2018

La sottoscrizione di un fondo comune o di un comparto di sicav prevede alcune spese per la retribuzione dei diversi livelli dell’investimento. Per semplificare, i costi dei fondi possono essere divisi in quattro principali categorie: commissioni una tantum, dette anche commissioni di ingresso, a volte derogabili in parte e/o totalmente dal consulente finanziario; commissioni ricorrenti , dette comunemente commissioni di gestione; commissioni di performance, non sempre presenti; commissioni di uscita, non sempre presenti. Le prime rientrano nelle scelte gestionali della sgr e della rete di distribuzione/consulente finanziario in quanto, contrariamente a quelle ricorrenti, non tutti i fondi le prevedono: le performances pubblicate sono al netto delle commissioni ricorrenti, ma non incorporano le di certo le commissioni una tantum che in certi casi, tipo fondi obbligazionari di breve termine, arrivano oggi a minare le performances di un intero anno….quindi fare attenzione. Al contrario, le commissioni ricorrenti o di gestione sono previste da tutti i gestori di fondi per remunerare i diversi livelli di operatività di un fondo: si tratta di spese periodiche che incidono direttamente sul risultato di gestione e sono evidenziate in percentuale su base annua. Quelle di gestione riguardano i contributi tramite i quali si retribuisce la società di gestione per la sua attività di gestione e amministrazione del fondo. Vengono decurtate direttamente dal patrimonio del fondo: il nav (o la quota) è calcolato al netto di tale commissione. Le commissioni di gestione variano in funzione della categoria (più contenute quelle dei fondi monetari e obbligazionari, più costose ma giustificate quelle degli azionari….e’ piu’ facile e meno costoso gestire un fondo monetario che un fondo azionario mercati emergenti. per intenderci….) ma anche da fondo a fondo, da societa’ a societa’. Le commissioni di performance invece sono quelle applicate quando il gestore batte il benchmark di riferimento : ripeto, non tutte le societa’ le applicano, ma attenzione , nel caso, che non siano calcolate su periodi troppo brevi (esempio mensilmente) senno’ e’ un vero salasso e che abbiano nel calcolo l’high watermark, cioe’ tengano in memoria il valore piu’ alto sotto il quale non verranno piu’ applicate, se non al suo superamento ! Infine le commissioni di uscita :…..non fanno pagare la fee di entrata ma se esci prima di un tot tempo di ritrovi decurtato di una certa percentuale la cifra disinvestita…..basta saperlo in anticipo ed uno decide in merito….alcune volte sono sorprese….anche qui guardare bene!

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Cresce la voglia di risparmio gestito

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 29.06.2018

Rispetto allo scorso anno i risparmiatori italiani che hanno investito nei fondi comuni e nelle sicav sono aumentati di 500.000 unita’, …non male direi. Ormai i ricordi dei rendimenti a due cifre dei titoli di stato sono lontani, e l'immobiliare come investimento e’ oggi piu’ che mai illiquido ( e poco performante…..il fatto che non sia quotato cela solo tante delle sue inefficienze come bene di investimento…). Si avvisa anche un progressivo ma inesorabile abbandono del “fai da te” e ci si avvicina sempre di piu’ alla figura del consulente finanziario, nel tentativo ragionato di diversificare e maggiormente ridurre l’esposizione agli inutili rischi. A dare una spinta alla voglia di risparmio gestito degli italiani sono stati sicuramente anche i pir che permettono alla fine di ameno cinque anni di usufruire della totale esenzione dalla tassazione sulle plusvalenze. I pir hanno sicuramente spronato l’interesse degli italiani verso l’industria del risparmio, ma non penso sia sufficiente al salto di qualita’ che intendo io. Lo sforzo che tutto il sistema dovrebbe fare ( io nel mio piccolo lo faccio da sempre) e' a monte e si chiama : educazione finanziaria del cliente. Il 40 % dei cittadini non sa valutare le proprie conoscenze finanziarie , il 50 % e’ a disagio con la finanza (???) ed un altro 50 % non e’ interessato (!!!). Inoltre la maggior parte degli italiani non ha nessuno che li aiuta ad effettuare una vera pianificazione finanziaria ed il 40 % investe senza comprendere(tutti recenti dati Consob, non me li sono inventati io…) Senza comprendere? Ma il loro consulente che fa allora? “Metta una firma qua e poi vediamo cosa succede”?? Proprio questa inconsapevolezza genera attitudini “che mis-informano le scelte finanziarie”( dott.Mario Nava presidente della Consob) “con risultati sub-ottimali” ( come minimo direi….!!) Piu’ della meta’ dei risparmiatori ancora non si rivolge ai professionisti dell’investimento/risparmio iscritti all’albo dei consulenti finanziari . (perche c’e’ un albo….) E’ un gap che andrebbe colmato….in primis nell’interesse della maggior tutela del risparmio e dei risparmiatori con le loro famiglie. Informarsi su chi affidiamo i nostri averi (societa’ e consulente)potra’ magari farci evitare di delegare certe scelte ad un novizio che magari lavora per una banca in difficolta’ finanziarie(ovviamente estremizzo, ma le due casistiche, magari non insieme, sono gia’ capitate,…altro che,…) Per la salute ci affidiamo, nel bene e/o nel male, a laureati in medicina magari anche con specializzazioni…e per le nostre finanze ci affidiamo a chi ???

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Commissioni di performance e High Water Mark

Scritto il 28.06.2018

Le commissioni di gestione non rappresentano l’unica voce ricorrente dei costi che gravano sui fondi comuni e sui comparti delle diverse sicav. Spesso, infatti, figurano anche le commissioni di performance (o di incentivo). Si tratta delle commissioni che ripagano i gestori in percentuale sul rendimento aggiuntivo alla media del mercato sul quale il fondo investe. Diciamo che il parametro di riferimento dovrebbe essere adeguato e confrontabile, non mi parrebbe il caso per un fondo azionario prendere come riferimento per eventuali commissioni di performance l’indice MTS BOT…ps…successe anche quello in passato…giuro…bello vincere facile, eh? Due calcoli ci aiuteranno a capire meglio come funzionano. Ipotizziamo che un fondo azionario internazionale prescriva nel proprio regolamento una commissione di performance del 10% dell’extra rendimento rispetto al proprio indice di riferimento Morgan Stanley Capital Index World (MSCI World). Immaginiamo che, mentre la performance annuale dell’indice sia pari al 10%, quella del fondo si attesti al 12%: l’extra-rendimento del fondo rispetto all’indice sarebbe di due punti percentuali. Ne deriverebbe che la commissione di performance maturata per quell’anno dal gestore del fondo ammonterebbe allo 0,20%, cioè il 10% dei due punti di extra rendimento. In alcuni casi, il gestore si impone di far scattare la commissione di performance solo quando fa effettivamente guadagnare i clienti. Ad esempio, se un fondo è arrivato a quotare 100, per scendere poi a 90, il gestore non potrà pretendere di applicare la commissione di performance finché non sia stato di nuovo raggiunto il livello di 100 (il cosiddetto High Watermark) Le SGR che utilizzano l’high watermark (tradotto, livello dell’acqua alta) nel calcolo delle commissioni di performance fanno pagare il cliente solo quando il valore del fondo supera i massimi assoluti, quindi sincerarsi di questo non e’ un dettaglio ma una sana precauzione, nell’attesa che Banca d’Italia renda obbligatorio per tutti i fondi (di diritto italiano) l’adozione dell’high watermark senza possibilità di reset periodico (ossia facendo sempre riferimento al massimo realizzato dall’adozione dell’high watermark). Nella pratica, si valuta l’andamento del fondo giornalmente e, se questo supera il massimo mai raggiunto fino a quel momento, si trattiene una quota di quel rendimento a titolo di commissione di performance. Attenzione: ad oggi c’e’ l’Hwm relativo, assoluto e perpetuo… In un recente articolo del Sole 24 ore del 10 febbraio scorso su 61 Pir solo 12 (il 19 %) erano esenti da commissioni di performance, quindi mi pare siano ancora parecchio in uso…e in questi 49 "commissionati" l’hwm era presente in poche occasioni…

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La fine del "quantitative easing"

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 27.06.2018

Con alleggerimento quantitativo, o anche facilitazione quantitativa, molto piu’ spesso con la locuzione “quantitative easing “ (QE), si designa una delle modalità non convenzionali con cui una banca centrale interviene sul sistema finanziario ed economico di un paese per aumentare la moneta in circolazione. Le banche centrali usualmente agiscono sull'economia di un paese manovrando i tassi d'interesse con cui concedono moneta alle banche (nell'eurozona prima del 1999 il tasso d'interesse praticato dalla banca centrale alle banche era noto con il termine tasso ufficiale di sconto). Quando ciò non è sufficiente può iniziare ad usare uno strumento di politica monetaria più penetrante come appunto il quantitative easing. Il quantitative easing è stato adottato da alcune banche centrali, come la BCE , e prima ancora in altri Paesi, come Giappone , Stati Uniti ed Inghilterra , principalmente per contrastare l'inflazione eccessivamente bassa, onde evitare la deflazione. Il QE messo in atto dalla Banca Centrale Europea è di tipo monetario, e per questo aspetto è radicalmente diverso dal quantitative easing nato negli Stati Uniti, in cui il Governo Federale ha largamente utilizzato i tassi zero sul debito pubblico per un massiccio programma di stimoli all'economia reale attraverso spesa pubblica diretta e minori tasse. Una politica monetaria espansiva, allo scopo di stimolare la crescita economica e l'occupazione, tipicamente coinvolge le banche centrali nell'acquisto di titoli governativi con scadenza a breve termine, per abbassare gli interessi medi di breve termine presenti sul mercato.Tuttavia, quando gli interessi a breve termine sono prossimi al valore di zero, questo metodo non può più essere efficace per lungo tempo.In simili circostanze, le autorità monetarie possono continuare a ricorrere al quantitative easing per stimolare ulteriormente l'economia, tramite l'acquisto di attività aventi scadenza con orizzonte temporale più esteso di quelli a breve a termine, portando gli interessi di lungo termine al di fuori della curva dei rendimenti. Torniamo ora alla cronaca di questi giorni : gli acquisti passeranno a 15 miliardi di euro al mese da ottobre a dicembre, ma i proventi dei titoli in scadenza verranno reinvestiti. I tassi invece dell’area euro rimarranno invariati almeno fino all’estate del 2019. Quindi Il quantitative easing terminerà a dicembre: gli acquisti continueranno al ritmo di 30 miliardi di euro al mese fino a settembre per poi passare a 15 miliardi fino a dicembre prima dello stop definitivo. Tuttavia, come previsto, i proventi dei titoli di stato arrivati a maturazione verranno reinvestiti per nuovi acquisti “per tutto il tempo in cui sarà necessario mantenere favorevoli condizioni di liquidità e un elevato livello di accomodamento monetario”. Nessuna novità sul fronte tassi. Rifinanziamento principale, rifinanziamento marginale e depositi presso la banca centrale restano rispettivamente a 0%, 0,25% e -0,40%. E rimarranno così, si legge nella nota diffusa dalla BCE, almeno fino all’estate 2019 e comunque “per tutto il tempo necessario ad assicurare che l’evoluzione dell’inflazione resti allineata con le attuali aspettative di una rotta sostenuta di aggiustamento” verso il 2%, il target ritenuto dalla bce l’obiettivo da perseguire. Mario Draghi ha detto che l’intenzione è quella di “mantenere un certo grado di opzionalità” per accertarsi che i dati preliminari, a partire dall’inflazione, vengano poi confermati: “L’idea è di rimanere pazienti. Per quanto riguarda i rischi, crediamo che la situazione sia bilanciata. C’è incertezza geopolitica ma potrebbero arrivare sorprese positive dalla crescita USA e di alcuni paesi europei”. Draghi ha poi fatto il punto sulla crescita e sull’inflazione. Le previsioni del PIL sono state confermate per il 2019 e 2020 (+1,9% e + 1,7%) mentre c’è stato un taglio su quella relativa al 2018, passata al 2,1% dal 2,4%. In aumento, invece, le stime per l’inflazione. Ora c’è molta più chiarezza su tutte queste questioni (QE e politica dei tassi dell’area euro) e di conseguenza la volatilità ed i dubbi dei mercati potrebbero in qualche modo diminuire : i mercati detestano la carenza / dubbiosita' di comunicazione, soprattutto da un interlocutore importante come la banca centrale europea….

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FOGLI Fideuram

Scritto il 25.06.2018

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Gli indici di mercato : tipologie

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  • Consulenza finanziaria
Scritto il 25.06.2018

L’indice (per esempio il Morgan Stanley Capital Index World, MSCI World, il piu' usato indice che rappresenta l’azionario mondiale) è semplicemente un enorme paniere di titoli, pertanto il suo valore è calcolato come la somma del valore dei titoli di cui è composto. Esiste una vasta gamma di indici di mercato, usati come benchmarks per il risparmio gestito, ognuno dei quali è costituito da una particolare categoria di attività finanziarie con le medesime caratteristiche (classe di strumenti finanziari, settore geografico, settore industriale e nel caso degli indici obbligazionari anche durata , rating, emittente). L’indice ha quindi il compito di misurare costantemente e unitariamente l’andamento dei titoli sottostanti, in questo modo l’investitore ha la possibilità di comprendere il trend del settore e fare un confronto tra il singolo titolo e la media del suo settore (dato dal valore dell’indice), oppure tra un fondo e l’indice a lui piu’ confrontabile e giustamente paragonabile. Piccola nota : confrontare significa il rendimento ed anche il rischio….un fondo potrebbe aver avuto minor rendimento del benchmark ma anche essere stato meno volatile….o viceversa…aver avuto maggior rendimento con un pizzico di volatilita’ in piu’,…ci puo’ stare,…e ricordiamoci che gli indici non pagano le imposte sulle plusvalenze come i fondi !!!! L’indice di mercato normalmente è espresso tramite un numero che esprime il valore del paniere di titoli in un determinato periodo di tempo. I titoli però all’interno dell’indice possono avere un peso diverso. In base a come viene calcolato il peso dei singoli titoli all’interno del paniere, si distinguono quindi gli indici “value weighted” e gli indici “equally weighted”. Gli indici cosiddetti “value weighted”, sono così denominati poiché ciascun titolo presente nel paniere ha un peso sull’indice, proporzionale alla propria capitalizzazione di borsa. La capitalizzazione di borsa di un titolo è ottenuta moltiplicando il numero di azioni di una società per il prezzo di mercato dell’azione stessa . Per questa ragione gli indici value weighted sono spesso modificati in seguito alle diverse operazioni sul capitale che possono avvenire in una società (frazionamenti, raggruppamenti, scissioni, pagamento di dividendi straordinari, nuove ipo, etc). Per costruzione, l’indice value weighted è maggiormente investito in società ad alta capitalizzazione e meno in quelle a bassa capitalizzazione, in questo modo l’indice è ponderato per la dimensione aziendale e quindi anche per la sua importanza (non e’ un caso quindi che il MSCI World abbia piu’ della meta’ del paniere concentrata sul mercato nord americano). La maggior parte dei titoli mondiali, e quindi anche la maggior parte degli indici utilizzati come benchmark dai fondi comuni, sono calcolati con la metodologia value weighetd. Per citare alcuni esempi, ricordiamo il S&P 500 (indice statunitense), il FTSE MIB (indice italiano), il CAC 40 (indice francese), il DAX 30 (indice tedesco) ed il TOPIX(indice giapponese). Gli indici equally weighted tradotto letteralmente in indici “ugualmente pesati” sono costruiti in modo tale che ciascun titolo all’interno del paniere pesi allo stesso modo. Ciò non significa acquistare lo stesso numero di azioni bensì significa acquistare azioni per il medesimo controvalore; Ciò è possibile solo perché l’indice esprime un paniere teorico e non effettivo. Pertanto il valore di un indice equally weighted esprime la media aritmetica delle variazioni di ciascun titolo presente nel paniere. Gli indici value weighted invece si differenziano dai precedenti poiché ogni titolo pesa sull’indice in base alla propria capitalizzazione di borsa. Generalmente i fondi comuni d’investimento non utilizzano indici equally weighted come benchmarks per le proprie performances ma sono giustamente preferiti da questi gli indici value weighted.

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